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E se la blockchain non fosse così sicura?

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“Faccio uso di bitcoin e dormo sonni tranquilli”. Tradotto: credo nella sicurezza della blockchain. È a Singapore Roberto Capodieci, 44 anni, esperto in finance technology ed ex membro della NXT foundation. Dall’altra parte del mondo, in Italia, nel cuore della campagna aretina in Toscana, Mario Magini, 69 anni, consulente in sistemi finanziari e sistemi di sicurezza, con la passione per la vita agreste, la vela ed il jazz. Per lui – ex dirigente business Actalis, società interbancaria di sicurezza – “la blockchain – dall’inglese una catena di blocchi legati tra loro, replicata su un numero vasto di nodi indipendenti – ci dà molte garanzie sull’immutabilità dei dati: è più facile per un hacker attaccare e modificare il singolo database di una Asl, tanto per intenderci”.

Due generazioni si mettono a confronto per Fortune Italia, con due approcci differenti ma entrambi molto stimolanti di guardare alle ultime frontiere dell’informatica e del digitale. Benvenuti nel mondo della blockchain, un database di contenuti decentralizzato, distribuito su un network, che per definizione è di proprietà di tutti. Ma la realtà delle sue applicazioni dice che di problemi ce ne sono ancora: dal mito della ‘democrazia’ blockchain messo in pericolo dal mining alla sicurezza delle rete, che, basata sulla ‘proof of work’, è più vulnerabile di quanto si pensi. E qualcuno è già riuscito a sconfiggerla.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio.

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