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Vaccino Covid, l’Italia feudale

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Non c’è nulla da fare. Nemmeno l’emergenza prodotta dalla pandemia Covid è riuscita nell’impresa di far entrare l’Italia nella contemporaneità. Restiamo sempre al tempo di Dante, dei Comuni e dei campanili e soprattutto delle corporazioni di mestiere. Che sono tornate a farsi sentire con voce imperiosa e a reclamare di saltare la fila, passare davanti a tutti ed essere vaccinati per primi. Prima degli ultra-ottantenni, la coorte di età che ha pagato e paga tuttora il prezzo più alto in vite umane a Covid. Senza pudore. Senza vergogna.

Nulla importa alle gilde se ogni giorno si contano 400-500 morti – due aerei che si schiantano al suolo ogni 24 ore farebbero sensazione, riempirebbero i titoli di giornali e tv mentre le vittime del virus si stanno inabissando nell’indifferenza generale, come fosse normale – al 60% over 80 e al 30% over 70. Se si vaccinassero tutti la mortalità scenderebbe subito quasi a zero.

Invece i numeri ci dicono che a fronte di territori virtuosi come la Provincia autonoma di Bolzano e il Molise che tra prima e seconda dose hanno vaccinato il 70% degli ultraottantenni, o come la Provincia autonoma di Trento, Basilicata, Lazio, Marche e Veneto che sono attorno al 60% (dati Fondazione Gimbe al 30 marzo), altri virtuosi proprio non sono. La Toscana resta sotto il 40%, con Sicilia e Liguria a meno del 50%. Se prendiamo gli over 70 la situazione è ancora più desolante: in questa classe di età è stato vaccinato circa un milione di italiani (dati dal sito del Ministero della Salute), a fronte di 1,6 milioni tra i 50 e i 60 anni, 1,3 milioni tra i 40 e i 50 anni, quasi un milione tra i 30 e i 39 anni e addirittura oltre mezzo milione tra i 20 e i 29 anni.

Quanti morti in meno a causa di Covid conteremmo oggi se invece di utilizzare oltre 4,5 milioni di dosi di vaccino per persone sotto i sessant’anni avessimo impiegato almeno il milione e mezzo di dosi catalogato alla voce “altro” (sempre Ministero della Salute) – ovvero né operatori sanitari e socio-sanitari, né personale non sanitario, né ospiti delle strutture residenziali, né Forze armate, né personale scolastico – per gli over 80 e gli over 70?

A chi sono andate queste dosi? Alle corporazioni, appunto, quelle più forti che hanno alzato la voce e si sono infilate nella categoria “servizi essenziali”, porta inopinatamente lasciata aperta nei Dpcm di dicembre e gennaio dal governo di Giuseppe Conte e nella quale le Regioni – senza distinzioni geografiche tra Nord e Sud e di colore politico tra centro-destra e centro-sinistra – hanno infilato di tutto e di più. Magistrati, avvocati, giornalisti, veterinari, politici e chissà cos’altro mentre altri hanno bussato più tardi e trovato la porta chiusa come i commercialisti.

I casi più eclatanti sono Toscana e Lombardia: la prima ha dato priorità ad avvocati e magistrati rispetto agli anziani (e non mancano i giornalisti, leggasi Andrea Scanzi), con il risultato che è la Regione con il più alto tasso di vaccinati alla voce “altro” e il più basso di over 80; anche la Lombardia ha un numero esorbitante di vaccinati nella categoria “altro” – e non si riesce a sapere chi siano – e, con poco più del 50%, arranca sugli ultraottantenni.

Ci sarebbe anche da riflettere sulla priorità – sempre decisa dal governo guidato da Giuseppe Conte – data a tutto il personale delle Università, non solo i docenti ma perfino gli archivisti della biblioteca come hanno denunciato scandalizzati gli economisti Roberto Perotti e Tito Boeri della Bocconi, agli insegnanti e alle forze dell’ordine di tutti i corpi compresi i vigili urbani: nessun Paese, non la Francia, non la Germania, tantomeno il Regno Unito, battistrada in Europa, hanno fatto passare avanti queste categorie, preferendo iniziare dagli ospiti delle strutture protette, dagli operatori sanitari, dagli anziani e dai cosiddetti ‘fragili’. Solo dopo, messi al sicuro i più esposti – Uk va rigorosamente e solo per età dopo aver vaccinato le categorie citate – vengono insegnanti e forze dell’ordine.

Che le corporazioni fossero vive e vegete dopo centinaia di anni non è un mistero, di esempi ne abbiamo a bizzeffe – senza scomodare il Ministero istituito a suo tempo da Benito Mussolini – per esserne consapevoli. Basta fare mente locale: siamo un Paese in cui le professioni – le nuove corporazioni – e i mestieri si continuano a tramandare, come nel Medioevo, di padre e madre in figlio e figlia: docenti universitari, magistrati, avvocati, architetti, ingegneri, commercialisti, giornalisti, politici, bancari. Giù giù fino ai gondolieri di Venezia e ai marinai delle barche che traghettano i turisti alla Grotta Azzurra a Capri.

Non è bastato il richiamo, insolitamente brusco, del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Il suo “alcune Regioni trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale”, al momento sembra essere caduto nel vuoto, la somministrazione dei vaccini agli over 80 stenta a decollare. “Gruppi” che altro non sono che le moderne corporazioni.

Si poteva sperate che il virus fungesse da livella, citando Totò, e invece niente, non si è arretrati nemmeno davanti alla morte pur di rivendicare un privilegio di casta. Vedi la minaccia dell’Associazione nazionale magistrati di rallentare le udienze, poi rientrata quando si è rivelata un boomerang per la categoria, le escandescenze del politico Gianfranco Micciché all’Assemblea regionale siciliana o la protervia del giornalista Andrea Scanzi.

Non sono solo “mostri” individuali, come li ha definiti su La Stampa, Caterina Soffici, purtroppo sono “mostri” collettivi. Corporazioni appunto. Che bloccano la crescita e lo sviluppo del Paese, lo tengono perennemente con il freno a mano tirato, umiliano i talenti, l’intraprendenza, l’energia di tutti coloro che “non fanno parte”. Giovani e donne in primis, che prendono armi e bagagli e cercano all’estero le opportunità negate in patria. All’alba del terzo Millennio sarebbe tempo di uscire dal Secondo.

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