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Scansani: Per il vero smart working serve una riprogettazione complessa

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Giovanni Scansani è tra i maggiori conoscitori del welfare aziendale in Italia. Lo ha visto crescere al vertice di uno dei maggiori provider, lo ha accompagnato come consulente e come studioso. In coppia con Luca Pesenti ha scritto più di un volume sui problemi e sulle opportunità del welfare integrato (è in uscita il loro prossimo lavoro sullo smart working, per i tipi di Vita e Pensiero). Cura l’annuale report che monitora la vita dei provider di welfare aziendale. Ultimamente con la psicologa Monica Bormetti e con l’avvocato Pasquale Dui ha dato vita a un progetto di formazione e aggiornamento su questi temi, “Smart&Welfare”.

 

Nell’emergenza Covid com’è cambiato il welfare aziendale in Italia?

Si è assistito ad un rafforzamento degli interventi tramite la strutturazione di risposte più coerenti con le necessità e i timori generati dalla pandemia. È stato spesso ampliato il menu dei servizi per includervi risposte in grado di dare sostegno alle persone e alle famiglie considerando le criticità logistiche ed umane nelle quali si sono ritrovate a vivere stando in abitazioni trasformatesi in “succursali” dell’ufficio e per i genitori anche in aule scolastiche. In prospettiva è piuttosto chiaro che i piani di WA andranno ricontestualizzati e che le prestazioni in area “people care” avranno maggior rilievo rispetto a quelle “life style”, soprattutto in quelle aziende che saranno capaci di allestire percorsi formativi sul più corretto impiego dei budget individuali. Questa esigenza è avvertita dagli HR manager più avveduti e per evitare conflitti d’interesse può essere soddisfatta da soggetti indipendenti rispetto ai Provider che gestiscono operativamente i piani di WA. Lo sviluppo di una reale capacità di operare scelte consapevoli rispetto alla razionale allocazione del proprio personale “Conto Welfare”, per non dissiparne il valore economico, è funzionale alla costruzione di quei percorsi di sostegno nei quali si deve sostanziare il WA. Quest’ultimo, come manifestazione di libertà nella costruzione del proprio benessere, sottende il fatto che il grado con il quale tale libertà si esprime sia funzione del livello di consapevolezza con la quale essa si manifesta proprio tramite le scelte che consente di compiere.

 

A proposito di HR: il loro ruolo, anche considerando la diffusione dello smart working, si sta rafforzando o indebolendo?

Le criticità della pandemia sono state e sono tuttora criticità umane ed organizzative e se c’è una figura aziendale che esce a testa altissima dallo tsunami che ha investito le imprese questa è proprio quella del Direttore del Personale insieme ai suoi collaboratori. Il ruolo strategico della Direzione HR è stato messo alla prova e l’ha superata. Il next step sarà quello di creare le premesse umane, tecnologiche ed organizzative per avviare programmi di autentico smart working tenendosi a distanza di sicurezza dalle “narrazioni” del mainstream che spesso non hanno nulla a che fare con la complessa riprogettazione organizzativa che il “lavoro agile” presuppone.

 

Quale welfare aziendale resterà nel “new normal” delle aziende post-pandemia?

Occorrerà ricalibrare i piani di WA che fortunatamente, nella maggior parte dei casi, non hanno subito conseguenze in termini di budget dopo l’irruzione della pandemia. Questa operazione presuppone il riascolto dei lavoratori e la ridefinizione delle priorità allargando lo sguardo non limitandolo al menu dei servizi defiscalizzati, ma attivando strategie di people management che si estendano, sul piano organizzativo, intercettando meglio i bisogni di conciliazione vita-lavoro ed introducendo competenze essenziali per la ricostruzione o la conservazione dei legami di team messi a dura prova dal “lavoro da remoto forzato”. Le imprese sono relazioni umane prima di essere connessioni informatiche e l’apporto di specifici know-how, ad esempio quello degli Psicologi del Lavoro, consente di strutturare gli interventi in modo più efficace, generando più valore per i lavoratori e per l’azienda stessa.

 

Il ruolo dei Provider è destinato a cambiare?

Se il WA diventerà meno “glamour” e più vicino ai reali bisogni delle persone, anche il ruolo del Provider cambierà. Bisogna uscire dalla comfort zone “commerciale” delle logiche e-commerce ed avvicinarsi ad un ruolo più “sociale” per ripensarsi con nuove idee e soluzioni operative più coerenti con lo scenario che si sta delineando. I Provider dovrebbero riposizionarsi superando il ruolo di fornitori di una commodity (il portale) per affermarsi come veri e propri partner del cambiamento che la ripresa delle attività porterà con sé nel “post-Covid19”. Non più soltanto semplici “aggregatori” e distributori dell’offerta dei diversi servizi di WA inseriti in piattaforma, ma veri e propri hub nei quali le aziende datrici di lavoro potranno rintracciare ulteriori soluzioni destinate ad accrescere il valore dei loro programmi di WA amplificandone la portata rispetto ad alcuni obiettivi strategici (di clima, di produttività, d’innovazione). L’attività dei Provider potrà, insomma, diventare più complessa, al fine di accrescere il valore aggiunto ottenibile con (e dal) loro ruolo nella “filiera” organizzativa aziendale, anche attraverso l’attivazione di partnership che potranno ampliare la gamma dei servizi offerti, espandendola a settori disciplinari sin qui sostanzialmente trascurati dalla maggior parte dei player del settore. Una bella sfida che, se raccolta anche sul piano dello sviluppo delle competenze interne necessarie, in un settore con oltre cento concorrenti attivi potrà aiutare a fare la differenza.

 

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