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Quando l’equity crowdfunding non va: gli errori delle startup

startup equity crowdfunding

L’equity crowdfunding, la raccolta di investimenti attraverso piattaforme online in cui startup e pmi raccolgono fondi da investitori in cambio di una quota di capitale, sta crescendo sempre di più. Avrebbe riportato numeri in crescita addirittura nel 2020, nonostante l’impatto della pandemia. Ma aprire una campagna di equity crowdfunding non porta necessariamente a buoni risultati. Secondo Salvatore Viola, co-founder di Dynamo, agenzia di marketing che ha contribuito a far raccogliere oltre 6,5 mln di euro in Ecf, avere un buon prodotto o servizio non basta per far presa sugli investitori. Perché “troppo spesso ci si dimentica che il 50% di una campagna di equity crowdfunding è comunicazione”.

 

 

 

“Avere un buon prodotto o servizio è solo metà del lavoro. Riuscire a comunicarlo nella maniera giusta è l’altra metà. Eppure, questa parte è spesso trascurata dalle startup che si approcciano all’equity crowdfunding”, dice Viola. “Siamo stati i primi a occuparci di equity crowdfunding, da quando questa forma di investimento è approdata nel nostro Paese. Nel 2016 abbiamo seguito la prima campagna su CrowdFundMe, una delle prime cinque in Italia. Era la raccolta di CleanBnB, la startup degli affitti brevi, che poi abbiamo accompagnato in un secondo round nel 2018 e alla quotazione in Borsa nel 2019. Nel corso degli anni, abbiamo aiutato tante startup a fare crowdfunding: Cynny, RepUP, Birrificio 620Passi, PlayWood, Floky e Seed Money”.

 

 

 

Seed Money è un acceleratore privato italiano composto da oltre 180 soci dei quali più di 50 investitori seriali. La collaborazione con questa startup, partita nel 2016, dice Dynamo, funziona proprio perché c’è equilibrio tra capacità di selezione e mentorship da una parte e competenze in comunicazione e marketing dall’altra.

 

 

 

Gli errori delle startup

 

 

In questi anni, Dynamo dice di aver notato una serie di errori che i founder a caccia di fondi commettono di frequente e che spesso sono la causa principale di una raccolta che non va a buon fine.

 

 

1 – Non prepararsi in tempo

 

 

Il crowdfunding non inizia con l’apertura al pubblico della campagna sul portale, ma comincia molto prima. Sfruttare i mesi precedenti per stringere accordi, trovare investitori e pianificare la propria strategia di comunicazione è fondamentale per avere cartucce da sparare durante il round vero e proprio.

 

 

2 – Fidarsi delle parole

 

 

Molti founder sono convinti di chiudere una campagna perché amici, parenti e conoscenti hanno promesso loro di investire nella raccolta. Per esperienza, possiamo dire che solo una piccola quantità di queste promesse viene poi realmente mantenuta e il rischio di ritrovarsi con un round che non decolla tante volte è legato ad aspettative deluse e a una partenza senza investimenti.

 

 

3 – Trascurare i social

 

 

Prima di decidere se puntare o meno in una startup, gli investitori guardano da chi è composto il team e il primo canale ad essere controllato è Linkedin. Curare il proprio profilo su questa piattaforma, inserendo (o eliminando) le esperienze lavorative in base a quello che più contribuisce a dare valore all’attuale ruolo è fondamentale.

 

 

4 – Sbagliare il focus

 

 

Per quante cose possa fare una startup, riuscire a individuare il vero punto di forza, in grado di fare breccia nell’attenzione delle persone è fondamentale. Quando si comunica bisogna fare delle scelte precise e decidere su cosa puntare. Non si può dire tutto e tutto in una volta. Il rischio è quello di annoiare e non convincere un eventuale investitore ad approfondire.

 

 

5 – Non contestualizzare

 

 

Ci sono momenti in cui determinati argomenti attirano l’attenzione del pubblico più di altri. Riuscire a creare un legame fra prodotto/servizio e attualità, rende più appetibile la notizia. I “ganci” per contestualizzare una notizia sono infiniti. Serve intelligenza e grande spirito di osservazione, ma quando ci si riesce il risultato è formidabile.

 

 

6 – Non rispettare i giornalisti

 

 

Chi scrive considera sacri i propri lettori ed è disposto a pubblicare qualcosa solo se sa di poterli interessare. Inviare comunicati autocelebrativi e vuoti vuol dire non rispettare il lavoro del giornalista ed è la strada più rapida per indirizzare le proprie email nel cestino. Nessun professionista si lascia scappare l’occasione di pubblicare qualcosa di utile per i propri lettori.

 

 

7 – Perdere il contatto con la realtà

 

 

Ci sono founder convinti che il mondo non aspetti altro che versare denaro nella casse delle loro startup, salvo poi accorgersi che ogni piccolo investimento è sempre frutto di un intenso lavoro di relazione e comunicazione oltre che di una intelligente strategia di Adv che va sempre messa in conto. Purtroppo, spesso ci si rende conto di aver bisogno di una mano, quando è troppo tardi.

 

 

8 – Puntare solo sui numeri

 

 

Un investitore ha sempre bisogno di capire che tipo di ritorno può avere il suo investimento, ma sa anche che puntare su una startup è un’operazione rischiosa e con rientri a lungo termine. Eppure, spesso si sceglie di investire anche per sostenere un progetto e in quel caso la componente emozionale, l’empatia che i founder riescono a generare è importantissima.

 

 

9 – Stupire con effetti speciali

 

 

Il videopitch che accompagna una campagna di equity crowdfunding ha due obiettivi precisi: mostrare il volto dei founder e raccontare l’idea in maniera semplice e coinvolgente per invogliare ad approfondire. A volte basta un’inquadratura fissa, una persona che parla e dei testi che scorrono. Eppure, molti founder sono convinti che sia necessaria una produzione con grandi effetti speciali. Ricordiamoci che non bisogna stupire il pubblico, ma coinvolgerlo con semplicità e chiarezza.

 

 

10 – Sottovalutare il press kit

 

 

Nove startup su 10 non hanno mai pensato di farsi fare delle belle foto da inviare a giornalisti o blogger che ne fanno richiesta. Preparare un press kit con immagini in alta definizione, loghi, foto di founder, prodotti e magari un profilo aziendale è la base della comunicazione. Spesso si perdono importanti opportunità di pubblicazione perché questi materiali tardano ad arrivare.

 

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