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La vittoria di Amazon, con i dipendenti Usa che dicono no al sindacato

Il 22 marzo c’è stato il primo sciopero dei dipendenti Amazon in Italia, con 30mila persone coinvolte, 9.500 delle quali dipendenti diretti della piattaforma di e-commerce. Un’iniziativa decisa dopo l’interruzione della trattativa per la contrattazione di secondo livello della filiera Amazon, con tutta una serie di questioni sul tavolo: la verifica dei carichi e dei ritmi di lavoro, la contrattazione dei turni, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, gli aumenti retributivi, la clausola sociale e la continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati, il rispetto delle normative su salute e sicurezza, l’indennità Covid.

Problemi e questioni che i lavoratori della piattaforma conoscono bene in tutto il mondo. Pochi giorni fa, incalzata da alcune inchieste della stampa americana, la società ha dovuto ammettere che sì, è vero, i suoi autisti sono costretti a fare la pipì nelle bottiglie: a causa delle più difficili condizioni di lavoro legate al Covid, ma anche per via di un modello di business tutto centrato su grandi numeri, ritmi incalzanti, tempismo ed efficacia delle consegne.

Che in Amazon ci sia un problema nell’organizzazione e nella gestione del lavoro è evidente. Se ne discute da tempo anche negli Stati Uniti, dove l’azienda di Jeff Bezos è tra i maggiori datori di lavoro del Paese, con circa 950mila persone assunte alle sue dipendenze. Il tema è divenuto caldo negli ultimi mesi, dopo che i lavoratori dello stabilimento di Bessemer, in Alabama, in cui è impiegato l’1% circa della forza lavoro di Amazon negli Usa, hanno indetto una votazione per decidere se creare o meno, per la prima volta, un sindacato interno in uno dei siti americani dell’azienda.

Una eventualità vista come fumo negli occhi da Amazon, che si è opposta con forza al tentativo di sindacalizzare l’azienda. Su seimila dipendenti circa, ha deciso di votare il 55%, pari a 3.215 schede inviate per posta. Il voto si è concluso lo scorso 29 marzo e i risultati sono stati resi noti venerdì 9 aprile: il 71% dei magazzinieri dello stabilimento si è espresso contro l’adesione al sindacato Retail, Wholesale and Department Store Union (Rwdsu). Una vittoria schiacciante per il gruppo di Seattle, con le azioni che venerdì sono aumentate del 2,2%, a 3.372,20 dollari, il livello più alto da due mesi a questa parte.

I lavoratori dello stabilimento in Alabama che si sono espressi a favore dell’adesione al sindacato chiedevano cambiamenti nelle politiche relative alle retribuzioni, alle pause, ai ritmi e alla distribuzione dei carichi di lavoro, alla gestione delle rimostranze dei dipendenti. In una conferenza stampa organizzata da Amazon, i lavoratori di Bessemer che si sono schierati contro l’adesione hanno detto che il sindacato non ha portato argomenti convincenti. Gli stessi lavoratori hanno ribadito la richiesta di modifiche all’organizzazione del lavoro nello stabilimento, sostenendo tuttavia che possono risolvere i problemi direttamente con l’azienda, senza bisogno di interventi di terze parti.

L’esito del voto in Alabama evidenza ancora una volta le difficoltà dei sindacati nel settore privato degli Stati Uniti, dove oggi rappresentano appena il 6,3% dei lavoratori, contro il 24,2% dei primi anni ’70. Ma a orientare le preferenze a Bessemer sarebbero stati anche altri fattori, secondo il sindacato Rwdsu, che ha annunciato che impugnerà l’esito del voto, accusando Amazon di aver violato le norme che regolano le campagne di sindacalizzazione e di aver influito illegalmente sulle votazioni.

“Solleciteremo l’Agenzia federale per i diritti del lavoro a chiedere conto ad Amazon del suo comportamento illegale durante la campagna”, ha detto il presidente di Rwsdu Stuart Appelbaum. “Non ci fermeremo fino a quando le voci dei lavoratori non saranno ascoltate nel rispetto della legge. Quando questo accadrà, siamo convinti che vinceranno questa storica e critica battaglia per sindacalizzare il primo magazzino Amazon negli Stati Uniti”. Con il suo ricorso, il sindacato Rwsdu punta a ribaltare l’esito del voto o a farlo ripetere. Nel mirino ci sono, in particolare, i briefing settimanali che Amazon ha tenuto con i dipendenti di Bessemer per promuovere la sua battaglia contro la sindacalizzazione durante la campagna, con tanto di volantini, poster e promesse di miglioramenti.

Da parte sua Amazon ha ribadito di essersi attenuta scrupolosamente alle regole nella comunicazione con i dipendenti, prima e durante le votazioni. “È facile prevedere che il sindacato dirà che Amazon ha vinto queste elezioni perché abbiamo intimidito i dipendenti, ma non è vero: i nostri dipendenti hanno sentito molti più messaggi anti-Amazon dal sindacato, dai politici e dai media, di quanti non ne abbiano sentito da noi”, ha sottolineato la società in un post sul suo blog, evidenziando come solo il 16% dei dipendenti di Bessemer si sia espresso a favore del sindacato. Amazon si è difesa ricordando anche che i salari partono da 15 dollari l’ora, più del doppio del minimo in Alabama, che fornisce benefici sociali, come la copertura sanitaria, che i dipendenti hanno le pause necessarie a far fronte alle loro esigenze e di aver “lavorato duramente per ascoltare, acquisire i loro feedback, apportare miglioramenti continui”, assicurando che continuerà a lavorare “per migliorare ogni giorno”.

Nell’ultimo anno la crescita di Amazon ha subito un’ulteriore accelerazione, con le aziende e i consumatori che durante la pandemia si sono affidati in massa ai suoi servizi, portando le vendite a superare i 386 mld di dollari (circa 324 mld di euro) nel 2020, con un aumento del 76% del prezzo delle sue azioni. Sempre lo scorso anno Amazon ha assunto in tutto il mondo 500mila persone, allargando il proprio business alla sanità, all’alimentare e altri mercati. Una crescita destinata a proseguire, secondo gli esperti, indipendentemente dall’andamento delle battaglie dei lavoratori per ottenere diritti, salari e condizioni di lavoro migliori. Il vantaggio di Amazon, ha spiegato Guru Hariharan, ex manager del colosso di Seattle che oggi gestisce la società di analisi CommerceIQ, “si basa sulla sua tecnologia, e continuerà ad essere così indipendentemente dall’eventuale incremento del livello di produttività dei lavoratori dei centri logistici”.

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