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Coronavirus, oltre la macabra contabilità delle 18

Quasi altri mille morti. Solo oggi. La contabilità dei caduti per il Coronavirus, aggiornata come tutti i giorni alle 18 dalla Protezione civile, diventa sempre più macabra: sono 969 (50 relativi a ieri che non erano state contate) le vittime di giornata per un totale di 9.134. Sono i numeri di una guerra che nessuno sa ancora quanto possa durare. E sono anche i numeri ufficiali, quelli che passano per gli ospedali. Ce ne sono altri, difficili da censire, che riguardano i decessi in casa.

Il dibattito sull’età di chi perde la vita, sulle condizioni pregresse, sulla letalità del virus, pure utili a capire l’epidemia nelle sue prime fasi, perdono di importanza. Le proporzioni e la durata dell’emergenza sanitaria sono ormai tali da non autorizzare calcoli che non siano quelli che abbiamo di fronte agli occhi. I morti per/con Coronavirus sono una tragedia collettiva. E da qui si deve partire per qualsiasi altra valutazione.

Per noi che ci occupiamo di imprese, di economia e di lavoro, vuol dire anche prendere atto che siamo di fronte a un passaggio epocale della nostra storia. Mario Draghi ha usato l’espressione “tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche”. E lo stesso ex presidente della Bce ha aggiunto: “se molti temono la perdita della vita, molti di più dovranno affrontare la perdita dei mezzi di sostentamento”. Altrettanto nette le parole del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, con l’appello a “cominciare subito a pensare al dopo emergenza, alle iniziative per rilanciare gradualmente la nostra vita sociale e l’economia”, ricordando che “nella ricostruzione il nostro popolo ha sempre saputo esprimere il meglio di sé”.

I due aspetti, la piena consapevolezza della reale portata di quello che stiamo vivendo e la determinazione a reagire per evitare che la crisi economica diventi catastrofica, devono stare insieme.

Noi continueremo a dare il nostro contributo di notizie, idee e spunti per la riflessione, anche quando i numeri, come oggi, assumono un peso difficile da sopportare. Anche perché, come sostiene Natale D’Amico nella sua analisi che pubblichiamo sul numero di Fortune Italia che sta per andare in edicola, “dobbiamo sapere che se non salviamo, almeno nei limiti del possibile, il Pil, non salveremo neanche le persone”.

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