GILEAD
Cerca
Close this search box.

Il Coronavirus ha cambiato la comunicazione delle aziende

Gilead

“Never let a good crisis go to waste”. La frase attribuita a Winston Churchill – rielaborazione di un pensiero del Machiavelli – ben si attaglia al desiderio del sistema produttivo italiano e internazionale di ripensarsi, di riflettere su nuovi modelli di business e rispondere senza piegare le gambe all’emergenza Coronavirus, tenendo alta la propria reputazione. Un tema caldo, anzi rovente in un momento di sofferenza planetaria, su cui un meeting svoltosi interamente sul web dal titolo “La Reputazione. Come tutelare il ‘grande capitale’ nell’era dell’innovazione?” organizzato da The Skill e coordinato dal Ceo della società, Andrea Camaiora, con la partecipazione di Antonello Racanelli, procuratore aggiunto del Tribunale di Roma, dell’avvocato Gianluca Massimei (NCTM Studio Legale), dell’avvocato Fabio Pinelli dello studio Pinelli Avvocati e di Francesco Giorgino, anchorman del Tg1 e docente alla Luiss Guido Carli, si è soffermato, individuando alcuni spunti di riflessione.

 

Non è difficile comprendere quanto potente sia la rivoluzione anche comunicativa in corso in queste settimane. Se tante aziende si sono lanciate in una rapida riconversione industriale, cercando di rispondere ai bisogni soprattutto sanitari dettati dalla pandemia, al contempo è scattata anche una riconversione del messaggio pubblicitario e reputazionale, all’insegna del cosiddetto “instant advertising”. Stiamo assistendo a qualcosa di mai visto prima. Nel giro di un mese una intera generazione di spot in tutto il mondo è stata cestinata e sostituita in fretta e furia da produzioni nuove di zecca, create in pochi giorni.

 

L’imperativo è quello di cercare di sintonizzarsi sulla frequenza di questa nuova stagione, condividere il dolore, provare ad avere un impatto positivo, intercettare l’emozione di una comunità, ringraziare e rendere merito all’impegno di chi è in prima linea. Se non si vuole scomodare Vodafone, con il suo spot interamente realizzato da remoto attraverso i contributi proposti da casa dai suoi clienti, o BMW che ha scelto Alex Zanardi come simbolo di chi resiste alle avversità, si può guardare a Poltronesofà che è riuscita a confezionare uno spot gradevole ed emozionale con una chiusa sicuramente azzeccata: “Restiamo a casa, certo, ma siamo più attivi che mai. Solo così possiamo aiutare l’Italia a rialzarsi presto…dal divano”.

 

Oppure a Barilla che ha acquistato due pagine sui quotidiani per ringraziare tutti i suoi dipendenti al lavoro in questi giorni difficili, citandoli uno per uno, nome per nome.

 

I potenziali rischi per brand reputation e brand safety in questa fase sono evidenti. Le aziende non vogliono dare l’impressione di voler approfittare della situazione (dal primo aprile Coca Cola ha sospeso tutte le proprie attività pubblicitarie in Italia e in altri paesi colpiti dalla pandemia) e vogliono piuttosto aiutare a sopportare la forzata reclusione scegliendo la via delle pubblicità motivazionali sull’orgoglio italiano. La sensibilità delle persone in questa fase è molto alta e se si fa una comunicazione giusta, toccando corde profonde, si potranno avere effetti positivi per il brand anche quando la crisi sarà finita, con un vantaggio reputazionale per l’azienda.

 

“Il digitale ha spinto le aziende a esporsi all’opinione pubblica” ha spiegato nel corso del dibattito Francesco Giorgino. “L’esplosione del web offre opportunità, abbatte i costi delle connessioni, stiamo tutti facendo esperienza di questo proprio in queste giornate del Coronavirus. In queste ore stiamo sperimentando quanto l’interconnessione abbia determinato il cambiamento degli intermediari dell’informazione. La comunicazione sta cambiando. Il Ventunesimo secolo sarà il periodo delle micronarrazioni che sostituiranno le macronarrazioni e saranno basate su alcune parole chiave: fiducia, credibilità, personal branding, brand identity, tutela e mantenimento della reputazione”.

 

Il ragionamento, naturalmente, nel dibattito si è allargato anche alla tutela della reputazione in ambito legale. “Rivedere la normativa sulle diffamazioni da parte dei social media ai danni delle aziende, diffamazioni agevolate dall’anonimato” è una delle priorità indicate dall’avvocato Massimei. L’avvocato Pinelli, invece, ha invitato a elevare “il reato di diffamazione a reato primario e fare in modo che la tutela sia effettiva”. In questo senso Pinelli e Massimei si dicono d’accordo sulla creazione di una “sezione speciale con tempi immediati per la tutela della reputazione e della dignità per assicurare una effettiva tutela giuridica sia sul piano civile sia soprattutto, sul piano penale”.

 

Più in generale un’esigenza è emersa in maniera chiara: la necessità di avere strumenti di gestione della reputazione che tengano il passo di una innovazione sempre più tumultuosa. L’aristocrazia ottocentesca diceva che sui giornali bisogna andare due volte: quando si nasce e quando si muore. Oggi questo non è più possibile. Se si rivestono ruoli di primo piano a livello politico, istituzionale, industriale è impossibile non essere intercettati dal flusso dell’informazione. Si può esserne travolti o si può provare a gestirlo. Oppure, ancora meglio, si può scegliere di dettare l’agenda e generare un’onda, cercando di cavalcarla. Senza inciampare nell’errore più comune: scambiare l’immagine per reputazione dimenticando di costruire un messaggio riconoscibile e credibile.

 

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.