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PA, reclutare oggi i dirigenti che servono domani

Durante un seminario in materia di concorsi pubblici tenutosi lo scorso 30 gennaio è stato rilevato come, con riferimento alla PA in senso stretto (strutture centrali, agenzie, enti territoriali e locali), siano previste, entro i prossimi 5 anni, assunzioni per circa 100mila unità di personale dopo che il numero di dipendenti è diminuito dal 2008 di circa 300 mila unità, pari all’8,% del personale pubblico. Ha calcolato Raffaella Saporito, docente di SDA Bocconi, che questa iniezione di nuove risorse umane, tenendo presente una vita professionale di 35/40 anni, cubino circa 200 miliardi di euro, più o meno il valore dell’intero del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano (PNRR). Cifre simili rendono chiara la significatività del momento storico che sta vivendo il Paese: gli aiuti europei dovrebbero spingere a fare un salto di qualità sistemico in settori fondamentali, fra i quali quello della “digitalizzazione e modernizzazione della PA”, per il quale sono destinati quasi 12 miliardi di euro e che fra l’altro prevede, in materia di capitale umano, azioni specifiche di investimento su analisi dei fabbisogni e forme di reclutamento di risorse umane che tengano conto non solo di conoscenze tecniche. Se si allarga il quadro al complesso delle amministrazioni che dovranno misurarsi con forme di organizzazione del lavoro che, nel post pandemia, diventeranno strategiche, appare evidente che l’obiettivo è dar corpo e sostanza all’idea di PA che serve, da domani, al Paese. Si tratta, insomma, di una gigantesca opportunità che pone, tuttavia, una domanda alla quale va data urgente risposta: chi cerchiamo e per far cosa?

 

Il reclutamento del personale diventa, in altre parole, la chiave di lettura di una visione sostenibile della macchina pubblica dei prossimi 20 o 40 anni che dovrebbe diventare obiettivo comune e trasversale di maggioranza e opposizione in ogni Parlamento, specialmente in un panorama politico turbolento come quello italiano. È noto come la PA Italiana viva di una cultura interna caratterizzata da un approccio ancora troppo formalista e imperniato sulla forte proceduralizzazione amministrativo-contabile. Sono, ovviamente, aspetti imprescindibili per una corretta attività amministrativa che devono, però, essere affiancati, in un’ottica innovativa e di efficacia, da ulteriori componenti che attengono alle caratteristiche dell’individuo. Se è eccessivo parlare di “svolta imprenditoriale, come scrive Giovanni Valotti sul Corriere della sera (il dirigente pubblico, a differenza dell’imprenditore, non può permettersi la libertà di rischiare), è innegabile sia opportuna “maggiore libertà di movimento sul piano procedurale, delle assunzioni, dei riconoscimenti ai dipendenti meritevoli”. In una società sempre più complessa e veloce, le cui sfide all’amministrazione si affastellano e moltiplicano, occorre valorizzare un patrimonio sinora trascurato, rappresentato da quelle competenze personali correlate al saper fare e al sapersi relazionare che affianchino le indefettibili conoscenze di natura tecnica.

 

Se pensiamo alla dirigenza amministrativa, perno dello sviluppo quotidiano di ogni politica pubblica, la sfida è duplice: occorre reclutare talenti che, creando valore e fiducia nell’azione pubblica, siano in grado di gestire una fase di profonda trasformazione organizzativa (si pensi all’impatto che potrà avere un regime ordinario di smart working al cessare dell’emergenza dettata dal Covid) e, al contempo, contribuire alla gestione e implementazione futura delle misure finanziate dall’iniziativa Next Generation EU, tenendo il tutto all’interno del quadro di prospettiva offerto all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite attraverso le tre dimensioni– economica, sociale ed ecologica – dello sviluppo sostenibile. A ribadire l’urgenza del caso soccorrono i dati diffusi nel corso di un convegno da Giovanni Fattore sulla dirigenza apicale dei ministeri, che è tendenzialmente anziana, con scarsa esperienza internazionale e con una formazione marcatamente giuridica. Se questo è l’imprescindibile orizzonte cui mirare, alla consapevolezza della necessità deve dunque accompagnarsi un intervento sulle modalità con cui si organizzano i pubblici concorsi per reclutare la dirigenza pubblica italiana, almeno nelle amministrazioni centrali. Vista la ormai più che ventennale esperienza, non si può che partire dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) che, parte del cosiddetto sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica, ha il mandato di reclutare fino al 50% dei futuri dirigenti attraverso il corso-concorso selettivo di formazione, una sorta di ingresso “chiavi in mano” che, dopo il concorso di accesso alla Scuola, prevede un anno di corso e stage e la successiva, diretta assegnazione della direzione di un ufficio.

 

La SNA sta attualmente predisponendo, seppur nel perdurare dell’emergenza pandemica, l’ottava edizione del corso-concorso per 210 nuovi dirigenti, che porterà il numero di coloro che hanno acceduto alla dirigenza a circa 1000 unità dal 1998 ad oggi. La Scuola ha maturato, in altri termini, pur nella frequenza singhiozzante del reclutamento – che l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi immaginava come vendemmia annuale – una rilevante esperienza che ha portato ad innestare gradualmente elementi legati alle cosiddette soft skill nella selezione dei candidati. In particolare, come ha dichiarato Stefano Battini, Presidente della SNA, la Scuola aspira a valutare la capacità di giudizio dei candidati in situazioni critiche, avendo introdotto, fra l’altro, al posto del classico tema, l’elaborato critico di un dossier, “realizzato a partire da un set di documenti e materiali messi a disposizione del candidato durante la prova, che sostituisce il tema, sul consolidato modello ENA”, l’Ecole nationale d’administration francese. Non mancano, naturalmente problemi organizzativi, legati, ad esempio, al gran numero di partecipanti (circa 20.000 ad edizione negli ultimi anni) e al ricorso forzato alle prove preselettive, vera e propria ghigliottina che rischia di non operare una adeguata scrematura e il cui possibile rimpiazzo solleva il problema di come dare per acquisite e in quale misura le conoscenze tecniche prima dell’approdo al concorso.

 

Il concorso pubblico resta, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione, la via maestra per accedere ai pubblici uffici. Nulla vieta, tuttavia, che si possa intervenire chirurgicamente sulla normativa di settore per favorire l’inserimento di modalità che, ad esempio ispirandosi al consolidato modello dell’EPSO (Ufficio interistituzionale di selezione del personale per le Istituzioni e le Agenzie dell’Ue), adottino criteri tesi a valutare a) competenze cognitivo/linguistiche, b) competenze comportamentali/relazionali, c) quadro motivazionale e di valori e, infine, d) competenze tecniche classiche. Pare, inoltre, imprescindibile, a fini sistemici, rendere il canale della SNA l’unico canale di accesso alla dirigenza delle amministrazioni centrali e degli enti pubblici, ponendo fine all’estrema frammentazione in entrata che ha contributo al mancato consolidarsi dello spirito di corpo della categoria, a differenza di magistrati, diplomatici o prefetti. Non dovrebbe, poi, mancare l’attenzione alla figura del reclutatore. Ai sensi dell’art. 9, co. 2, del DPR 487/1994, le commissioni esaminatrici sono composte, per i concorsi per la dirigenza, da un consigliere di Stato, o da un magistrato o avvocato dello Stato di corrispondente qualifica, o da un dirigente generale od equiparato, con funzioni di presidente, nonché da esperti nelle materie oggetto del concorso: nitida fotografia dell’impostazione giuridico-amministrativa dominante. Come ha evidenziato proprio Valotti nel convegno dello scorso 30 gennaio, a fronte dell’investimento per lo Stato, occorrerebbe riconoscere spazio a chi fa del reclutamento una professione e che mira a rilevare nel candidato, oltre alle conoscenze tecniche, il ventaglio di competenze e inclinazioni che possono essere preziose in un’organizzazione avanzata e alle prese con sfide nuove.

 

Ancora nel mezzo di una crisi sociale ed economica epocale, abbiamo l’occasione – il dovere – di ripensare finalità, composizione e ragione della nostra macchina pubblica, a partire dalla scelta consapevole di chi farà camminare le politiche del futuro. Come ha rilevato il ForumPA nel suo Rapporto Annuale, la PA che emerge dopo questi mesi intensi di pandemia “è una realtà fluida e porosa, in cui i confini non sono più netti dal punto di vista organizzativo e culturale, ma permeabili ai flussi materiali e immateriali generati nel contesto di riferimento dai molteplici attori sociali […], più aperta al cambiamento, al confronto, a reagire agli improvvisi stimoli esterni, di molti suoi commentatori”. Anzi, se il Legislatore ha continuato a imporre innovazione per decreto, l’esperienza del Covid “ha registrato una diffusa capacità e voglia di reagire dal basso, da dentro le stesse istituzioni […]. A fronte di un obiettivo condiviso, la lotta alla pandemia, sono emerse non solo generosità ma anche energie e competenze, che sono state spese per una causa comune che è diventata un formidabile, se pur tragico, fattore federativo, di collaborazione, di resilienza e di rifondazione”. È la conferma che la risorsa più importante delle organizzazioni pubbliche è e resta quella umana, che va ricercata, accompagnata e formata nella crescita personale del singolo individuo e della macchina amministrativa nel suo complesso. È il momento di cambiare. In fondo, se non ora quando?

 

* Alfredo Ferrante. Dirigente dello Stato proveniente dalla esperienza dei corsi-concorso della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA), è in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Laureato in Scienze Politiche, si è specializzato in studi europei ed internazionali ed è in possesso di un dottorato di ricerca in public management. Presidente del Comitato disabilità del Consiglio d’Europa dal 2016 al 2018, è rappresentante per l’Italia in diversi tavoli in materia di politiche sociali presso la Commissione europea, il Consiglio d’Europa e le Nazioni Unite. Già Presidente dell’associazione degli ex allievi della SNA, è da anni impegnato sul tema della riforma della P.A. Appassionato di vino e di fumetti, ha tre figliocci. Cura il blog tantopremesso.it.

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