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Combustibili fossili ancora dominanti

I combustibili fossili restano la fonte dominante. E le rinnovabili non riescono a crescere. Non soltanto questo: i fossili saranno ancora fondamentali per decenni. Due rapporti, uno in fila all’altro, raccontano di un quadro che ancora non si decide a essere in linea con le richieste della scienza. Tanto che le Nazioni unite parlano della CO2 come di un “codice rosso” per il Pianeta, mettendo in rilievo – con l’ultimo studio dell’Ipcc (gli esperti che studiano i cambiamenti climatici su mandato dell’Onu) – come la crisi ambientale sia da combattere con azioni immediate ancora prima, e sicuramente insieme, rispetto al ciclone sanitario e socio-economico Covid.
Il rapporto ‘Ren21’ per esempio certifica che la quota di combustibili fossili nel consumo di energia non è diminuita nel 2020 per il decimo anno consecutivo, e che le energie rinnovabili stentano a crescere, nonostante siano sempre più vantaggiose economicamente. Il 2020 sarebbe potuto essere un anno di svolta grazie all’emergenza sanitaria da Covid-19 ma nonostante la domanda di energia primaria sia diminuita del 4%, i Paesi del G20, e cioè “i maggiori inquinatori del Pianeta, hanno “a malapena raggiunto o addirittura mancato i loro obiettivi di energia rinnovabile, già poco ambiziosi”. Il bilancio racconta di una “quota di combustibili fossili che nel mix energetico totale è rimasta alta quanto un decennio fa: l’80,3% contro l’80,2% di oggi; e le moderne rinnovabili, che includono idroelettrico e biomasse, sono aumentate di poco, passando dall’8,7% all’11,2%”.
In un quadro composto da diversi elementi (effetto della congiuntura, ricerca minuziosa, e ormai preziosa, delle materie prime, spinta al Recovery innescata dai Piani nazionali) che puntano tutti verso la transizione energetica, le rinnovabili non sembrano pronte a tenere il passo, e a raccogliere il testimone dal petrolio. Tanto che l’Unione energie per la mobilità (l’Unem, nata dall’ex Unione petrolifera) ha posto due paletti lungo la strada che porta alla piena applicazione del Green deal dal respiro europeo; il primo è sulle fonti fossili, ritenute “dominanti ancora per decenni”, il secondo proprio sui carburanti che si porterebbero (come stiamo del resto vedendo in concreto quando andiamo a fare rifornimento alle stazioni) sul groppone il peso del fisco. Per l’Unem però ancora non è possibile rispondere con le rinnovabili: “La domanda di energia ha ripreso a crescere in modo significativo” ed è “in larga parte coperta dalle fonti fossili che sono ancora dominanti, e lo saranno per diversi decenni”. In linea con quanto riportato dal bilancio Ren, guardando alla crescita prevista della domanda di energia del 4,6% – avverte l’Unem – l’80% sarà “coperta da fonti fossili”: in testa il petrolio (oltre il 30%), poi il carbone (26%), e il gas (23%); dietro, le rinnovabili “intorno al 16%”.
Secondo le stime di Irena – l’International renewable energy agency – “nel 2020 è proseguita la tendenza al calo dei costi per l’energia solare ed eolica, nonostante l’impatto della pandemia e le interruzioni causate dalla diffusione del virus. Nel 2020, il costo dell’elettricità derivante da nuovi impianti eolici on-shore è diminuito del 13%, rispetto al 2019, l’energia solare a concentrazione del 16%, l’eolico off-shore del 9% e del solare fotovoltaico su scala industriale del 7%. I costi di generazione di energia rinnovabile sono diminuiti drasticamente nell’ultimo decennio, grazie anche a tecnologie in costante miglioramento e alle economie di scala. I costi per l’elettricità da fotovoltaico su scala industriale sono diminuiti dell’85% tra il 2010 e il 2020. Il costo dell’elettricità da energia solare ed eolica è sceso, a livelli però molto bassi”. A livello globale dal 2010 è stato aggiunto “un totale cumulativo di 644 GW di capacità di generazione di energia rinnovabile con costi stimati inferiori rispetto all’opzione più economica di combustibili fossili in ogni rispettivo anno. Nelle economie emergenti, i 534 GW aggiunti a costi inferiori ai combustibili fossili ridurranno i costi di generazione dell’elettricità fino a 32 miliardi di dollari quest’anno. I nuovi progetti solari ed eolici stanno minando sempre di più anche le centrali elettriche a carbone più economiche e meno sostenibili. L’analisi suggerisce che 800 GW di capacità esistente a carbone hanno costi operativi superiori rispetto al nuovo solare fotovoltaico su larga scala e all’eolico on-shore. La sostituzione di questi impianti a carbone ridurrebbe i costi annuali di 32 miliardi di dollari all’anno e ridurrebbe le emissioni annuali di CO2 di circa 3 Gigatonnellate”. Ora però dal rapporto Ren21 si evince come “nel 2020 ci sia stata un’ondata di impegni più forti per contrastare la crisi climatica; invece di guidare però la trasformazione anche verso l’energia rinnovabile, i piani di risanamento avrebbero portato a investimenti sei volte superiori sui combustibili fossili rispetto alle energie rinnovabili, nonostante tutte le promesse fatte durante l’emergenza da Covid-19”.
A indicare la direzione da seguire, ci pensa però la scienza. L’ultimo campanello d’allarme per il futuro della Terra è suonato dall’Ipcc nel rapporto ‘Cambiamenti climatici 2021 – Le basi fisico-scientifiche’, il primo dei tre volumi che andranno a formare il Sesto rapporto di valutazione che sarà pubblicato nel 2022. Il messaggio è chiaro: la concentrazione di CO2 nell’aria non è mai stata così alta in due milioni di anni, ed è inequivocabile che la responsabilità è attribuibile alle attività dell’uomo. Tanta CO2 è all’origine del riscaldamento globale dell’atmosfera, della terra e degli oceani e provoca già catastrofi naturali, da alluvioni a siccità, dagli incendi allo scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare. Ormai, nessuna area del Pianeta è esclusa.
Tutti i più importanti indicatori del sistema climatico (atmosfera, oceani, ghiacci) stanno cambiando a una velocità mai osservata negli ultimi secoli e millenni, alcuni fenomeni già in atto sono irreversibili come l’innalzamento dei mari, che è avvenuto a una velocità mai vista negli ultimi 3mila anni. La strada da percorrere. Solo forti riduzioni rapide (entro 10 anni) e su larga scala dei gas serra (CO2, metano e biossido di azoto) limiterebbero l’aumento medio della temperatura entro 1,5-2 gradi al 2100, come indicato dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015. Diversamente, questo obiettivo sarà fuori da ogni portata, facendo aumentare il rischio di eventi meteo estremi. Le attività umane sono responsabili di circa 1,1 gradi di riscaldamento rispetto al periodo 1850-1900. Ed è probabile che già nei prossimi due decenni le temperature aumenteranno di oltre 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. “Questo rapporto è un codice rosso per l’umanità – osserva il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres – e deve suonare una campana a morto per il carbone e i combustibili fossili, prima che distruggano il nostro Pianeta”.
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