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Manovra, la partita dei veti incrociati

Fare una manovra preparata dalla politica economica di un altro, per giunta sbagliata, è un esercizio complicato. Ma la responsabilità che si è assunto questo governo, in particolare il Pd che ne è la componente nuova, è legata alla possibilità di creare una discontinuità. Lo spazio in cui ci si muove è però strettissimo.

Il Def giallo-verde è la cornice, solo superficialmente ridefinita dalla Nadef giallo-rossa, che imporrebbe scelte drastiche. Pensioni (quota 100) e reddito di cittadinanza, che catalizzano quasi tutta la spesa prevista, da una parte, e i 23 mld che servono a evitare l’aumento dell’Iva, dall’altra, impediscono di pensare a finanziare seriamente le misure che servirebbero, a partire dal taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori. Servirebbero entrate, o tagli di spesa, strutturali. Non bastano le acrobazie contabili per sostenere un taglio del costo del lavoro che, per la sua stessa natura, non avrebbe senso se fosse solo temporaneo. E non basta neanche il tentativo, da incoraggiare, di puntare su una seria lotta all’evasione fiscale. In estrema sintesi, c’è un problema di numeri.

Ora, con i Cinquestelle ancora al governo, è difficile che si possa pensare di smontare il reddito di cittadinanza. Sull’Iva già si è scatenata la bagarre al solo accenno della possibilità di rimodulare alcune aliquote. Resta quota 100. Ma, anche su questo fronte, sconfessare una misura appena varata rappresenterebbe un costo alto, soprattutto in termini di popolarità. Eloquente lo scambio a distanza fra Renzi e Matteo Salvini. “Quota 100 è pensato solo per chi ha già diritti. Togliere quella misura per destinare i soldi alle famiglie e allo stipendio dei lavoratori sarebbe giusto. E molto utile. Via quota 100, più risorse ai figli e ai salari”, dice il primo. “Ho letto che i renziani vorrebbero abolire ‘quota 100’ e tornare alla Fornero. Noi faremo le barricate, se succede li teniamo chiusi in Parlamento giorno e notte”, la replica.

Come si risolve il rebus? Per ora siamo alla solita logica dei veti incrociati: per Italia Viva l’Iva non si alza, per i Cinquestelle il reddito di cittadinanza e quota 100 non si toccano. E il Pd? Gli uomini di Zingaretti studiano soluzioni e provano ad aprire dei varchi. Come ha fatto Dario Franceschini con la possibilità di rivedere parzialmente le aliquote Iva. Ma è finito sommerso dal fuoco dell’improvvisato asse Renzi-Di Maio. O come ha fatto già qualche settimana fa l’ex ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, sostenendo: “Quota 100 è una misura che io ho sempre ritenuto dannosa e dovrà essere gradualmente eliminata per essere rimpiazzata da misure che funzionano meglio”. Dice giustamente gradualmente, perché non si possono cancellare con un segno di penna misure del genere, a meno che non si voglia ripetere la gloriosa operazione esodati. Ma la gradualità non assicura risorse da impegnare subito. Lo stesso Zingaretti si limita a constatazioni generiche: “Mi sembra che ci siano ottimi segnali, checche’ se ne dica si sta riuscendo a mettere in campo una manovra che aiuterà la competitività, l’equità, la giustizia del paese”.

Segnali, forse, ma poco altro. È probabile a questo punto che si arrivi a una serie di misure, dal taglio del cuneo fiscale a quelle per la famiglia, passando per lo stop al superticket sanitario, solo abbozzate, almeno nella loro parte sostanziale, quella della dotazione economica. Un accenno di discontinuità, una lista di buoni propositi. In attesa di trovare la forza per una sostanziale revisione della spesa che liberi le risorse che servono a invertire veramente la rotta.

 

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