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Blockchain ladies, l’altra faccia della moneta digitale

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‘Blockchain Ladies’ nasce da un’idea di Caterina Ferrara, advisor e community manager per le Ico, sistemi alternativi di crowdfunding legati al mondo delle valute digitali.

C’era una volta, nel lontano 1992, quando l’utilizzo di fax, email e internet stava entrando nel mainstream, e di pari passo lo spamming assumeva proporzioni virali, una ricercatrice informatica che stava tentando di risolvere il problema. Aveva 34 anni Cynthia Dwork, all’epoca. Laureata all’Università di Princeton, con un dottorato alla Cornell University, le sue capacità non erano passate inosservate agli occhi dei colossi del settore. Ed è proprio mentre lavorava per Ibm che, nel suo viaggio tra equazioni e nuove teorie, gettò le basi per la nascita dei Bitcoin. La scienziata aveva elaborato, insieme al collega Moni Naor, un sistema che permetteva di prevenire attacchi spam, impedendo ai ‘pirati’ del web di inviare una massiccia mole di messaggi agli utenti ordinari. Lo avevano denominato ‘pricing via processing’. Qualche anno più tardi qualcuno pensò che la tecnologia sviluppata da Dwork poteva trovare una valida applicazione nel settore finanziario. E nel ‘99 il sistema venne ribattezzato ‘proof of work’ (PoW), quello che Nakamoto – l’anonimo creatore del Bitcoin – ha definito essere l’elemento chiave del protocollo che regola il funzionamento dell’intero ecosistema della madre delle criptovalute.

Oggi Dwork insegna informatica in diverse università, tra cui Harvard, e svolge attività di ricerca per Microsoft Research. È meglio conosciuta come colei che ha sviluppato una tecnica statistica – la privacy differenziale – che permette di minimizzare i rischi per la privacy di un individuo i cui dati sono raccolti in un database, aiutando a nascondere l’identità di chi ha generato i dati. Ma il lavoro svolto da Dwork nel ‘92 rimane una pietra miliare non solo nel suo percorso lavorativo, ma nella storia del Bitcoin. Anche se non se ne parla quasi mai.

Poi ci sono altre donne, come Katherine Foster, direttore esecutivo di BLOC e di FinTech4Good, ex diplomatico, esperta di sicurezza, commercio internazionale e cambiamento climatico, e advisor per la Banca Mondiale, la quale è convinta che la blockchain giocherà un ruolo chiave nello sviluppo sostenibile, ma “vanno affrontate la questione dell’interoperabilità e della scalabilità”. E c’è Faith Obafemi, avvocato esperto di digitale, chief legal officer di ChainAfrica, un progetto nato per colmare il gap esistente tra le startup africane sulla blockchain e gli investitori. Ma anche Zeenat Ali, Ceo e fondatrice di Mammoth Technologies, che sta sviluppando un’applicazione per l’assistenza sanitaria su tecnologia blockchain, e non ha dubbi sul fatto che quella della blockchain sia “la seconda Era della democrazia, che fornisce livelli senza precedenti di privacy e sicurezza”.

Tutte queste donne, che si sono avvicinate al mondo di Cynthia Dwork, non hanno in comune solo la passione per i dati, il digitale, la tecnologia spinta e ciò che ruota intorno al mondo della blockchain e delle criptovalute, ma condividono qualcosa in più. Uno spazio virtuale dove possono incontrarsi e scambiarsi informazioni. Una community che amplifica la voce delle donne che ne fanno parte e crea valore.

‘Blockchain Ladies’ nasce da un’idea di Caterina Ferrara, advisor e community manager per le Ico, sistemi alternativi di crowdfunding legati al mondo delle valute digitali, per il finanziamento di startup che sfruttano soluzioni di blockchain. Catapultata nell’ecosistema digitale circa tre anni fa, elettrizzata dalle potenzialità di una tecnologia “che potrebbe cambiare l’economia mondiale, ma soprattutto avere un elevatissimo impatto sociale”, non ci è voluto molto prima che Ferrara sposasse la causa a 360 gradi.

Creare una valuta digitale: come quando, perché

Come advisor e community manager “lavoro con tutti quei team e quelle aziende che nel mondo decidono di creare la propria valuta digitale”, racconta a Fortune Italia. Ma perché un imprenditore dovrebbe decidere di coniarne una? “Faccio un esempio pratico – risponde Ferrara – Ho lavorato per un progetto che prevede la prenotazione di case vacanza su una piattaforma decentralizzata, che consente di pagare in criptovalute e con la valuta creata appositamente per il progetto. I vantaggi in questo caso sono molteplici, sia per l’utente che per l’imprenditore. Rispetto a realtà come Booking.com, che consentono di eseguire prenotazioni senza rivolgersi direttamente all’albergo ma fanno pagare all’utente fino al 25% di commissioni, con questo progetto su blockchain il cliente che prenota con la valuta creata ad hoc non paga più quel 25% di commissioni. Quindi – puntualizza – in primis c’è un risparmio per il cliente. In cambio l’imprenditore che detiene la valuta si accaparra una fetta di mercato che prima non ‘esisteva’: quella degli utenti che pagano con i soldi virtuali. Ma soprattutto può speculare sulla valuta che, venendo utilizzata, acquista valore. In questo modo si realizza la vera sharing economy”.

La valuta sviluppata per questa piattaforma, per la precisione, è un token. “Attenzione a distinguere tra token e criptovalute, altrimenti gli haters mi mangiano viva” sorride Ferrara, spiegando che attualmente sono quasi 2mila le valute digitali in circolazione, di queste circa 1000 token e 900 criptovalute.

“I token – precisa – si possono usare in maniera simile alle criptovalute, ma sono completamente diversi per il processo con cui sono prodotti. Per intenderci: Bitcoin è una criptovaluta perché viene generato attraverso crittografia, ha la sua blockchain, e c’è un processo chiamato ‘mining’ che serve a produrre e a generare nuovi Bitcoin. I token, invece, non vengono generati attraverso crittografia ma tramite ‘smart contract’, e non hanno la loro blockchain ma poggiano su quelle già esistenti come ethereum o altre. A livello pratico: Bitcoin è un sistema di pagamento, invece i token sono associati allo scambio di beni e servizi”.

Le Ico (Initial coin offering) – le realtà con cui si interfaccia oggi giorno Ferrara – sono progetti di crowfunding che non danno luogo a una criptovaluta, ma generano un token. “Nel momento in cui si decide di creare un token, questo è associato a un progetto di blockchain e a un’operazione di crowfunding”. Dunque, il team che decide di creare la nuova valuta digitale si impegna, attraverso un progetto articolato in diverse fasi, a realizzarla con i soldi ottenuti attraverso il crowfunding. “Viene redatto un documento denominato ‘white paper’, che contiene tutta la proposta economica legata alla valuta digitale e descrive quella che sarà la roadmap del progetto – approfondisce l’esperta – La raccolta fondi serve a implementare quel processo di blockchain legato alla valuta digitale”.

Classe ‘83, cuore napoletano, anche se la specialista dell’oro digitale lavora con i token, ha le idee chiare sul perché un cittadino comune dovrebbe comprare una criptovaluta come Bitcoin: “primo, non è soggetto a inflazione; secondo, non è soggetto a processi come il bail in, e quindi a tutti i rischi legati ad avere tutti i soldi in banca”. Inoltre, “anche se per molti criptoscettici la criptovaluta non ha valore, per noi che crediamo nel Bitocoin, il valore è intrinseco nella sua stessa tecnologia, cioè la blockchain”.

Blockchain tra app decentralizzate e supply chain

A livello globale, tra i segmenti in cui si è maggiormente affermato l’utilizzo della tecnologia blockchain c’è sicuramente il Fintech, seguito dall’industria dei giochi, dove il conio digitale diventa moneta di scambio nel mondo virtuale, spiega Ferrara. Ma un altro segmento dove si sta largamente affermando è il settore delle app decentralizzate che, per l’esperta, “potrebbero segnare l’inizio di una nuova Era della privacy”. “Adesso i dati degli utenti sono in mano a chi sviluppa l’app: dai colossi come Facebook, agli sviluppatori più piccoli, che magari li conservano su un database centralizzato e quindi facilmente hackerabile. Portando le app sulla blockchain – afferma Ferrara – i dati rimangono in mano all’utente e vi può accedere solo l’utente”.

Tra i big che viaggiano in direzione ‘virtual coin’ ci sarebbe anche Mark Zuckerberg, il quale avrebbe arruolato un team di ingegneri coordinati dall’ex presidente di PayPal David Marcus, proprio per sviluppare un token che consenta i pagamenti all’interno delle sue applicazioni. Ma prima di veder nascere una ‘Zuck-coin’ o ‘Face-coin’ secondo i rumors ci vorrà ancora un po’ di tempo. “D’altra parte per Zuck significherebbe ‘tagliarsi le gambe’ e non poter più accedere all’enorme patrimonio di dati che fanno la forza del social network”, commenta Ferrara.

In Italia, poi, in questo momento c’è molta attenzione all’utilizzo della blockchain “per la gestione della pubblica amministrazione” e, nelle aziende, per la supply chain: “si vuole portare questa tecnologia sulla catena di produzione aziendale, soprattutto nel settore agroalimentare, per tagliare le gambe alla contraffazione e tracciare la provenienza delle merci”.

La community in rosa

Nel suo vorticoso cammino in questo mondo, Ferrara si rende conto che la presenza femminile nel settore scarseggia e, da community manager d’esperienza quale è, decide di fare quello che meglio sa fare: connettere le persone. “Commmunity is power” è scritto sulla t-shirt che indossa, con l’immancabile logo ‘Blockchain ladies’. “Ho fondato questa community no profit per creare valore. Non per business. Penso che chiunque faccia qualcosa creando valore per gli altri, prima ancora che per sé stesso, poi alla fine farà sempre qualcosa di buono che porterà a qualche altra cosa di buono. È il mio principio di vita”.

Avvocati, hacker, imprenditrici, giornaliste, sono tante le donne che ogni giorno interagiscono nella community: “abbiamo una newsletter, siamo su tutti i social, da Fb a LinkedIn, ma anche un gruppo privato. Un network ricco e arricchente”. Dopo i natali a fine del 2017, Ferrara aveva da pochi giorni attivato i social della community, quando “mi contattò Tony Lane Casserly, co-fondatrice del Cointelegraph, una famosa piattaforma web per news di criprovalute. Si innamorò del progettò e divenne una delle primissime testimonial. Dopo un po’ mi contattò il TedX Napoli per tenere uno speech, e la community cominciò a crescere e a produrre progetti di collaborazione tra le utenti. Questo dimostra quanto è straordinario quando le donne si mettono insieme, e non in competizione”. Il sogno? “Vedere tutte queste donne riunite sotto il cappello di un evento dedicato. Ci stiamo lavorando”.

Connessione tra cervelli

Se creare valore, per l’esperta, è un modus vivendi, la massima espressione di questo mantra si traduce nel suo personale progetto che ha ribattezzato ‘Neuralia’. Si tratta di un progetto collaborativo di ricerca partecipata su blockchain, open source. È in fase di lavorazione e il suo sogno è concretizzarlo. “Sarebbe la prima piattaforma di crowdsourcing su blockchain – spiega Ferrara – Conosciamo il crowdfunding, meno il crowdsourcing, cioè la ricerca di persone che condividono il proprio know how al servizio di progetti condivisi su blockchain. Neuralia sarebbe una piattaforma sulla quale chiunque può condividere teorie scientifiche in modo che chiunque possa collaborare a tali teorie. E tutto questo su blockchain per democratizzare il processo di ricerca scientifica, per consentire a chiunque di prendere parte a queste iniziative. È anche un modo per recuperare la ricerca di base”. E attraverso Neuralia creare la ‘communication inter-brain’: “Elon Musk vuole connettere una macchina a un cervello umano. Io voglio dimostrare che è possibile la comunicazione tra cervelli umani. Gli lancio una sfida: vediamo chi realizza prima il suo progetto”.

Articolo di Attilia Burke apparso sul numero di Fortune Italia di maggio 2019.

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