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Carbon capture, il futuro inevitabile dell’industria petrolifera

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Il 2020 ha lasciato un segno profondo sull’industria del petrolio, indirizzandola verso un percorso forse più pulito, ma meno redditizio. Il Ccs, o Carbon capture and storage , è già parte integrante di questo cambiamento. La versione completa di questo articolo, a firma di Alessandro Pulcini, è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2020.

 

 

“ENI STA CAMBIANDO VOLTO, in modo radicale e irreversibile”. “Andiamo verso le emissioni zero. Non si torna indietro”. “Vogliamo trasformarci per affrontare una doppia sfida: più energia e meno carbonio”. Le parole sono firmate Claudio Descalzi, Bernard Looney e Patrick Pouyanné, ovvero i Ceo di Eni, Bp e Total. Sono state pronunciate tutte nel 2020 e tutte hanno accompagnato una svolta negli obiettivi dei tre giganti dei combustibili fossili, segnando un passaggio netto verso una trasformazione energetica a cui difficilmente qualsiasi grande gruppo petrolifero potrà resistere a lungo. La chiedono i cittadini e gli azionisti, sempre più attenti alle tematiche ambientali. La impone l’emergenza climatica, per la quale l’industria fossile ha una grossa fetta di responsabilità. E a renderla una scelta strategica obbligata è il petrolio stesso, alle prese con la crisi dei prezzi del barile e con le incognite legate alla domanda e alla ripresa post-Covid. La trasformazione in questione è quella che porta alle energie pulite, al declino (almeno in parte) dei combustibili fossili, e all’abbattimento delle emissioni di CO2. O, sempre più frequentemente, alla loro cattura.

 

 

A INIZIO OTTOBRE l’Oil and Gas Authority britannica ha annunciato di aver assegnato a Eni la licenza per la realizzazione, in Gran Bretagna, di un progetto di cattura e stoccaggio di anidride carbonica. Questo tipo di processo è conosciuto con la sigla Ccs, ovvero Carbon capture and storage (o Ccus, con l’aggiunta della parola ‘usage’): la cattura avviene generalmente da processi industriali, ma anche dall’atmosfera. Non è un processo semplicissimo, perché la CO2 non va solo ‘presa’, va anche separata dalle altre emissioni. Ma una volta catturata può essere trasportata attraverso vecchi gasdotti riqualificati e immagazzinata, per esempio ‘iniettandola’ in siti sotterranei all’interno di formazioni rocciose, o in depositi esausti.

 

La versione completa di questo articolo, a firma di Alessandro Pulcini, è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2020. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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