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L’Arera, l’avvocato Belmonte e la battaglia delle Pec

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Alla fine, l’Arera è rimasta come l’ultima dei Moicani. Una delle poche amministrazioni a non voler pubblicare il proprio indirizzo Pec nell’archivio pubblico gestito dal ministero di Grazia e giustizia che, dal 2012, per legge, raccoglie e mette a disposizione degli avvocati gli indirizzi di posta elettronica certificata ufficiali di Comuni, Province e Regioni e amministrazioni centrali dello Stato. A tentare di piegare la determinazione dell’Autorità di regolazione per l’energia le reti e l’ambiente è stato un giovane avvocato salernitano trentacinquenne, Ferdinando Belmonte.

 

Orfano di padre dall’età di 18 anni, tre lauree in Giurisprudenza, Scienze politiche e pubblica amministrazione. Oggi, fra le altre pratiche, difende Fare ambiente e Movimento ecologista europeo, un’associazione ambientalista che si è schierata contro un progetto di speculazione a Sorrento, promosso dal gruppo edile Elefante, i cui responsabili sono finiti in galera a maggio scorso per un progetto analogo di trasformazione in abitazioni degli ex stabilimenti della Cirio a Castellamare di Stabia.

 

Belmonte ricorda: “Durante il periodo del Covid ho inviato 800 diffide ad amministrazioni inadempienti rispetto all’obbligo di comunicazione, che esiste dal 2014, e devo riconoscere che una gran parte si è adeguata. Circa 750 hanno ottemperato alla richiesta e ora, a luglio del 2020, è anche intervenuta una norma che in caso di mancato invio della Pec al ministero di Grazia e giustizia per alcune amministrazioni può fare fede l’indice degli indirizzari pubblici”, un intervento che fa capire quanto fosse sentita l’esigenza. Anche se la strada seguita dal governo, secondo Belmonte, però lascia aperta qualche problema “interpretativo”, visto che l’Ipa è un semplice elenco del telefono: “Sarebbe bastato estendere l’obbligo di aderire al censimento a tutti”, precisa l’avvocato.

 

“Per me e gli altri avvocati è uno strumento di lavoro. Poter trovare agevolmente le caselle di posta elettronica certificate in modo autonomo facilità l’attività e poi con la registrazione c’è la certezza dell’opponibilità a terzi degli atti inviati”, spiega Belmonte. Per assurdo, un’amministrazione potrebbe mettere una Pec falsa o sbagliata sul proprio sito e l’avvocato che la usasse potrebbe vedere vanificati la legittimità di una notifica. Se usa la Pec dell’archivio ufficiale questo non accade. Per legge, le amministrazioni pubbliche centrali sono difese dall’Avvocatura dello Stato e così quando è stato istituito il registro delle Pec alcune di queste hanno ritenuto di non adempiere all’obbligo, facendosi bastare la e-mail centralizzata di via dei Portoghesi dove hanno la sede gli avvocati dello Stato.

 

Ma quelle caselle vuote nell’archivio digitale hanno disturbato il senso estetico e civico di Belmonte che ha inviato a tutti prima dei solleciti formali e poi ha trascinato in tribunale le più reticenti. Non sempre con successo come è capitato con l’Arera. Davanti al Tar milanese, competente per l’Autorità, Belmonte, a fine luglio è stato sconfitto e non ha ricevuto neanche l’onore delle armi. I magistrati amministrativi hanno deciso che l’Arera, in quanto autorità indipendente, non ricade nell’obbligo di notifica della propria Pec e così hanno imposto a Belmonte anche di accollarsi le spese della controparte per alcune migliaia di euro.

 

Come hanno spiegato i legali dello Stato nei ricorsi scritti per conto dell’Arera, per questa autorità indipendente non esiste l’obbligo di depositare all’archivio la propria Pec. In più l’indicazione della posta legale dell’Avvocatura e non dell’Arera consente risparmi, evita errori, le duplicazioni e l’instradamento sbagliato. Una cura del particolare per la quale evidentemente non hanno sentito bisogno a Palazzo Chigi e nelle altre autorità che hanno diligentemente postato il loro indirizzi legali nell’archivio, come Banca d’Italia e Agcom, anche se potevano evitare di farlo, con somma soddisfazione di Belmonte.

 

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