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La chiave è il prodotto: 3 storie d’impresa sull’export

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Tre storie d’impresa, tutte nate nel Lazio, e una prospettiva comune: trovare, o rafforzare, la propria dimensione internazionale. Optimares, Gentilini e Tecla puntano sul Made in Italy di qualità.

Optimares è nata nel 2009 a Sezze, in provincia di Latina. Si occupa di aerei: fornisce poltrone e interni per compagnie di volo sparse un po’ ovunque nel mondo, dal Medio Oriente al Pacifico. Nel 2017 ha totalizzato 18,8 mln di euro di fatturato. È stata fondata da quattro manager: uno dei quattro è l’attuale amministratore delegato, Alessandro Braca, che ricorda bene cosa abbia voluto dire affacciarsi nel mondo internazionale del business, appena dopo la nascita dell’azienda. “Il nostro primo grande cliente è stata Haiwaian Airlines. Per un committente è un rischio dare un ordine da decine di milioni di euro a un’azienda, all’epoca, piccola come la nostra, perché magari non riuscirà a soddisfare la richiesta”. Il Ceo della compagnia si rivolse a Braca così: “Tu hai capito che qui ci giochiamo la carriera, su di te”. La risposta: “Io mi gioco proprio l’azienda: se qualcosa non va bene con un ordine del genere chiudo i battenti”. La replica: “Beh, se dobbiamo giocarci la carriera sul prodotto che abbiamo visto, lo facciamo volentieri”.

La conversazione portò a 30 mln di euro di commessa. Ma soprattutto insegnò all’Ad della Optimares una lezione preziosa per chi vuole operare su un mercato internazionale, esportando il proprio prodotto all’estero: “è il prodotto che guida tutto il processo”.

L’azienda di Braca si muove in un comparto – quello degli ‘aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi’, come li chiama Unindustria – che, per il Lazio, nel 2018 ha fruttato 1 mld di euro di export, il 17,4% della quota nazionale del settore. Non è l’unico ad avere un ruolo importante nella dimensione internazionale della regione, che ha esportato più di 9 mld di euro di articoli farmaceutici (il 35,3% della quota nazionale), quasi 2 mld di euro di autoveicoli (8,5%), e 1,8 mld di prodotti chimici (5,9%) – tra i quali i cosmetici, con una quota nazionale del 12%. Aggiungendo metalli, prodotti tessili, computer e altri comparti, l’internazionalizzazione laziale ha fruttato in tutto 22,5 mld di euro.

Il settore dei prodotti alimentari (che Unindustria mette insieme a bevande e tabacco) ha numeri più contenuti, per il Lazio: frutta 733 mln di euro (2,1% della quota nazionale) ed è in leggera crescita (+1,4%) rispetto al 2017. In questo settore c’è chi un processo di internazionalizzazione sta cercando di lanciarlo: la Gentilini. L’azienda dolciaria di Roma, nel 2018, ha registrato un fatturato pari a 30 mln di euro. Di questi l’export rappresenta circa l’1%: “per la nostra azienda ha ancora un valore residuale”, ammette Paolo Gentilini, presidente dell’azienda che, in Italia, gode di un posizionamento “premium” nel mercato di prodotti da forno, biscotti e fette biscottate.

Eppure la storia dell’azienda era partita con un’impronta internazionale: sin dalla sua nascita, nel 1890, “la Gentilini ha avuto questa vocazione di far arrivare i propri prodotti fino ai vicini Paesi europei, in particolare Francia, Spagna, Germania cui il fondatore dedicò anche dei biscotti (Parigi, Madrid, Berlino), e per l’epoca superare i confini italiani era già molto”. Già nella Guida Monaci del 1906 si legge che la Gentilini esporta i propri prodotti, racconta il presidente. Ma “con le due guerre mondiali e il successivo boom economico, l’azienda ha rivolto la propria produzione essenzialmente al territorio romano e italiano, ritornando soltanto recentemente ad affacciarsi nei mercati esteri”. Nel 2018, infatti, Gentilini ha “vinto bandi pubblici per l’internazionalizzazione”, sta portando avanti progetti per implementare la propria presenza “in Europa e in Canada”, e ha inaugurato il 2019 svolgendo diverse attività di analisi dei mercati esteri, al fine di “individuare i paesi più ricettivi e interessati all’offerta” e “mettere a punto un piano di internazionalizzazione di medio-lungo periodo”. D’altronde, “i consumi italiani sono ormai da alcuni anni stabili e la crescita delle aziende, soprattutto appartenenti al comparto alimentare, è da ricercare nelle esportazioni”, dice il presidente.

Anche per Gentilini, come per le poltrone d’alta quota di Optimares, è il prodotto a guidare l’espansione verso l’esterno, unito al brand: forte di una connotazione Made in Italy di partenza dovuta al tipo di settore – “la colazione dolce è un’abitudine tipicamente italiana”, dice Gentilini – l’azienda ha già avuto modo di conoscere i gusti degli stranieri, che apprezzano “le confezioni regalo, i biscotti da tè e i prodotti da ricorrenza”. Ad aiutare Gentilini nella diffusione oltreconfine c’è Eataly, “ad oggi il nostro principale partner commerciale per l’estero, che distribuisce biscotti e fette biscottate creati in co-marketing in tutte le proprie filiali estere. Con i prodotti a nostro marchio esclusivo esportiamo soprattutto nell’Europa settentrionale e negli Usa”.

Il concetto di partenariato e co-branding è fondamentale anche per Optimares – che, per costituzione, guarda totalmente all’estero – e riguarda la strutturazione stessa della linea industriale, più snella rispetto ai competitor grazie all’esternalizzazione delle competenze. “Siamo un’azienda posizionata su un livello alto, forniamo prodotti che vengono utilizzati in classi business e premium. Per questo i marchi del nostro network sono marchi con riconoscibilità, come Poltrona Frau e Ibm”, afferma l’Ad. “Normalmente utilizziamo una decina di capofila, ma poi in una singola commessa i fornitori possono arrivare a 50”. L’obiettivo di Optimares è arrivare a “un fatturato di 100 mln, con 100 persone all’interno dell’azienda”. Per farlo, può già fare affidamento su un moltiplicatore di 1 a 10: “probabilmente ogni volta che utilizziamo 15 risorse interne, nel network di imprese che abbiamo creato si attivano più di 150 persone a tutti i livelli; non solo manufacturing, ma anche ingegneria e regolamentazione”.

Naturalmente, le “risorse interne” devono essere adatte a un’impresa di respiro internazionale. Il fatto che l’intera azienda sia sempre sul ‘fronte’, richiede da parte del personale una certa dose di autonomia: tecnica e relazionale. Gli operai della Optimares “installano i nostri prodotti in giro per il mondo. Non solo devono avere competenza comunicativa e linguistica, ma devono anche saper prendere delle decisioni: se stai lavorando a Seattle, non puoi chiamare il tuo capo in Italia per chiedere consiglio: qui è notte”.

La predisposizione all’export parte naturalmente dai vertici: “il fatto che il management parli più lingue e sia disposto a visitare clienti stranieri direttamente, senza agenti o rappresentanti, nonché la capacità di creare rapporti di partnership, sono fattori che hanno permesso i risultati economici” di Ceramiche Tecla, raccontati dal suo General manager, Stefania Palamides. Nel 2018 il fatturato dell’impresa di Civita Castellana, in provincia di Viterbo, è stato di circa 4,8 mln di euro con un aumento del 15% sull’anno precedente. Circa l’87% del fatturato deriva dall’export. Una dimensione internazionale fondata non solo sulle competenze del personale – anche se avere una squadra di designers al lavoro su tre nuove linee di lavabi e sul restyling dell’immagine aziendale aiuta – ma, anche qui, sulle caratteristiche stesse del prodotto che Tecla cerca di esportare e vendere a mobilieri e fabbricanti di mobili da bagno di fascia medio-alta. “Due anni fa abbiamo deciso di abbandonare la produzione di piatti doccia, per dedicarci esclusivamente alla produzione di lavabi d’arredo che vanno da 40 a 160 cm di misura – dismissione che ha provocato un’iniziale perdita del fatturato, ormai già recuperata, secondo Palamides – Queste misure sono quelle più usate in quasi tutto il mondo: altre, tipicamente italiane, non vengono altrettanto utilizzate”.

Il dato dell’export nazionale, così come quello laziale, nell’ultimo anno è rallentato. Dopo il balzo del 2017 – quando l’export del Lazio aveva segnato un +20,1% – lo scorso anno la regione ha riportato una flessione di oltre 4 punti percentuali (1 miliardo in meno), in un quadro di rallentamento generale delle esportazioni nazionali: dal +7,6% del 2017 al +3,1% del 2018. Ma rispetto al 2016 – sempre secondo Unindustria, che basa i suoi numeri sui dati Istat – il risultato del 2018 (+15%) resta comunque elevato e superiore alla media nazionale (+11%). I conti sembrano mostrare sia le difficoltà relative alle oscillazioni del mercato, che la ricchezza delle risorse di base per affrontarle. Basta pensare al cibo, di solito il primo comparto che viene in mente quando si parla di Made in Italy, che “è un motivo di vanto del nostro Paese, riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo”, dice Gentilini. Ma per far sì che abbia valore sul mercato, il Made in Italy va anche difeso: “il criterio di scelta del consumatore” non deve essere “basato sul prezzo, ma sulla qualità e caratteristiche dell’offerta”.

Articolo di Alessandro Pulcini apparso sul numero di Fortune Italia di aprile 2019.

 

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