L’Italia del Coronavirus: Napoli e l’esercito del sommerso

Ambulanti, camerieri, estetisti e parrucchieri a domicilio, è la città che lavora in nero e che non conosce ristori. La versione completa di questo articolo, a firma di Nicola Sellitti, è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2020.

A Napoli piove. A un passo dalla Stazione Centrale, puzzle di treni, metro e taxi, il baricentro della città, non si vedono neppure i venditori ambulanti di ombrelli. Da tre e cinque euro a seconda del prodotto, gli aruspici della pioggia, spesso incrociati al momento giusto. È una delle fotografie del primo giorno di zona rossa in Campania. Silenzio, strade vuote: gli ultimi fuochi delle onde di folla tra le vie del passeggio, tra lo sconcerto di chi ha visto le scene via social, siti o tv, si sono spente la sera precedente. È domenica, nelle piazze più vissute di solito si piazzano tra una via e l’altra i venditori di carciofi arrostiti, con quella scia di profumo che narcotizza i sensi fino al ritorno a casa. Non ci sono. Presenti invece i cosiddetti ‘nocellari’, gli ambulanti delle noccioline, pezzo indispensabile dei pranzi festivi, ma le bancarelle sono ricolme. Pochi i sacchetti venduti, in giro non c’è nessuno. Di affari neppure l’ombra anche per i camioncini ricolmi di pezzi di pane casereccio, che si aggirano per i quartieri. Tutti pezzi dell’altra economia circolare, come spesso viene chiamata anche dal sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, quella che sfugge ai grafici del Governo alla sezione ristori. Ambulanti, niente scontrino. Non si tratta di lavoratori in attesa della cassa integrazione o colpiti dalla riduzione dello stipendio, che hanno manifestato già più volte per le vie del centro. È il lavoro nero, è il sommerso, non figura nei conti dello Stato.