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Pnrr e riforme. Draghi, la differenza c’est moi

La vera sfida, da domani, è quella dell’attuazione. Oggi però, dice Mario Draghi, è il momento di celebrare “l’alba della ripresa economica italiana”. Il mood ottimista scelto ormai da qualche tempo dal presidente del Consiglio raggiunge quasi la sua sublimazione negli studi di Cinecittà, dove Ursula von der Leyen consegna nelle sue mani il parere positivo della Commissione europea sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, la cui attuazione è indispensabile per ottenere i finanziamenti del Next generation Eu.

Tutto nella scenografia deve trasmettere l’idea della solennità del momento, del traguardo storico. Anche l’eloquio del capo del governo diventa più retorico – si potrebbe dire più politico – del solito. C’è molto poco del tecnico che fu chiamato da Sergio Mattarella nel premier che dichiara che “la giornata di oggi è solo l’inizio”, che c’è “orgoglio” nell’aver “messo insieme un piano di riforme ambizioso che rende il Paese più giusto e più competitivo”, che “l’importante è che questi fondi siano spesi tutti e siano spesi bene, in maniera efficace e con onestà”.

Ed ecco il nodo. Evitare che succeda come tante volte in passato, che le risorse vadano perse o peggio sprecate. Il rischio, ammette, il presidente del Consiglio c’è. Ma questa volta ci sono delle differenze che spiega così: “Una è la volontà politica di farlo e la seconda è la capacità amministrativa di farlo”. Due fattori che sono legati da un unico comune denominatore: la presenza dello stesso Mario Draghi a palazzo Chigi. Come a dire: garantisco io. La differenza “c’est moi”.

Per la presidente della commissione Ue il Pnrr italiano “soddisfa i criteri” ed è un “piano ambizioso e lungimirante”. Una volta approvato nell’arco delle prossime quattro settimane – spiega – l’Unione europea sarà in grado di trasferire i primi finanziamenti, una tranche che per l’Italia vuol dire quasi 25 miliardi.

Incassata la pagella positiva dall’Europa, tuttavia, per il governo ora arriva il tempo di fare i compiti a casa. “I cambiamenti avvenuti nell’ultimo mese – osserva il premier – sono profondi e hanno come obiettivo mettere la Pubblica amministrazione nelle condizioni di attuare questo piano. Ora bisogna fare altre riforme. Siamo fiduciosi che con questi cambiamenti e con queste riforme che continueremo a fare, e con l’impegno politico individuale, ce la faremo”.

C’è già una road map dei prossimi mesi: “a giorni”, assicura, arriverà in Consiglio dei ministri la riforma della giustizia, uno dei temi più controversi all’interno della sua maggioranza. Basti pensare ai partiti del centrodestra che da una parte sostengono la raccolta di forme dei Radicali, e dall’altra al M5s (o almeno a una parte di esso) che promette battaglia se dovesse essere smontato l’impianto messo su dall’allora Guardasigilli, Alfonso Bonafede.

Draghi, poi, annuncia anche che “entro il mese di giugno” sarà presentato un disegno di legge delega per la riforma degli appalti e le concessioni, mentre a luglio sarà la volta della riforma della concorrenza.

Da un lato, quindi, il presidente del Consiglio si fa garante del piano di attuazione italiano, dall’altro però parla anche come un padre dell’Europa che sembra proiettarsi anche al di là della scadenza del suo mandato a palazzo Chigi per indicare le linee guida dell’Unione che verrà. “Se l’attuazione del Pnrr va in porto sono certo che alcune parti dello sforzo fatto dai Paesi Ue e dalla Commissione rimarrà strutturale. E’ una grande responsabilità che abbiamo”, è la sua convinzione.

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