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Il lungo cammino verso una cioccolata etica

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L’azienda olandese Tony’s Chocolonely vuole dimostrare che la cioccolata si può produrre senza sfruttare il lavoro minorile. La sfida è far coesistere i buoni propositi con i profitti. La versione originale di questo articolo, a firma di Vivienne Walt, è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2021.

LA STORIA di questa startup è iniziata con un crimine. Nel 2004, un giornalista olandese ha commesso, in televisione, quello che in teoria dovrebbe essere un reato con una pena di 6 anni di reclusione: ha mangiato cioccolato, apparentemente innocuo, che era stato però prodotto grazie al lavoro di minorenni, sosteneva il giornalista, e chi li consumava stava infrangendo la legge olandese sul lavoro minorile.

Per questo ha chiamato la polizia, invitandola (senza successo) ad arrestarlo. Nel 2005 quel giornalista, Teun van de Keuken, ha co-fondato una delle aziende più anticonformiste del settore del cioccolato, Tony’s Chocolonely, fusione tra il suo nome, il cioccolato e la parola lonely, ‘solitario’, come la sua battaglia contro Big Chocolate, le multinazionali del settore. In un’epoca in cui l’espressione ‘cioccolata etica’ neanche esisteva, Tony’s diceva che si poteva creare cioccolato di qualità senza lavoratori bambini, molti dei quali neanche adolescenti. L’azienda era determinata a rifornirsi di fave di cacao dalla Costa d’Avorio e dal Ghana, che insieme producono il 60% delle forniture mondiali, ma i cui contadini guadagnano meno di 1,25 dollari al giorno.

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Un esposizione dell’azienda olandese Tony’s Chocolonely

Dall’inizio, all’interno degli involucri dei cioccolatini, Tony’s Chocolonely descriveva l’iniquità del rapporto tra i grandi del cioccolato e i piccoli contadini del cacao. Per enfatizzare il concetto ha anche cominciato a modellare i cioccolatini con disegni ineguali. Gli involucri erano rossi fiammanti, perché la situazione era “allarmante”, racconta Henk Jan Beltman, ‘chief chocolate officer’ e Ceo dell’azienda. Eppure, dopo quasi due decadi, quel campanello d’allarme sta ancora suonando. Per la maggior parte dell’industria della cioccolata, che secondo le stime vale circa 136 mld di dollari, la produzione inizia tra povertà estrema e lavoratori minorenni, che trascorrono ore ogni giorno ad aprire fave di cacao con un machete per una paga misera. I piccoli lavoratori del cacao in Ghana e Costa d’Avorio sono aumentati fino agli 1,56 milioni attuali, secondo un rapporto dello scorso ottobre del National opinion research center (Norc) dell’università di Chicago.

Numeri superiori al 2015, quando Fortune ha visitato alcune coltivazioni di cacao, nonostante 20 anni di promesse da parte delle potenze dell’industria. Nel 2001, Nestlé, Mars, Mondelez, Hershey’s, e quattro altre grandi aziende hanno firmato l’Harkin-Engel Protocol, un accordo con il Congresso degli Stati Uniti per l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile entro il 2005. Una scadenza che non hanno rispettato. Come non hanno rispettato quelle del 2008, del 2010 e del 2020. Adesso pensano di rispettare gli impegni entro il 2025. Questi ritardi hanno avuto molte conseguenze legali.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2021. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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