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Il dopo Siri è sull’economia

Armando Siri è fuori dal governo. Il sottosegretario leghista, indagato per corruzione, viene ‘destituito’ con un atto amministrativo. “Ci sarà un decreto per la revoca di Armando Siri. Dal Cdm, dopo una discussione franca e non banale, c’è stata piena fiducia sul mio operato e il governo ha preso la decisione più giusta”, la sintesi del premier Giuseppe Conte. Una scelta che ha visto comunque Lega e Cinquestelle contro fino all’ultimo momento utile prima della decisione finale. E se le ricostruzioni ufficiali descrivono un clima civile, restano il dato politico e le conseguenze sull’operatività del governo. La lettura più immediata è quella di una vittoria di Luigi Di Maio e del M5S e di una sostanziale sconfitta di Matteo Salvini e della Lega. “In una giornata come quella di oggi in cui l’Italia è scossa da inchieste su temi che riguardano la cosa pubblica, per me è altrettanto importante che il governo oggi abbia dato un segnale di discontinuità rispetto al passato”, può rivendicare il leader Cinquestelle.

Ma, a venti giorni dalle elezioni europee che potrebbero cambiare gli equilibri interni alla maggioranza, la sorte di Siri può anche rivelarsi un passaggio più significativo del sacrificio di un sottosegretario. La prima indicazione che arriva da fonti del Carroccio inizia a tracciare la strada: fiducia a Conte ma con un cambio di prospettiva, “Basta coi litigi e con le polemiche, ci sono tantissime cose da fare: flat tax per famiglie, imprese e lavoratori dipendenti, autonomia, riforma della giustizia, apertura dei cantieri, sviluppo e infrastrutture: basta chiacchiere, basta coi no e i rinvii”.

Quindi, crescita, sviluppo, economia. Ovvero il terreno su cui questo governo finora ha fanno meno e peggio. La Lega, soprattutto nella sua anima di governo, quella che ha nel sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti il suo punto di riferimento, da tempo denuncia quello che viene considerato un immobilismo non più tollerabile. I no dei Cinquestelle sulle infrastrutture, i veti sull’autonomia delle Regioni, il margine di manovra ridottissimo sul fronte fiscale sono temi sensibili che possono innescare nuovi focolai di scontro.

Che l’economia sia il terreno su cui si decideranno le sorti dell’alleanza giallo-verde è ben chiaro anche allo stesso Di Maio. Dello sforamento del 3%, dice, “se ne può parlare ma prima assicuriamoci di trovare i soldi dalla lotta all’evasione e realizziamo la spending review. Detto questo non credo che Orban e gli altri paesi dell’Est Europa siano così d’accordo. Invito quindi a coalizzarsi con forze politiche che tengono all’Italia”. E fin qui è ancora campagna elettorale. Poi ci sono i prossimi presunti sviluppi. “Ho detto anche in Cdm che bisogna convocare subito un vertice di governo su salario minimo e flat tax, e chi le propone porta anche le coperture. Il mio obiettivo è non aumentare Iva e abbassare le tasse agli italiani. Lotta all’evasione seria e spending review sono i due obiettivi che ci dovremo dare”, spiega il leader Cinquestelle. La realtà è che fino alle elezioni non si muoverà nulla e che, dopo, tutto dipenderà dai reali rapporti di forza. Anche perché c’è una manovra monstre da mettere in piedi e la possibilità che si debba fare i conti anche con una procedura di infrazione Ue è piuttosto concreta.

E se finora sono stati i sondaggi, soprattutto quelli riservati, a orientare gli umori e a far accendere spie di allarme sia in casa Cinquestelle sia, con proporzioni diverse, in casa Lega, saranno i risultati delle urne a indicare chi sarà in grado effettivamente di dare le carte.

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