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Laureati italiani sempre più emigranti

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In Italia, i lavoratori laureati guadagnano il 39% in più degli adulti che si sono fermati al diploma superiore e addirittura il 57% in più, in media, dei colleghi occupati nei diversi Paesi dell’OCSE. Ma evidentemente i posti disponibili sono pochi perché il tasso di emigrazione dei laureati è in crescita costante per tutto il periodo della ricerca e, nel 2019, ha raggiunto il 41,8% in più rispetto al 2013.

È quanto emerge dal Referto sul sistema universitario 2021 approvato dalla Corte dei conti, in cui si approfondisce finanziamento, composizione, modalità di erogazione della didattica, offerta formativa e ranking delle 98 università italiane, pubbliche e private, da cui fra le altre cose emergono “giudizi di qualità elevati in prevalenza per le università del Nord del Paese rispetto a quelle del Sud e criticità per le telematiche”. Ma da cui emerge anche quell’altro spetto preoccupante.

Sebbene il sistema universitario italiano, si legge nelle 260 pagine del rapporto, “risulti tra i primi dieci Paesi al mondo capaci di esercitare un’attrattività formativa dall’estero, molto resta ancora da fare per trattenere e valorizzare all’interno il capitale umano formato. Negli ultimi anni al numero elevato di laureati che si sono trasferiti all’estero per lavorare non è corrisposto un numero analogo di lavoratori qualificati rientrati, pertanto, l’esodo di capitale umano con competenze elevate rappresenta un ostacolo che compromette la capacità competitiva del Paese”.

È certo che agli studenti la laurea funziona, ma sembra servire meno che all’estero. Per i venticinque-trentaquattrenni nei Paesi dell’OCSE, dicono i magistrati contabili, si registra “un tasso di occupazione, nel 2019: del 61 per cento per coloro che non possiedono un livello di istruzione secondaria superiore; del 78% per chi ha una qualifica secondaria superiore o post-secondaria non terziaria; dell’85% in casi di possesso di un livello d’istruzione terziaria. In Italia, le percentuali sono: del 53 per un livello inferiore alla scuola secondaria superiore; del 64 per i diplomati della scuola secondaria superiore o post-secondaria non terziaria; del 68 per i laureati dell’istruzione terziaria”. Insomma, il mercato del lavoro italiano sembra piuttosto interessato ai profili più bassi anche se quando assume i laureati li strapaga.

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