Draghi, è ora di rispondere alle domande

Mario Draghi è premier da un mese. Ha giurato il 13 febbraio, insieme al suo governo. Ha parlato poco, come previsto e come annunciato. Il discorso di insediamento, un paio di interventi ufficiali in video messaggio, venerdì scorso in presenza al centro vaccinale di Fiumicino. Poche parole e messaggi chirurgici. Una scelta di comunicazione, condivisibile o meno, molto lineare. Manca però un passaggio che anche la più rigorosa strategia non può eludere: è ora che Draghi risponda alle domande dei giornalisti.

Non è solo una questione di rapporti e di buone maniere. Non è solo una questione di forma. C’è un problema sostanziale se un premier, a maggior ragione in una fase come questa, non accetta il confronto diretto con la stampa. Il contraddittorio non è un accessorio e neanche un vezzo di chi, in altre stagioni, ne ha pure abusato. È un doveroso e ineludibile momento di condivisione della responsabilità di governo.

Draghi, perfino Draghi, non si può sottrarre ancora a lungo alle domande dei giornalisti. Quando era a Francoforte, alla guida della Bce, rispondeva ogni sei settimane in conferenza stampa, dopo le decisioni del Consiglio. E quasi sempre, pure appoggiandosi spesso allo statement che apriva il confronto con la stampa, era nelle risposte alle domande che costruiva la sua comunicazione più efficace.

Oggi, da Presidente del Consiglio, deve trovare presto l’occasione per aprire un confronto che, oltre a rientrare nelle sue prerogative, deve diventare uno strumento efficace della sua strategia di comunicazione. Non c’è motivo di dubitare che questo sia nelle sue intenzioni, del suo portavoce e del suo staff. Ma non si può posticipare oltre. Servono le domande e le risposte, perché sono una garanzia di trasparenza e di democrazia. Per tutti, anche per Draghi.