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Ecco perchè la decarbonizzazione può essere la chiave della ripresa

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La decarbonizzazione e il taglio delle emissioni di gas serra sono fondamentali per la protezione del clima terrestre, e per non far superare la soglia (stabilita dall’Ipcc delle Nazioni Unite) di 1,5 gradi di innalzamento delle temperature nei prossimi dieci anni. La crisi del Covid (e le epidemie sono spesso una conseguenza dell’interazione disfunzionale tra uomo e ambiente) ha largamente assunto il ruolo di distrazione di massa dall’emergenza climatica. Eppure proprio la decarbonizzazione può essere l’elemento fondamentale, in chiave economica, di una ripresa post-Covid, secondo il report ‘Ossigeno per la crescita. La decarbonizzazione al centro della strategia post Covid’ pubblicato da Ref-E, agenzia specializzata in ricerca e consulenza per i mercati energetici, e curato da Matteo Leonardi con il supporto di una ventina di analisti tra cui Enrico Giovannini, Giovanni Dosi, Pia Saraceno, Anastasia Pappas.

 

 

I circa 400 mld di risorse europee mobilitati per la ripresa economica, di cui 209 miliardi dal piano Next Gen Eu, permetteranno – sottolinea lo studio – di innescare crescita e nuova occupazione (mettendo mano alle disuguaglianze che hanno colpito giovani e famiglie monoreddito) mentre, contemporaneamente, si risponde alla crisi climatica. Solo se, però, che si sceglie di scommettere sulla decarbonizzazione, implementandola in una strategia a lungo termine che spinga anche all’aumento degli investimenti privati.

 

”Dobbiamo ricordarci – sottolinea Enrico Giovannini, portavoce di Asvis e uno degli autori del report – che lo strumento messo in campo si chiama Piano nazionale di ripresa e resilienza. Parlare solo di ripresa ci fa dimenticare come anche la resilienza da futuri shock deve essere il nostro elemento guida. Se assumiamo questo punto di vista si capisce come serva un Piano con una visione sistemica per il futuro, non possiamo affrontare i problemi in maniera settoriale”.

 

Questo lavoro, spiega Matteo Leonardi, senior advisor sulle policy per la decarbonizzazione, ”dimostra in maniera sistemica come la decarbonizzazione offra un’opportunità di rinnovamento del sistema produttivo italiano tale da recuperare gli impatti della crisi e superare lo stallo dell’economia nazionale pre-Covid”

 

Lo studio individua due scenari di ripresa partendo dai dati macroeconomici 2020, ovvero caduta del Pil dell’8,4%, crollo degli investimenti al 16% del Pil, rapporto debito pubblico/Pil vicino al 160% e crollo occupazionale.

 

Lo scenario virtuoso vede una capacità di spesa per almeno l’80% delle risorse Ue e grazie alla coerenza delle policy sulla decarbonizzazione, è in grado di attivare gli investimenti privati nei settori chiave dell’innovazione tecnologica. L’impatto economico in questo caso sarebbe imponente, con un tasso di crescita medio annuo che potrebbe mantenersi vicino al 5% per qualche anno per scendere al 3,5% nel medio termine e convergere nel lungo termine su livelli vicini al 2%. Una traiettoria che sarebbe in grado di sostenere la transizione energetica e generare le condizioni per il rientro del debito. Il buon utilizzo dei fondi comunitari aumenterebbe il Pil del 30% entro il 2030 e il tasso di occupazione dell’11%, con un forte miglioramento delle opportunità per i più giovani.

 

Nel report c’è anche un altro scenario, più conservativo, ovvero quello previsto se si riesce a spendere solo parte delle risorse Ue, il 50%, con un settore privato più restio a buttarsi sull’innovazione e a fronte di una policy per la decarbonizzazione incerta. Il risultato è un rimbalzo del Pil parziale: solo nel 2024 si riesce a tornare ai livelli del 2019 e raggiungere solo nel 2030 i livelli pre-crisi 2008. Il tasso di crescita converge poco sopra l’1% nel lungo periodo, Il rapporto debito Pil non recupera ancora al 2030 i livelli pre crisi Covid rimanendo superiore al 140%. Alla fine del decennio il nostro tasso di occupazione sarebbe ancora lontano dalla media europea. ”I dati da noi elaborati – spiega Pia Saraceno, presidente Ref-E – ci mostrano anche un significativo impatto sull’occupazione nello scenario virtuoso. L’aumento dei posti di lavoro porta il tasso di occupazione per la popolazione in età attiva dal 57% del 2020 al 68% nel 2030, ancora inferiore alla media europea ma con un forte miglioramento delle opportunità per i più giovani”. Più difficile far rientrare il rapporto debito-Pil, sebbene si potrebbe rientrare ai livelli pre-Covid prima del 2030, non si riuscirebbe a raggiungere i livelli pre-crisi finanziaria del 2008.

 

Dal punto di vista degli investimenti, la riduzione del grado d’incertezza delle politiche sulla decarbonizzazione riuscirebbe ad attivare un volume significativo d’investimenti privati, altrimenti strutturalmente frenati non solo dalle problematiche di liquidità a seguito del lockdown, ma anche dall’incertezza sulla direzione della politica economica e in particolare delle scelte per la transizione energetica.

 

Nel dettaglio, lo studio individua cinque aree di riforme chiave necessarie per un piano sistemico di decarbonizzazione che sappia rilanciare l’economia. A cominciare dalla fiscalità, con l’introduzione di un prezzo minimo del carbonio a parità di gettito, l’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi, e delle ambiguità nei meccanismi d’incentivazione rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione, bonus auto ed efficienza energetica. Poi c’è il punto della finanza sostenibile, con la “coincidenza della tassonomia verde per indirizzare risorse pubbliche ed investimenti privati”, e con l’emissione di green bond. E ancora: economia circolare, con il sostegno alle Pmi, dei meccanismi di promozione ai beni circolari, un ecobonus legato a materiali riciclati, il sostegno finanziario a imprese e start-up circular, e una strategia di supporto favorendo la misurazione, la rendicontazione e la formazione in economia circolare; domanda pubblica, ovvero il potenziamento della domanda di prodotti e servizi per la decarbonizzazione con il Green Public Procurement e l’adozione di criteri ambientali minimi per tutti gli acquisti della Pa. Ultimo punto il lavoro, con la formazione di nuove professioni, la contrattazione collettiva a supporto della transizione energetica e ambientale, la creazione di posti di lavoro pubblici green.

 

Nelle 300 pagine del report emerge la necessità di impegnare le risorse europee in tecnologie per la decarbonizzazione in almeno tre settori dell’industria pesante (ferro e acciaio, chimica, minerali non metallici), chiave dell’economia nazionale, che sono responsabili di quasi il 50% dei consumi finali di energia e del 70% delle emissioni di gas serra dell’intera industria.

 

È necessaria, dice il report, una strategia per il settore degli accumuli elettrochimici e dell’idrogeno verde, in chiave di industrializzazione in tutti i segmenti della filiera tecnologica e con l’obiettivo di supportare l’impresa italiana in maniera adeguata nell’ambito delle strategie europee sulle specifiche tecnologie, oramai sempre più parte costitutiva delle policy. Nel settore elettrico invece sarebbe prioritario sbloccare il processo autorizzativo per le fonti rinnovabili e portare avanti una riforma del mercato funzionale al loro sviluppo, favorire la produzione di moduli fotovoltaici nazionali, avere una strategia per gli accumuli. Il settore trasporti rimane uno dei più critici: il report consiglia di concentrare gli incentivi per il rinnovo del parco autovetture sulle sole tipologie elettriche, dalla conversione delle flotte aziendali allo sviluppo del ‘ferro’ fino allo sviluppo del sistema di ciclabili urbane. Nel settore alimentare è fondamentale l’adozione di pratiche agricole che aumentino la capacità di assorbimento della CO2 nei suoli con pratiche di agricoltura conservativa.

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