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Alla fine, puntuali, arrivano anche i dati. La crescita, modesta ma costante da più di tre anni, si è fermata. Lo zero registrato dal pil nel terzo trimestre è un segnale chiaro che va a sommarsi agli altri che in queste settimane stanno continuando a delineare un quadro che rischia di far risucchiare il Paese nella melma della stagnazione. Dalla fuga dei capitali, ai posti di lavoro persi a causa del decreto dignità, alle banche tornate a rischio per l’aumento dello spread. A incidere è anche un rallentamento dell’economia globale ma sono soprattutto le scelte della politica economica a influenzare la fiducia, elemento indispensabile per produrre crescita. L’incertezza pesa sulle scelte di consumo, quindi sulla domanda interna, mentre le fibrillazioni dei mercati bruciano ricchezza e allontanano gli investimenti esteri.

Non solo. Il dato del terzo trimestre rende ancora più lontano l’obiettivo di una crescita dell’1,5% nel 2019. Così come, è una logica conseguenza, il rapporto deficit/pil al 2,4%, con il denominatore più basso, diventa un altro target in bilico. Numeri che riducono le risorse a disposizione per attuare le due principali ‘misure di bandiera’ del governo giallo-verde, la riforma della riforma Fornero e il reddito di cittadinanza.

Di fronte a questo scenario, fatto di numeri e non di opinioni, ci sono poi diverse interpretazioni. Pochi dubbi lascia quella del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: “C’è una divergenza di spiegazioni economiche in questo governo” e “bisogna cominciare a chiarire che se i risultati della crescita non ci saranno nei prossimi mesi é colpa esclusiva di questo governo e della politica economica che realizza, non di altri”. Diametralmente opposta quella del vicepremier Luigi Di Maio. “Purtroppo dal punto di vista internazionale c’è stata una serie di fattori che incidono sulla congiuntura economica generale. Ma vedrete che con la ‘manovra del popolo’ non solo il Pil ma la felicità dei cittadini si riprenderà“, dice a caldo. Poi, si sofferma sulle responsabilità: “il risultato del 2018 dipende dalla manovra approvata a dicembre 2017, che è targata Partito Democratico. Tutti sanno che la nostra Manovra del Popolo deve ancora essere approvata e non può aver avuto nessun effetto sul rallentamento in atto”. Stessa linea per il premier Giuseppe Conte: “E’ uno stop congiunturale, riguarda cioè l’intero quadro dell’economia europea. Lo avevamo previsto ma proprio per questo abbiamo pianificato una manovra espansiva che si adegua al trend che si andava delineando e mira a invertirlo”. Un’ambizione corretta, a patto che si facciano i conti con la realtà.

L’idea che la crescita dell’anno successivo sia determinata esclusivamente dalla manovra dell’anno precedente rientra nelle semplificazioni di una narrazione da social che, invece, ha poco a che fare con la realtà. Così come è difficile pensare che la felicità dei cittadini possa essere regalata dalla ‘manovra del popolo’ se, nel frattempo, il Paese venisse riportato dentro una crisi che non ha ancora smesso di far sentire le sue conseguenze. Servirebbero scelte chiare per la crescita, per gli investimenti, per il lavoro. Qualcosa in più rispetto ai terreni agricoli promessi a chi fa figli, misura che più che rendere felici, nella migliore delle interpretazioni, fa ridere.

 

 

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