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Figli che cambiano strada, da Agnelli a De Benedetti

Quando si parla di capitalismo familiare si finisce, inevitabilmente, a parlare di ricambio generazionale. Il passaggio di consegne avviene spesso con difficoltà, soprattutto quando si pensa alla staffetta, che potrebbe sembrare fisiologica, tra genitori e figli. Ci sono due fattori che pesano: da una parte, la scarsa capacità dei figli di affermare la loro leadership; dall’altra, la scarsa disponibilità dei genitori a farsi da parte. L’economia italiana è piena di esempi che confermano queste tendenze. E il quadro si complica inevitabilmente quando le ramificazioni della famiglia aumentano e la lotta per la successione al capofamiglia si allarga coinvolgendo fratelli e cugini.

 

Spesso c’è anche un problema legato al talento. Non è detto che i figli, seppure ‘addestrati’ fin da piccoli sulla strada della successione, abbiano le caratteristiche giuste per raccogliere il testimone. L’elenco di aziende in cui i figli hanno sostanzialmente dilapidato l’eredità dei padri è lungo. Ma è affollato anche il parterre di genitori che non hanno la forza e la lungimiranza di lasciare lo spazio che serve per agevolare transizioni di potere efficaci. Soprattutto quando comportano evoluzioni che allontanano il mondo dei figli da quello dei padri.

 

C’è una partita in cui si intrecciano diversi di questi elementi e che segnala anche un altro sviluppo interessante: la determinazione di alcuni figli a cambiare strada. Il passaggio di Gedi a Exor mette insieme due importanti storie familiari, quella dei De Benedetti e quella degli Agnelli. Si tratta di un passaggio storico, al centro del gruppo che, insieme a Rcs, ha scritto e continua a scrivere la storia dell’editoria italiana. La decisione presa da Rodolfo, Marco e Edoardo De Benedetti è platealmente contrapposta alla volontà del padre, l’ingegner Carlo De Benedetti. Poche settimane prima di formalizzare questa decisione, aveva chiesto ai figli di cedergli il controllo del giornale, con un’offerta giudicata ‘irricevibile’. Nello scontro in casa De Benedetti c’è rappresentata in maniera plastica anche la distanza culturale e l’incapacità di dialogare tra le generazioni. La partita finanziaria è piuttosto lineare, l’offerta irrevocabile di Romed (società di Carlo De Benedetti) per l’acquisto di quote Gedi (la società editrice di Repubblica) viene rifiutata da Cir (la società presieduta da Rodolfo De Benedetti che ne è azionista). Fin qui, normale dialettica tra società. È nelle motivazioni che spiegano le due decisioni, offerta e rifiuto, che c’è il senso di un velenoso ritorno al passato. “Sono profondamente amareggiato e sconcertato dall’iniziativa non sollecitata né concordata presa da mio padre e il cui unico risultato consiste nel creare un’inutile distrazione, della quale certo non si sentiva il bisogno”, ha attaccato il presidente di Cir. La replica dell’Ingegnere è stata ancora più ferma. “Trovo bizzarre le dichiarazioni di mio figlio Rodolfo. È la stessa persona che ha trattato la vendita del Gruppo Espresso a Cattaneo e Marsaglia. La gestione sua e di suo fratello Marco ha determinato il crollo del valore dell’azienda e la mancanza di qualsiasi prospettiva, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca di un compratore visto che non hanno né competenza né passione per fare gli editori”. Nei fatti, una clamorosa marcia indietro rispetto al passaggio generazionale che si è compiuto nel 2013 con la firma di un patto di famiglia. Un istituto giuridico previsto dalla legge che, di fatto, anticipa la successione. Uno strumento pensato per evitare pericolosi scontri fra eredi piuttosto che fra padre e figli. Alla luce di quello che è avvenuto, quasi un paradosso.

 

Prima ancora della vendita a Gedi, l’Ingegnere ha lasciato la presidenza onoraria del gruppo. In totale disaccordo, evidentemente, con gli sviluppi che stavano per arrivare. I figli di De Benedetti hanno fatto una scelta imprenditoriale dettata da valutazioni che potranno rivelarsi giuste o sbagliate ma hanno sicuramente segnato una ‘rottura’ netta, in termini di storia e di visione rispetto a quanto ereditato dal padre. Tra l’altro, non si è trattato solo di vendere Repubblica, come previsto dall’Ingegnere, ma di venderla a John Elkann.

 

Carlo De Benedetti con gli Agnelli ha condiviso molto: dallo stabile torinese dove abitavano le due famiglie ai quattro mesi vissuti da amministratore delegato della Fiat, di cui era anche azionista. La separazione dal Lingotto, sempre attribuita a “divergenze strategiche”, ha aperto una lunga stagione in cui rivalità, con la Fiat azionista di Rcs, e legami comunque stretti, con le notizie spesso rilevanti di Repubblica sul mondo Fiat, sono stati sempre insieme. Exor non è quindi un acquirente come un altro. Chi conosce bene l’Ingegnere racconta di averlo sentito “sorpreso, nonostante avesse dato per scontato ormai il passaggio di mano della società”.

 

Spostandosi sull’altro fronte dell’affaire Gedi, proprio in casa Exor, c’è l’altra storia significativa, quella che ruota intorno a John Elkann e all’eredità arrivata dal nonno Gianni Agnelli. Una successione non lineare per i drammi che hanno colpito la famiglia (la scomparsa prematura di Edoardo e Giovannino) e anche accompagnato dalle dispute legali per la spartizione dell’enorme patrimonio accumulato negli anni. Gedi è un tassello chiave del mosaico costruito dalla holding della famiglia Agnelli, in cui l’editoria torna ad essere un terreno importante, considerato anche l’investimento da oltre 400 mln fatto nel 2015 per assicurarsi l’Economist.

 

Gedi in mano a Exor vuol dire anche una rinnovata sfida a Rcs. Il disimpegno di Fca dalla società editrice del Corriere della Sera, oggi guidata da Urbano Cairo, risale al 2016. Ha fatto rumore per le modalità e per le polemiche relative alle conseguenze della gestione, molto contestata anche dal Cdr della testata, di Pietro Scott Jovane, manager vicino a Elkann. Tornando però alle famiglie, e al rapporto tra le generazioni, le scelte di John Elkann assumono rilevanza anche per un altro aspetto. La sua è ormai una leadership riconosciuta, dopo lunghi anni di affiancamento, di tutela, sicuramente di apprendimento. Sia al vertice di Exor, sia al vertice di Fca, per tutta l’Era di Sergio Marchionne. Un ex manager Fca descrive il rapporto con una frase eloquente: “Elkann ha imparato da Marchionne più di quanto tutti noi, intorno a loro, potessimo immaginare”. Lo dimostra anche l’epilogo della complessa partita per la ricerca di un matrimonio adeguato alle ambizioni di Fca.

 

Le trattative con Renault e il passo indietro di fronte alle reticenze dello Stato francese (a cui abbiamo dedicato la cover del numero di luglio/agosto di Fortune Italia) portano la sua firma. Così come l’impianto dell’accordo con Psa, ancora tutto da scrivere nelle ricadute industriali, confermando la holding di casa Agnelli come primo azionista della società post fusione con una quota del 14%, va considerato una sua ‘creatura’.

 

Ora Exor si prepara a nuovi investimenti, fuori dal settore auto, a percorrere strade diverse da quelle ipotizzabili quando Elkann è stato scelto come ‘erede’. Così come i figli dell’ingegner De Benedetti, Rodolfo, Marco e Edoardo, guardano a un futuro imprenditoriale diverso dalla attese del padre. La storia dei prossimi anni dimostrerà se avranno fatto scelte giuste. Intanto, i ‘figli’ hanno cambiato strada.

 

Articolo di Fabio Insenga apparso sul numero di Fortune Italia di febbraio 2020.

 

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