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Crescita ferma: l’allarme di Confindustria e i timori di Tria

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Adottare misure che favoriscano la crescita italiana è un’urgenza sempre più stringente. Da un lato per la situazione, presente e futura, dell’economia globale, come ricordato dal ministro dell’economia Giovanni Tria in Cina (mentre in Italia, in sua assenza, si discute del Dl crescita a Palazzo Chigi). Dall’altro perché, stringendo il focus sull’Italia, le previsioni per il 2019 si fanno sempre più buie: secondo Confindustria, il Pil quest’anno resterà fermo a quota zero.

Ma gli industriali vengono liquidati come “gufi” che ci hanno sempre “cannato in passato” dal Vicepremier Matteo Salvini: le previsioni “verranno smentite clamorosamente dai fatti”, ha detto a Radio Capital. Decisamente più diplomatico Luigi Di Maio, che in visita negli Stati Uniti, secondo fonti del Mise, ha rassicurato gli americani dicendo che le preoccupazioni di Confindustria sono le stesse del governo, e che non c’è alcuna volontà di contrapposizione.

L’allarme di Confindustria: Pil 2019 fermo

Confindustria avvisa il governo, trovando criticità in diversi aspetti dell’economia italiana, dal Pil fermo al lavoro, dagli scarsi risultati del reddito di cittadinanza e di quota 100 alla stagnazione della domanda interna. Il Centro studi degli industriali vede una “Italia ferma” e azzera le previsioni per il Pil 2019 (già ribassate a ottobre al +0,9%). Pesano anche “una manovra di bilancio poco orientata alla crescita”, “l’aumento del premio di rischio che gli investitori chiedono” sui titoli pubblici italiani, “il progressivo crollo della fiducia delle imprese” rilevato “da marzo, dalle elezioni in poi”. E gli investimenti privati sono per la prima volta in calo (-2,5%, escluse costruzioni) dopo 4 anni di risalita.

Dati che portano il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ad avvertire che per reagire ad una “crescita zero” serve “un salto di qualità nel rapporto con il Governo, passare dal contratto di Governo ad un patto per lo sviluppo e l’occupazione”. “Il primo anno è stato quello del contratto: reddito di cittadinanza, quota 100, e un po’ di flat tax per gli autonomi. Oggi il rallentamento globale ci impone di fare un salto di qualità”. Aprire i cantieri può essere una utile “misura-shock”. La prima stima per il 2020 del Centro studi di Confindustria prevede invece un “esiguo miglioramento”, +0,4%. Per il 2019, invece, dalle previsioni di ottobre ad oggi ha ridotto la stima da +0,9% a zero. Gli economisti di via dell’Astronomia rilevano in particolare “due elementi sfavorevoli che si sono determinati nella seconda metà del 2018” e che “hanno contribuito in misura marcata al deterioramento dello scenario. Il 2019 li eredita entrambi”.

Il primo è sul fronte dello spread: “il rialzo di circa un punto percentuale dei rendimenti sovrani rispetto ai minimi dei primi mesi del 2018, che si sta rilevando persistente”, pur non riflettendo la reale immagine che il mercato dovrebbe avere del Paese è un “riflesso dell’aumento del premio al rischio che gli investitori chiedono per detenere titoli pubblici italiani”. C’è poi “il progressivo crollo della fiducia delle imprese, specie nel manifatturiero, a riflesso del clima di forte incertezza nell’economia: a questo si è sommato, più di recente, un deterioramento anche del sentimento delle famiglie italiane”. Quanto al 2018, alle spalle ci siamo lasciati “un anno a due velocità”, con una inversione di rotta in negativo nel secondo semestre come emerge anche dai dati sull’occupazione.

Fermi domanda interna e lavoro. Impatto negativo di reddito di cittadinanza e quota 100.

Nel 2019 inoltre, secondo il Centro studi, “la domanda interna risulterà praticamente ferma e una recessione potrà essere evitata solo grazie all’espansione, non brillante, della domanda estera. A meno che non si realizzi l’auspicato cambio di passo nella politica economica nazionale”. E l’analisi ‘costi benefici’ di Confindustria sulle due misure vanto del Governo – che hanno portato a uno scontro lungo mesi con l’Europa sulla percentuale di deficit necessaria per eseguirle -sembra negativa: il reddito di cittadinanza e Quota 100 “daranno un contributo, seppure esiguo, alla crescita economica” concentrato nel 2019 ma, avverte Confindustria, “queste due misure, realizzate a deficit, hanno contribuito al rialzo dei tassi sovrani e al calo della fiducia, con un impatto negativo sulla crescita”.

Poi c’è il lavoro: nel 2019 “per ora non si vede un’inversione di tendenza nei contratti”, i lavoratori dipendenti “sono tendenzialmente fermi, c’è un calo del lavoro a termine ma non è ancora compensato dai contratti a tempo determinato”. Il Centro studi Confindustria definisce il 2018 “a due velocità” visto che nei primi 6 mesi l’occupazione è cresciuta di 198.000 unità mentre nel II semestre è calata di 84.000. Nel 2019 l’occupazione resterà “sostanzialmente stabile (+0,1%)” e aumenterà dello 0,4% nel 2020. In termini di persone occupate, l’occupazione “rimarrà pressoché ferma in media d’anno nel 2019 (+0,2%) poco sopra i livelli pre-crisi”, prosegue il Csc secondo il quale la ripresa dell’occupazione “si è bloccata già dallo scorso maggio (-0,2% nel terzo trimestre 2018 e -0,1% nel quarto), di pari passo al rallentamento del Pil, e l’arresto perdurerà anche nei prossimi mesi”. Il numero delle persone occupate “ricomincerà a crescere dalla seconda parte del 2019, sulla scia della possibile leggera risalita dei livelli di attività, e la tendenza proseguirà l’anno prossimo”, conclude il Csc che alla fine del biennio stima che le persone occupate “saranno circa 23,4 milioni, 260mila unità oltre il picco della primavera 2008”.

Il futuro: inevitabile un aumento delle tasse

Gli industriali danno anche qualche numero che lascia intravedere quali potrebbero essere le prossime mosse del governo, che “ha ipotecato i conti pubblici e non ci sono scelte indolori”: il bivio, ora, è tra “rincaro Iva” o “far salire il deficit pubblico al 3,5%”. Per annullare il primo e fare la correzione richiesta sui conti “servirebbero 32 miliardi di euro senza risorse per la crescita”. Così appare “inevitabile un aumento delle tasse”. “L’Italia – dice il capoeconomista di Confindustria Andrea Montanino – deve evitare di andare oltre il 3% nel rapporto deficit-Pil: sarebbe un segnale molto negativo per i mercati. Il fatto che lo spread non si è richiuso significa che continuiamo ad essere un paese sotto osservazione. Verremmo puniti dai mercati”.

Per il leader di Confindustria Boccia “bisogna reagire al rallentamento ed avere chiari due step: come reagiamo alla previsione di una crescita zero e quindi come facciamo a crescere, e come affrontiamo la prossima legge di bilancio”. Si deve agire “su tre assi”, dice Boccia: “infrastrutture, credito, crescita intendendola come riattivazione degli investimenti”. Aprire i cantieri, utilizzando “risorse già stanziate, senza ricorso al deficit” può dare uno ‘shock’ positivo all’economia, “un bel messaggio all’interno ed all’esterno del Paese”. Sono “politiche a costo zero”, come dare più sostegno alle imprese sul fronte del credito e accelerando i pagamenti della Pa. Serve “consapevolezza della fase delicata” che vive l’economia, e “avere una visione di medio-lungo termine, mission chiare, una visione dell’Italia”; “non dividersi ma unirci, non cercare colpevoli”, né in Europa né nel Paese, “ma individuare soluzioni”. Non bisogna pensare a “individuare colpe di qualcuno” ma “partire dal fatto che il rallentamento è maggiore del previsto e questo ci obbliga a reagire e trovare soluzione”. Se si lavora per “recuperare certezza del futuro, ed il primato della politica, la fiducia si ricostruisce”. Con la legge di bilancio serve “attenzione sulle ragioni dello sviluppo: dobbiamo recuperare molto”.

“Attenzione alla Cina”

Con la Cina serve “molta attenzione”, avverte il capoeconomista di Confindustria, Andrea Montanino, che sottolinea un modus operandi nei Paesi dove ha fatto accordi “non con investimenti in equity, con prestiti che spesso non riescono ad essere ripagati perchè le condizioni non sono ottimali, spesso non trasparenti”. Accordi rivolti a “Paesi in una situazione debole economicamente. E se noi siamo considerati così dobbiamo stare particolarmente attenti”. Il rapporto del Centro studi di Confindustria, presentato oggi, commenta le opportunità legate all’accordo sulle nuove vie della seta (“in posizione privilegiata” perché “il 60% degli scambi europei con la Cina avviene via mare”) ma avverte che “le tensioni strategiche sino-americane, anche in caso di accordo bilaterale, si riverseranno in territorio europeo”, dal tema degli investimenti cinesi al “5G di Huawei”. E sottolinea: “una maggiore cooperazione con la Cina è necessaria ma senza rotture con il principale alleato atlantico e soprattutto costruendo una posizione negoziale forte”.

L’analisi di Tria

Proprio in Cina è approdato Tria dopo la visita ufficiale a Singapore, su invito dell’ex governatore della Banca Centrale cinese Zhou Xiaochuan, attuale vice presidente del Boao Forum. “Contrastare il rallentamento, puntare tutto sulla crescita”, ha scritto Tria, riportando quanto espresso intervenendo al Forum annuale di Boao (la Davos d’Asia), nell’isola meridionale cinese di Hainan. “Tutti temono l’arrivo di una crisi finanziaria che possa provocare una crisi economica globale per una sorta di riflesso condizionato dalla grande crisi del 2008. Il mio timore, invece, è opposto. Temo che dal rallentamento dell’economia, soprattutto se dovesse accentuarsi, possa nascere una crisi finanziaria globale”. La frenata in Europa dell’economia tedesca e i segnali preoccupanti in arrivo dalla Cina, come emerge dagli ultimi dati sul calo del 14% annuo (i minimi da fine 2011) dei profitti industriali nel primo bimestre 2019, tracciano scenari complessi.

Con Zhou il ministro ha avuto, alla presenza di un nutrito gruppo di imprenditori italiani, un dibattito a porte chiuse sulle prospettive dell’economia italiana, cinese, europea e mondiale in questo periodo di incertezze generalizzate. Grazie ai molti contatti costruiti durante il suo passato accademico da un lato, e ai frequenti viaggi in Cina, dall’altro, Tria ha continuato anche a Boao “a tessere la tela della sua campagna per far meglio conoscere in Asia l’Italia e le molte opportunità che ha da offrire sul proprio mercato” e insieme cogliere quelle “sui mercati della promettente nuova frontiera del Pacifico”.

In Cina Tria ha anche detto, secondo quanto riportato da Bloomberg, che il deficit dell’Italia “è sotto controllo, ma dobbiamo tagliare il debito”, e che “non possiamo avere una stretta alle nostre politiche fiscali a causa della recessione”, ha aggiunto. “Non possiamo avere una stretta alle nostre politiche fiscali in prevalenza perché siamo nel mezzo di questa recessione e rallentamento”, ha osservato Tria, secondo cui “dobbiamo aumentare il nostro tasso di crescita e intraprendere un passo di riduzione del rapporto debito/Pil”. Il debito italiano è al 132,1% rispetto al Pil, piazzandosi al secondo posto nell’eurozona dopo la Grecia. Il ministero dell’Economia, secondo il Sole 24 Ore, potrebbe tagliare le sue stime di crescita per il 2019 ad appena lo 0,1%, a fronte dell’1% stimato a dicembre, con un deficit al 2,4% del Pil contro il 2,04% concordato con l’Ue a fine 2018.

Anche il deficit “deve essere ridotto, ma crediamo sia sotto controllo” malgrado il Paese si trovi “tra la recessione e la stagnazione. Il nostro tasso di crescita dipende pure da cosa avviene nel commercio a livello globale”. C’è una “interdipendenza molto forte tra il settore manifatturiero in Italia e il settore manifatturiero tedesco, e ora siamo in una fase di rallentamento del comparto manifatturiero tedesco”. Senza un coordinamento delle “politiche macroeconomiche tra le grandi aeree, Asia, Cina, Europa e Usa, rischiamo di entrare in un grande rallentamento, una possibile recessione”.

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