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Delisting o no, perché Piazza Affari ha perso appeal

azimut

C’era una volta la corsa a Piazza Affari. Quotarsi per crescere e conquistare nuovi mercati è stato un must per molte aziende italiane ma la Borsa italiana sta perdendo il suo appeal. Delisting o non delisting, ovvero abbandonare o meno Piazza Affari sta diventando il vero dilemma di inizio anno. Sono i numeri a parlare. L’anno scorso, nei diversi segmenti del mercato, le uscite sono state 16, ultima delle quali è stata Cad it, società specializzata nel software per la finanza, che ha abbandonato il listino lo scorso dicembre. Se allarghiamo il raggio di riferimento dal 2014 hanno abbandonato il listino oltre 80 aziende. Ma le strategie di exit non sono finite. Il 5 marzo lascerà il listino di Milano anche Luxottica, dopo la fusione con la francese Ellisor si è scelta Parigi per le contrattazioni, è già scomparsa questo inizio anno Beni Stabili, mentre si profila anche l’uscita di Damiani, lo storico brand italiano della gioielleria la cui quotazione risale addirittura al 2007.

Ma che succede? “Un’uscita delle società dal mercato azionario è fisiologica – dice a Fortune Italia Angelo Meda, responsabile azionario di Banon Sim – dovuta principalmente a offerte di acquisto. Da monitorare invece sono quelle che vengono fatte dalla famiglia/azionista rilevante, come ad esempio il caso Damiani e Nice le quali indicano una ‘disaffezione’ verso la quotazione. Il problema cronico che abbiamo in Italia è che il tessuto produttivo italiano, fatto da piccole e medie aziende padronali, difficilmente si adatta alla quotazione, sia per motivi di governance (l’azionista non vuole lasciare il controllo), sia per motivi di prezzo (i private equity di solito pagano di più rispetto alla Borsa) e in più non vengono visti i benefici dell’essere quotato in termini di visibilità, controlli e opportunità”.

Già ma in verità di delisting non si parla quasi mai, perché in effetti rappresenta un arretramento del paese lungo la strada della modernità. Il capitalismo moderno sta in Borsa – si diceva una volta – lì rende conto del suo operato, lì si incontra con il risparmio dei cittadini per crescere. Da Borsa Italiana – contattata da Fortune Italia – proferiscono non commentare. Parlano però i numeri elaborati da Piazza Affari: nel 2018 sul listino milanese risultano quotate 357 aziende per una capitalizzazione totale di 542 milioni di euro. In decrescita se si guarda all’anno precedente dove la capitalizzazione era di 640 milioni di euro e le società quotate erano 339. Secondo l’analisi di UBS i profitti delle società italiane sono ancora sotto del 50% circa rispetto al picco del 2007/2008. Un dato significativo, soprattutto a confronto con quello statunitense: negli USA i profitti hanno già superato del 63% quello stesso picco.

Il problema in Italia però è che adesso all’orizzonte non si vedono grandi novità. L’altalena dello spread certamente non aiuta e anche il ciclo economico che è entrato in recessione tecnica. All’orizzonte ci potrebbe essere la quotazione di Nexi. Si tratterebbe della prima grande operazione dell’anno, potrebbe infatti entrare nell’indice delle 40 maggiori aziende italiane. Lo sbarco a Piazza Affari, come ha confermato nei giorni scorsi proprio dal numero uno, Raffaele Jerusalmi, potrebbe avvenire ad aprile, prima delle elezioni europee. Dettaglio non di poco conto vista l’incertezza politica che potrebbe emergere dopo le consultazioni, con l’agenzia Moody’s che ha parlato addirittura di una possibile caduta del governo. Nexi, guidata dall’amministratore delegato Paolo Bertoluzzo, gestisce quasi 42 milioni di carte di pagamento e oltre due terzi dei pos presenti nel nostro paese. Forte di oltre 500 milioni di margine lordo a fine 2018 godrebbe di una valutazione degli analisti fino a 8 miliardi di euro.
“La quotazione di Nexi è una goccia nel mare – prosegue Angelo Meda – in quanto è una grande azienda in mano a fondi di private equity che hanno come way-out quasi unica quella della quotazione (è troppo grossa per essere venduta ad altri fondi); io guardo più come indicatore della volontà o meno di quotarsi il numero di operazioni fatte nel segmento mid-cap o star, dove il numero di operazioni negli ultimi anni è stato esiguo”. Il dilemma però è che non è detto che Nexi sbarcherà effettivamente a Piazza Affari. Si parla di un possibile matrimonio con Sia di cui è azionista di riferimento Cassa Depositi e Prestiti (49% detenuto direttamente e un altro 17% attraverso F2I). Nascerebbe un campione nazionale da oltre 10 miliardi di euro. E non è detto che debba passare per forza da Piazza Affari.

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