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Riforma delle autonomie, Boccia: Abbiamo bisogno di una rotta

francesco boccia autonomie affari regionali

Il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, è impegnato nella riforma delle autonomie. Un tema cruciale che si inserisce in un ragionamento più ampio sulle priorità per il nuovo decennio. Di Caterina D’Ambrosio.

Laureato in Scienze Politiche, master alla Bocconi, già ricercatore alla London School of Economics e docente in diversi atenei, Francesco Boccia è oggi il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie. Un percorso politico tutto interno al Pd, esperto dei principali temi economici, primo firmatario della legge che ha riformato il bilancio dello Stato ridisegnando di fatto l’assetto delle regole della finanza pubblica. Appassionato di sport, tifoso della Juventus, esperto di nuove tecnologie, Nicola Zingaretti lo ha nominato nella segreteria come responsabile Economia e società digitale, ma è la riforma delle autonomie ad assorbire gran parte del suo lavoro di governo.

Come ministro le spetta forse il compito più impegnativo, portare a compimento l’autonomia regionale nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione

Stiamo andando sull’unica strada che indica la Costituzione, vale a dire una possibile attuazione dell’art. 116 che completa il processo di autonomia delle Regioni e degli Enti Territoriali del nostro Paese, ma rispettando tutti gli articoli del Titolo V che consentono l’autonomia di essere percepita per quello che deve essere. L’autonomia ha senso se rispetta il principio di sussidiarietà che è scolpito nella Costituzione, inteso come nuovo modello sociale. Se è questo il percorso, non potrà che applicarsi anche l’art. 119, vale a dire perequazione delle e tra le Regioni a statuto ordinario, e perequazione con tutto il sistema degli enti territoriali. Oltre a quella infrastrutturale e quella connessa ai servizi. In altre parole, il perimetro deve prevedere, oggi per domani, quali saranno le competenze che verranno trasferite alle Regioni, alle città metropolitane e agli enti locali. Quando si parla di autonomia bisogna avere bene in chiaro in testa qual è l’impegno dello Stato nel definire i livelli essenziali di prestazioni. Dai quali non si può derogare.

Lei è un profondo conoscitore delle tematiche digitali e il 5G è una delle scommesse di un futuro che è già presente ma che rischia di lasciare fuori intere porzioni di territorio. Come si può evitare?

Il 5G, e quindi la dotazione per il nostro Paese delle reti di ultimissima generazione, è un passaggio obbligato e, a differenza da quanto accaduto sinora, gli investimenti pubblici devono partire dalle aree meno sviluppate. È facile fare investimenti con risorse pubbliche nelle grandi aree metropolitane, già ampiamente efficienti. Più complesso farlo partendo dai borghi, dalle aree interne dalle zone di montagna. Il 53% della superficie del nostro territorio è costituito da montagne. Nei comuni montani vivono oltre 9 milioni di abitanti, e altri 2 in zone collinari. È necessario che questi 11 milioni di italiani, che si sommano agli altri 10 delle aree interne, abbiano gli stessi diritti degli altri 40 milioni. Le politiche pubbliche non possono seguire unicamente la convenienza economica. Il 5G va fatto. Non è pensabile parlare di AI e Blockchain senza fare investimenti capillari che coinvolgano tutti.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di gennaio.

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