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Recovery fund, le parole ‘pesanti’ di Gualtieri

Fare oggi il ministro dell’Economia vuol dire confrontarsi con la storia. Nel bene e nel male. Vuol dire avere una responsabilità gigantesca ma vuol dire anche avere la possibilità di incidere più di ogni altro predecessore. A partire dalla madre di tutte le sfide: l’utilizzo corretto delle risorse che stanno per arrivare con il Recovery Fund. Roberto Gualtieri lo sa bene e sta cercando di interpretare il suo ruolo fino in fondo. Il ministro, che ha una profonda conoscenza dei meccanismi europei ma che ha imparato rapidamente a comprendere le dinamiche interne, sa però anche che buona parte delle sue chance di successo dipendono dalla forza del suo governo e dalla capacità del premier Giuseppe Conte di gestire gli equilibri precari all’interno della maggioranza. Senza un chiaro indirizzo politico, il rischio che possano essere bruciati miliardi di euro indispensabili alla sopravvivenza del Paese è concreto.

 

Le scelte che sta facendo sul piano della comunicazione sembrano coerenti con questa consapevolezza. Da una parte le rassicurazioni tecniche, speriamo fondate su indicazioni effettivamente incoraggianti, sull’andamento del pil: “il rimbalzo nel terzo trimestre sarà maggiore del previsto”, ha detto più volte nelle ultime settimane. Dall’altra, le parole di oggi proprio sul Recovery Fund: una “occasione irripetibile per l’Europa e l’Italia per uscire da un lungo periodo di stagnazione e da una crisi senza precedenti che stiamo attraversando” e un “punto di svolta per il rilancio dell’economia in chiave di sostenibilità ambientale, sociale, innovazione ma per lo stesso successo di integrazione europea”. Quindi: rimbalzo, occasione irripetibile, punto di svolta.

 

Poi, l’avvertimento. Anche in questo caso con parole sufficientemente chiare. Prima quello che il Recovery fund non deve essere. “Non può consistere in un’ondata di spesa corrente o di tagli d’imposta che non siano sostenibili nel tempo”. Poi, quello che il Recovery fund deve essere. “Deve invece determinare quel pacchetto di maggiori investimenti pubblici: rilancio dell’istruzione, innovazione, ricerca, infrastrutture, sostengo investimenti privati, riforme, che da tempo sono necessari per modernizzare e rendere più competitivo ed equo il nostro Paese”. Quindi: no alla spesa incontrollata, sì alle riforme e al taglio del debito.

 

Gualtieri non lo dice in chiaro ma il concetto di fondo è molto esplicito. Non può esserci l’assalto alla diligenza di ogni legge di bilancio a guidare le richieste dei partiti e non si possono assecondare neanche le ambizioni personali dei singoli ministri. Non si potranno tollerare sprechi e anche le misure di bandiera dovranno lasciare spazio agli investimenti necessari. Non solo. Gualtieri fa anche riferimenti espliciti alle tasse, che non potranno essere tagliate per fini elettorali, e al debito pubblico, che deve tornare a scendere nonostante l’allentamento dei vincoli europei: “Confermo l’intendimento di conseguire una significativa discesa del rapporto debito/Pil non solo nel primo anno di recupero dell’economia che auspichiamo sia il ’21: questa discesa vogliamo che continui anche negli anni successivi onde rientrare gradualmente sui livelli pre pandemici e nel lungo termine conseguire una ulteriore riduzione”.

 

Le parole del ministro dell’economia sono pesate con cura. E servono a delineare il perimetro entro il quale ci si può muovere. Non basteranno a frenare un assalto che arriverà puntuale ma segnalano almeno l’intenzione di voler difendere un percorso ambizioso. Si può fare la storia o rimanere impantanati. Non c’è alternativa.

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