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Moody’s vede ripresina Italia, ma lo spread sfiora 170

di Domenico Conti – La Germania che schiva una recessione data ormai per scontata. L’Italia in lieve ripresa secondo Moody’s. Arriva dall’Europa l’improbabile schiarita in un orizzonte economico globale pieno di nubi, ma gli investitori non si fidano: lo spread vola a un passo da 170, livello mai toccato durante il governo ‘Conte bis’.

Il differenziale Btp-Bund è schizzato fino a 168 punti base, livello che non si registrava da fine agosto, fra le fibrillazioni del governo e la difficoltosa formazione della maggioranza ‘giallo-rossa’. Una reazione tecnica: ci sarebbero dietro prese di beneficio, forse il ‘tiering’ della Bce e l’ipotesi di un accordo europeo sull’assicurazione dei depositi Ue che indurrebbe le banche a scaricare Btp. Ma anche i timori per le difficoltà dell’esecutivo, che in caso di elezioni rischierebbero di riaprire le porte di Palazzo Chigi a una Lega percepita dagli investitori come anti-euro.

Un nervosismo che arriva a dispetto di numeri e stime che sembrano smentire i ‘gufi’ dell’Eurozona, che ha chiuso il terzo trimestre con un +0,2% di crescita. L’Italia, che ha fatto +0,1%, secondo Moody’s potrebbe evitare il peggio: “un contesto politico più stabile, un continuo slancio positivo nell’area dell’euro e una combinazione di politiche monetarie e fiscali porta una ripresa, seppure lenta, dell’economia” italiana, che probabilmente registrerà “un magro 0,2% quest’anno, seguito da un tiepido 0,5% nel 2020 e dallo 0,7% nel 2021”.

A sorpresa, smentendo le previsioni per un -0,1% che avrebbe decretato la recessione tecnica, nel terzo trimestre l’economia tedesca ha segnato +0,1%. Certo, la crescita risente della revisione in peggio della crescita nel secondo trimestre, a -0,2% da -0,1%. Si sono fermati gli investimenti in macchinari ed equipaggiamenti nell’incertezza dei dazi. Con il rischio, nel quarto trimestre, che la peggior fase del manifatturiero tedesco in un decennio – che ha al centro la gelata del settore automobilistico – dovesse ‘contagiare’ il settore dei servizi.

Nel complesso però i numeri di oggi potrebbero riservare qualche sorpresa al rialzo per un 2020 che in molti prevedono fosco, dopo un 2019 che Berlino chiuderà intorno allo 0,5% di crescita (2,5% due anni fa): come certifica Timo Wollmershaeuser dell’Ifo, la recessione manifatturiera “sta rallentando” e “dovrebbe continuare ad allentarsi” se una guerra dei dazi vera e propria e una hard Brexit saranno evitate.

Sull’altro piatto della bilancia c’è che i dati di oggi fanno dire al ministro delle Finanze Olaf Scholz che “non c’è mai stato un motivo particolare” per discutere uno stimolo di bilancio”. E poi ci sono i segnali d’allarme dalle due maggiori economie asiatiche, che testimoniano quanto l’impasse sui dazi stia vistosamente deprimendo il settore manifatturiero a livello globale.

In Giappone, la crescita (annualizzata) è crollata ad appena +0,2% contro attese per +0,9%, e ora non si esclude vada in negativo nel quarto trimestre. In Cina, sia la produzione industriale che le vendite al dettaglio hanno mancato le previsioni, ma soprattutto gli investimenti fissi lordi hanno tirato il freno a mano, +5,2% nei primi 10 mesi dell’anno, il dato peggiore di sempre.

Con il motore tedesco e quello cinese ai minimi, l’unico vero traino per la crescita globale restano gli Usa. E a decidere delle sorti dell’economia globale nel 2020 sarà in larga parte Washington nel suo negoziato con Pechino. Forse saranno le elezioni Usa e i rischi globali a suggerire prudenza: come avverte l’Institute of International Finance i debito mondiale ha segnato un nuovo record a 250.900 miliardi di dollari. Con i Paesi emergenti fortemente indebitati in valuta estera, una frenata ulteriore della crescita mondiale per colpa dei dazi rischia di provocare danni ingenti.

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