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Inchiesta Congo, Eni chiede patteggiamento da 11,8 mln di euro

Eni ha depositato alla Procura di Milano una richiesta di patteggiamento, con una sanzione di 11,8 mln di euro, nell’inchiesta sul rinnovo di alcune licenze estrattive in Congo dopo che il pm Paolo Storari ha derubricato l’ipotesi di reato da corruzione internazionale a induzione indebita.

Nell’ambito dell’inchiesta relativa ad alcune attività di Eni in Congo, che vede indagata la società e un suo manager – si legge in una nota della società – Eni prende atto con soddisfazione del decadere anche di questa ipotesi di corruzione internazionale”. In seguito alla derubricazione del reato contestato, “Eni ha aderito all’ipotesi di sanzione concordata avanzata dalla Procura e ne ha presentato richiesta”, spiega la nota, aggiungendo che la società “metterà a disposizione quindi un corrispettivo pari a 11,8 milioni di euro come sanzione concordata”.

Eni precisa che “l’accordo non rappresenta un’ammissione di colpevolezza da parte della società rispetto al reato contestato ma un’iniziativa tesa a evitare la prosecuzione di un iter giudiziario che comporterebbe un nuovo e significativo dispendio di risorse per Eni e tutte le parti coinvolte”. L’ipotesi, conclude Eni, “conferma inoltre la tenuta dei sistemi di controllo anti-bribery della società”.

La richiesta di patteggiamento, che risulta depositata lo scorso 15 marzo, sarà esaminata ora dal Gip Sofia Fioretta che, in una udienza fissata il prossimo 25 marzo, dovrà decidere se ratificare il patteggiamento.

L’udienza in corso davanti al gip riguarda la richiesta di una misura interdittiva nei confronti di Eni avanzata dalla procura di Milano che chiedeva lo stop di due anni allo sfruttamento di sette campi petroliferi congolesi o, in subordine, un commissariamento per la gestione di quelle aree estrattive. La ratifica del patteggiamento farebbe cadere anche questa richiesta, determinando la definitiva uscita di Eni dall’indagine.

L’inchiesta, di cui la stessa Eni aveva dato notizia tre anni fa, riguardava l’ipotesi che il gruppo italiano, per ottenere nel 2015 i rinnovi dei permessi petroliferi, avesse accettato di cedere quote azionarie delle licenze a una azienda congolese dietro cui si sarebbero celati funzionari pubblici congolesi. Eni ha sempre negato ogni illecito, affermando di non aver avuto nessun ruolo nell’assegnazione delle licenze o nella scelta governativa del proprio partner locale.

Ieri Eni è stata assolta, insieme ad altri 13 imputati, fra i quali l’Ad Claudio Descalzi e Shell, al termine del processo di primo grado sulle presunte tangenti in Nigeria per lo sfruttamento del blocco petrolifero Opl245 .

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