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La disputa sulle donazioni alla Lega

Dopo il Pd, anche la Lega di Matteo Salvini è finita nelle maglie della Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici. E, come il partito di Nicola Zingaretti, anche i leghisti hanno avuto goduto della clemenza del Tar del Lazio che ha fissato un’udienza per la primavera del 2021 sospendendo l’efficacia dell’ultima delibera della commissione che avrebbe prosciugato le casse del partito.

 

Dai contributi di iscritti e simpatizzanti il Pd e la Lega infatti ricevono la quasi totalità delle entrate a bilancio. Con la conferma della decisione della Commissione di garanzia, il partito di Zingaretti nel 2019 avrebbe dovuto rinunciare a sette degli otto milioni di entrate complessive. In una situazione anche peggiore si ritroverebbe la Lega. Nel bilancio dell’anno scorso, Salvini ha registrato entrate per 1,414 milioni di cui 1,370 provenienti dalle devoluzioni Irpef e dalle donazioni personali.

L’organismo presieduto da Amedeo Federici ha cassato lo statuto del Lega, come aveva già fatto con quello del Pd, e in questo modo ha bloccato l’accesso agli unici contributi legali su cui le organizzazioni politiche possono fare affidamento, dopo la cancellazione del finanziamento pubblico. La normativa, infatti, prevede che per poter ottenere donazioni e finanziamenti da iscritti e simpatizzanti, anche attraverso il versamento della quota a libera destinazione dell’Irpef, le formazioni politiche siano iscritte in un apposito registro a cui si accede, però, solo dopo aver superato il vaglio della commissione di garanzia prevista dalla legge 149 del 2013. Ma anche dopo aver dimostrato il rispetto sulle modalità di rendicontazione e di avere degli statuti a norma. I nuovi criteri fissati dalla Commissione all’inizio del 2020, hanno introdotto la coincidenza della responsabilità amministrativa in capo al segretario o al presidente del partito. Questo per impedire l’uso di prestanome o figure fantoccio, che in caso di mala gestione, non sarebbero di ostacolo contro la fraudolenza come avverrebbe se ad essere chiamati in causa fossero i numeri uno dei partiti.

 

Come scordare Luigi Lusi della Margerita e Francesco Belsito della Lega, due figure di retroguardia che grazie al semianonimato hanno potuto prosciugare le casse delle loro organizzazioni? Per parte loro i partiti si sono difesi sostenendo che un’associazione, libera e costituzionalmente riconosciuta, non può accettare regole statuarie che siano definite dall’esterno, ovvero dettate dalla commissione, e non scelte dall’assemblea degli iscritti. In pratica rifiutano di adeguarsi.

 

In effetti, si tratta di una questione delicatissima e scivolosa. Si deve trovare il modo di far convivere la libertà di associarsi con la buona amministrazione in organismi che sono lo strumento di base della vita democratica. Per la commissione la responsabilizzazione dei vertici sembrava assicurare l’esigenza di garantire la trasparenza nella raccolta e nell’uso dei fondi provenienti da iscritti e simpatizzanti. Anche perché un finanziamento illecito corrisponde ad uno stravolgimento delle parità di condizioni che in democrazia devono essere garantiti a tutti.

 

Ad agosto il Tar del Lazio ha accolto l’opposizione del Pd alla decisione della commissione e ha rinviato al 14 aprile del 2021 la discussione del merito. La stessa data è stata prevista per discutere il merito della decisione della Commissione contro la Lega. Ma Federici, nel frattempo, non ha deposto le armi. Il 25 settembre scorso ha presentato ricorso al Consiglio di Stato contro la sospensiva del Tar a favore del Pd. Una scelta che il presidente della commissione sarà costretto a ripetere anche contro l’ordinanza del Tar favorevole alla Lega anche per prevenire le eventuali accuse di favoritismo.

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