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Allacciate le cinture: ecco le tre ‘T’ che faranno ballare i mercati

Dopo la calma piatta del 2018, quest’anno potrebbe essere assai tempestoso per i mercati finanziari. A condizionarlo ci sono tre fattori che potrebbero portare sulle ‘montagne russe’ chi guarda al mondo della borsa e della finanza. Tre scenari che si possono riassumere in tre T: tightening, ovvero inasprimento dei tassi d’interesse; trade, quindi le continue tensioni sugli scambi commerciali, basta ricordare la guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina; too much debt, ovvero l’eccessivo debito di molti Paesi che potrebbe scoppiare proprio in questo 2019. È questa la fotografia che scatta Capital Group, società americana di gestione tra le più antiche e grandi al mondo, attiva nella gestione dell’azionario e obbligazionario per diverse tipologie di investitori, che gestisce un patrimonio superiore a 1.600 mld di dollari in asset a lungo termine. Queste tre potenti forze – per uno strano mix economico – si stanno alleando e potrebbero sovvertire i mercati globali tenendo sulle spine gli investitori.

“Guardando alle prospettive per il 2019 – dice a Fortune Italia il direttore degli investimenti di Capital Group, Martyn Hole – le principali economie hanno imboccato percorsi di crescita divergenti, in netto contrasto con la crescita globale sincronizzata dell’inizio del 2018. Mentre gli Usa godono di buoni tassi, in Cina e in Europa la crescita sta subendo un notevole rallentamento. Questa diversità aggiunge un nuovo tassello di incertezza al quadro economico globale”.

Già l’inasprimento della politica monetaria della Federal Reserve è sotto gli occhi di tutti. Nel 2018 l’istituto guidato dal presidente Jerome Powell ha rialzato i tassi quattro volte, che diventano nove si si allarga il raggio dal 2015, da quando cioè la Fed ha avviato il ciclo di rialzi dopo la crisi finanziaria. Politiche che ovviamente si ripercuotono sullo scenario mondiale. “Prevediamo che questo anno – continua Hole – la Fed continui ad aumentare i tassi di interesse a breve termine in risposta a una solida economia statunitense, un mercato del lavoro ristretto e un moderato aumento dell’inflazione. Ciò avviene in un momento in cui il debito sovrano, societario e dei consumatori sono tutti in netto aumento. Una cosa era chiedere prestiti quando i tassi si attestavano a livelli storicamente bassi, ma oggi il contesto è completamento diverso”.

Quello che non si riesce a decifrare è proprio la seconda T, quella del commercio mondiale, proprio perché è in atto una partita a scacchi tra Stati Uniti e Cina. In apparente calma almeno fino al 1 marzo, quando scadrà la tregua dei 90 giorni iniziata a fine novembre, e nonostante le dichiarazioni rassicuranti di Donald Trump – “i negoziati con Pechino stanno andando bene” – non è escluso che Washington alzi il tiro puntando questa volta ad un un ponte levatoio verso l’Europa. C’è un dossier infatti allo studio del Dipartimento del Commercio americano che riguarda l’introduzione di misure daziarie soprattutto nel comparto dell’automotive che sarebbe un bel contraccolpo soprattutto per la Germania.

Ma non solo. “C’è un calendario fitto di problemi politici – prosegue il direttore degli investimenti di Capital Group – che continua ad offuscare l’orizzonte dell’Europa. I negoziati sulla Brexit sono entrati in una fase decisiva. Sebbene lo scenario più probabile veda il Regno Unito e l’Ue raggiungere un accordo per l’uscita, c’è ancora il rischio che il Paese abbandoni l’Unione senza un’intesa”. Senza dimenticare le elezioni europee, oramai quasi alle porte, che potrebbero disegnare un quadro politico assai diverso rispetto alla vecchia Unione. “I partiti populisti nazionali in tutta Europa potrebbero sovvertire i partiti tradizionali alle elezioni per il Parlamento europeo – annota Hole – Come si sa la Bce ha interrotto il suo programma di Quatitive Easing alla fine del 2018 e i tassi di interesse dovrebbero restare immutati fino all’estate 2019. Se l’andamento della crescita e dell’inflazione si atterrà alle aspettative, la Bce probabilmente effettuerà un modesto aumento dei tassi a fine 2019”.

E poi, infine, c’è la terza T, la variabile del too much debt, del debito eccessivo. Che potrebbe riguardare da vicino anche l’Italia che ha un debito sovrano tra i più grandi al mondo, subito dopo gli Stati Uniti e il Giappone, ma allo stesso tempo se si considera quello aggregato, ovvero anche il debito privato, il nostro Paese come certificato recentemente dalla Banca dei Regolamenti Internazionali ha una ricchezza privata di 3800 miliardi di euro, un patrimonio che ci rende in questo modo tra i più virtuosi in Europa. “L’Italia è troppo importante per essere ignorata e troppo grande per un salvataggio” conclude Martyn Hole, direttore degli investimenti di Capital Group. Come a dire che anche il futuro dell’Europa passa necessariamente per la nostra economia che resta pur sempre la terza della zona euro e la seconda potenza manifatturiera, subito dopo quella tedesca.

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