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Coronavirus, serve solidarietà. Ne siamo capaci?

coronavirus ue von der leyen

La crisi innescata dall’epidemia del Coronavirus si sta avvitando su se stessa. È inevitabile. Il protrarsi dell’emergenza sanitaria e dello stop all’attività produttiva peggiorano di giorno in giorno lo scenario economico. Le stime di Confindustria parlano di un calo del pil dello 0,75% per ogni nuova settimana di stop, con il conto complessivo che finora può essere stimato in 100 miliardi al mese.

Il governo sta lavorando a un nuovo decreto, che sarà utile, ma insufficiente, così come è stato il ‘Cura Italia’. E come sarà qualsiasi altro prossimo intervento. Sono toppe, temporanee, a un buco che si allarga sempre di più. Serve sostegno per gli indigenti, per chi ha perso il reddito, per le imprese che rischiano di morire. Serve denaro, anche a fondo perduto, per tenere artificialmente in vita un’economia che sta soffocando nella morsa del Coronavirus. Sono esigenze mai affrontate prima, mai tutte insieme. Le richieste di comuni e Regioni sono giustificate, le difficoltà dello Stato centrale sono comprensibili, la disperazione dei disoccupati, dei lavoratori e degli imprenditori anche. Nessuno può avere, oggi, la soluzione in tasca. Serviranno interventi successivi, aggiustamenti, correzioni.

C’è però anche un punto fermo. Se ne può uscire solo con una gigantesca operazione di solidarietà. A tutti i livelli. Devono trovare il modo di essere solidali tra loro gli Stati, le istituzioni nazionali e quelle locali, gli imprenditori tra loro e con i lavoratori, la società civile. Servono soluzioni condivise, a partire dall’Europa e, a scendere, fino alle assemblee di condominio. Può sembrare una lettura che parte da un approccio culturale, sociologico, e anche da una buona dose di utopia, ma è una lettura invece profondamente economica.

Gli Stati del Nord è quelli del Sud, il governo e le forze politiche, lo Stato e le Regioni, l’imprenditore e i suoi dipendenti devono costruire compromessi nuovi, trovare forme nuove di collaborazione che consentano a tutti, o almeno al maggior numero di persone possibile, di salvare quello che avevano, o almeno una buona parte, prima del Coronavirus.

La domanda chiave è: ne saremo capaci? Saremo capaci di mettere da parte tutti gli interessi che legittimamente, in tempi normali, abbiamo sempre cercato di far valere? La risposta la daranno i prossimi giorni, le prossime settimane, i prossimi mesi. Già la riunione dell’Eurogruppo tra pochi giorni sarà un passaggio chiave. Senza una soluzione vera e condivisa, l’Europa non sarà in grado di fare la sua parte.

Serviranno tutte le idee, le competenze e la creatività di cui siamo capaci. Non è detto che ce la faremo, anche perché quello che continuiamo a vedere, tra polemiche pretestuose e strumentalizzazioni evidenti, non lascia ben sperare. Ma non abbiamo alternative. Per non limitarci a contare i danni, dopo aver pianto le vittime, serve una ricostruzione capace di costruire una nuova normalità.

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