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Unicredit, Mustier: l’addio a Mediobanca è solo disinvestimento

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Il risultato netto del terzo trimestre di Unicredit “è stato ancora una volta uno dei migliori trimestri raggiunti in un decennio”, anche grazie a “un’attenzione alla gestione disciplinata dei costi, che continua a produrre risultati”. Così Jean Pierre Mustier commenta i conti Unicredit: un utile nei primi 9 mesi di 4,3 mld (quello rettificato è di 3,3 mld, +8,2%, con un rote rettificato dell’8,7%) e un terzo trimestre in rialzo del 25,7% a 1,1 mld (dato sopra il consensus, la stima degli analisti era di 1,03 mld di euro). Conti che però ancora non contengono (se ne parla nel quarto trimestre) i numeri dell’operazione annunciata ieri sera: la cessione, da parte di Unicredit, della sua quota in Mediobanca.

Un’uscita definitiva avvenuta attraverso un accelerated bookbuilding sull’8,4% di Mediobanca. Il corrispettivo dell’operazione ammonta a circa 785 milioni di euro, prodotti dalla vendita di circa 74,5 milioni di azioni ordinarie di Piazzetta Cuccia ad un prezzo di 10,53 euro per azione. Lo sconto è del 2,3% circa rispetto all’ultimo prezzo di chiusura pre-annuncio.

L’impatto sul Cet1 è neutrale. Si tratta, ha detto il Ceo, solo di disinvestimento. Nella call con i giornalisti Mustier ribadisce, infatti, che l’impatto sul Cet è neutrale: “con il patto light la nostra quota è stata definita non strategica e, in linea con la strategia di cedere le partecipazioni non strategiche, l’abbiamo venduta”. “Se non fossimo stati azionisti di Mediobanca avrebbe avuto senso comprare una quota? Assolutamente no. Non è strategica, è un’altra banca, è un concorrente”. Per cui, “abbiamo venduto con un profitto irrilevante e ora andiamo avanti”, conclude.

Si tratta in ogni caso di una scossa agli assetti che finora hanno retto Piazzetta Cuccia, da sempre prima azionista di Generali. “Generali è una compagnia molto ben gestita. Abbiamo sempre ribadito l’auspicio che resti indipendente, italiana e internazionale. Avevamo proposto un patto forte tra gli azionisti di Mediobanca per proteggere” Piazzetta Cuccia e “le sue controllate” ma la “nostra proposta è stata respinta”, ha detto Mustier ai giornalisti, con i quali ha commentato anche lo stato attuale di Mediobanca (“assolutamente ben amministrata”, “siamo rimasti soddisfatti per quello che il management ha fatto durante la crisi”), ma non il tema che sembra ispirare più cautela nell’Ad.

Mustier infatti declina qualsiasi commento su Leonardo Del Vecchio dopo che il patron Luxottica è diventato, con l’uscita di Unicredit, il primo azionista in Piazzetta Cuccia. “Nessun commento su clienti o azionisti”, ha detto, e “abbiamo gestito la nostra quota in Mediobanca indipendentemente”, ha aggiunto rispondendo a chi gli ha chiesto se abbia avuto contatti con Delfin.

Attraverso l’accelerated book bulding, realizzato da BofA Securities, Morgan Stanley (due colossi che conosco bene l’equity di Mediobanca) e UniCredit Corporate & Investment Banking, Mustier dà anche un segnale al mercato per togliere la sensazione diffusa, soprattutto fra gli investitori esteri, che Unicredit abbia fornito un assist al blitz col quale Leonardo Del Vecchio è entrato un mese e mezzo in Mediobanca con una quota del 6,94% per poi portarsi al 7,5% e l’idea, da valutare, di chiedere alla Bce di salire ben oltre la soglia del 10%, secondo il Financial Times sopra il 20%.

Se la strada che Delfin percorrerà sarà questa dovrà continuare ad acquistare le azioni, in linea con quanto avvenuto finora, sul mercato o, in alternativa, da altri soci come Vincent Bolloré che nel giro di un anno, dalla sua uscita dal patto di Piazzetta Cuccia, ha già ridotto la l’impegno nell’istituto dal 7,8 al 6,7%. D’altra parte i rapporti di Unicredit col proprio socio (al 2%) Del Vecchio, col quale ha condiviso la battaglia per il piano di sviluppo dello Ieo poi bocciato da Nagel, erano e restano ottimi. E il rafforzamento del patron di EssilorLuxottica in Mediobanca può esser eletto anche con la volontà condivisa dagli altri altri azionisti privati di Generali (dove del Vecchio ha quasi il 5% dietro a Caltagirone), di mantenere il Leone in mani italiane al cambiare degli equilibri nel suo maggiore socio (al 13%), Mediobanca. Qui con il disimpegno di Unicredit resta un patto light ulteriormente svuotato che vede come uniche presenze di peso quelle di Mediolanum (3,28%), Edizione dei Benetton (2,1%), Fininvest (2%) e con quote minori gli altri soci storici.

La mossa ricalca le modalità con la quale Unicredit ha ceduto Fineco. In Piazzetta Cuccia l’uscita è stata ben accolta. Ha infatti l’effetto di aumentare il flottante facendo della banca sempre più una public company. Nel contempo l’addio scioglie il conflitto di interesse legato al fatto che anche Unicredit opera nell’investment banking, l’attività storica dell’istituto nato sotto la guida di Enrico Cuccia dalle ex Bin, il Credito Italiano, la Comit e la Banca di Roma.

Tornando ai conti, c’è anche il capitolo Npl: “Confermiamo il miglioramento delle esposizioni creditizie deteriorate lorde della Non Core che saranno inferiori a 10 miliardi di euro alla fine del 2019 mentre il rapporto tra crediti deteriorati lordi e il totale crediti lordi del Group Core si attesta ora ad un livello basso di 3,6%”, ha detto il ceo di Unicredit. “Dal lancio di Transform 2019, – rileva – le esposizioni creditizie deteriorate lorde di gruppo sono scese di quasi 50 miliardi”. Unicredit conferma poi la guidance sul 2019 che prevede ricavi 18,7 miliardi e un utile netto rettificato a 4,7 miliardi, rote maggiore del 9% e rote del group core maggiore 10% per l’intero 2019. Le esposizioni creditizie deteriorate lorde della non core sono indicate sotto i 10 miliardi. Il target costi è confermato a 10,1 miliardi. L’obiettivo di costo del rischio è confermato a 55 punti base.

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