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La polemica politica è piuttosto lineare. Il Movimento Cinquestelle, dopo aver usato i provvedimenti varati dai governi Renzi e Gentiloni sulle banche come una clava in campagna elettorale, interviene su Carige con uno schema fotocopia. Non è scarsa fantasia, è solo una strada obbligata. Non è la prima occasione in cui i professionisti dell’opposizione si smentiscono quando diventano forza di governo. Anche se, in questo caso, la fotocopia è un prezzo alto da pagare in termini di credibilità. Non tanto con l’opinione pubblica, la stampa e i commentatori, quanto con quella base elettorale che si è sentita per mesi sobillata contro “il Pd che aiuta le banche”.

La vicenda Carige ha però delle implicazioni più profonde rispetto alla polemica politica. Quello dell’istituto bancario genovese può essere considerato un vero e proprio caso di scuola. Innanzitutto perché, nella sua storia, vede rappresentate tutte le principali patologie del sistema bancario italiano, che si sono stratificate nel tempo. Non si può che partire dall’azionista di maggioranza relativa, la famiglia Malacalza, che ha puntualmente messo i propri interessi prima di quelli della banca, fino all’epilogo della drammatica assemblea del 22 dicembre 2018, quando ha scelto di non aderire all’aumento di capitale proposto dai vertici. Interessi che, in un sistema sano, dovrebbero almeno tendere a coincidere. Come in ogni psicodramma bancario, c’è anche il ruolo del manager di lungo corso: l’ex presidente Giovanni Berneschi, prima sostenuto e osannato, poi preso nella morsa giudiziaria e condannato in secondo grado per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ha lasciato un’eredità pesante in termini di perdite e crediti deteriorati.

La storia della Cassa di risparmio di Genova e Imperia si intreccia in maniera molto stretta con le principali disfunzioni del sistema. A partire dai rapporti incestuosi con la politica, quella locale e quella nazionale che partendo da Genova, in un’altra stagione, ha assicurato legami stretti con i governi di turno e anche con la Banca d’Italia. Quando il vento è girato, soprattutto a Palazzo Koch con le gestioni Draghi e Visco, è emerso il peso di commistioni che erano diffuse anche in altre realtà, come hanno insegnato le vicende legate alle scalate su Antonveneta e Bnl. L’altra malattia che ha lasciato tracce evidenti di sé in Carige è la concessione di credito facile a clienti privilegiati e imprenditori amici. Tanto che oggi uno dei problemi principali per i commissari è quello di ridurre il peso degli npl e rendere la banca appetibile per un potenziale acquirente.

E’ passando per questo contesto che si deve tornare anche alle implicazioni sull’attualità politica. E si può farlo ponendosi diverse domande. Alcune, in particolare, vanno rivolte al Movimento Cinquestelle, anche alla luce di alcune evidenze: Genova è la città di Beppe Grillo e il silenzio di oggi stride con la campagna messa in piedi per Mps e le banche venete; Giuseppe Conte, ovviamente quando non era ancora premier, ha firmato per una vicenda diversa un parere da consulente per Raffaele Mincione, azionista di Carige; Guido Alpa, giurista in stretti rapporti con lo stesso Conte, è stato consigliere di amministrazione di Carige. Sono tutti legami professionali legittimi, che ovviamente nulla hanno a che fare con la decisione, corretta e obbligata, di intervenire a sostegno della banca genovese. Ma le domande sorgono spontanee: la propaganda del Movimento come avrebbe trattato questi argomenti se fossero stati attribuibili a un’altra parte politica? Non sarebbe il caso di ammettere che gli interventi a sostegno delle banche dei governi, quelli del Pd e quello ‘del cambiamento’, si fanno perché servono a evitare danni peggiori? Difficile che arrivino risposte ma le domande, ancora, servono.

 

 

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