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Con la resa di Trump, la resa del complottismo

Continuerà a sostenere di avere vinto, o almeno di non aver perso. Lo scriverà su Twitter, forse andrà avanti fino a un certo punto anche nei tribunali. Ma la resa di Trump di fronte alla realtà, con il via libera alla transizione per l’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca, ristabilisce una soglia oltre la quale non riesce ad andare neanche il peggiore complottismo.

 

 

Nelle parole che ha usato il Presidente uscente – se rispetta le regole, torna ad esserlo con tutta la dignità del ruolo – c’è molto del Trumpismo e c’è però anche molto della tenuta sostanziale della democrazia americana.

 

“Ho dato ordine alla General Service Administration e al mio team di avviare i protocolli” per la transizione, dice via Twitter, specificando che lo fa “nell’interesse del Paese”. Fin qui, il passo che conta. Quello che restituisce gli Stati Uniti a un percorso istituzionale ‘normale’.

 

Poi, arriva il resto. Verrebbe da dire, quello che resta. “Continueremo la battaglia, vinceremo”, scrive, per non chiudere definitamente con la teoria del complotto. Quindi, arriva la giustificazione che serve a non ammettere di aver sbagliato strada. Trump sostiene di aver fatto la scelta di aprire la transizione per ‘difendere’ la repubblicana Emily Murphy, capo della Gsa che finora ha aspettato il suo via libera: “E’ stata tormentata, minacciata, molestata e non voglio che accada niente a lei e ai suoi dipendenti”.

 

https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1331013908971261953?s=21

 

In realtà, proprio da buona parte dei Repubblicani sono arrivate pressioni perché Trump abbandonasse la sua posizione oltranzista. Perché la democrazia americana deve funzionare, e perché l’esito delle elezioni è uno solo.

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