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Unicredit-Mps, Orcel chiude la porta

andrea orcel unicredit mps

“Per rispetto di Mps non posso commentare, ma da italiano e come gruppo che ha significative attività in Italia, spero che si trovi una soluzione positiva, perché è nell’interesse di tutti”. Di quella soluzione non farà parte però Unicredit, dice lo stesso Ad del gigante di Piazza Gae Aulenti parlando dello stop alle trattative con il Mef per rilevare alcune attività di Mps.

“Dopo un periodo di due diligence e di negoziati con il Ministero dell’Economia, abbiamo annunciato che Mps non sarà parte della nostra futura strategia”, ha confermato l’ad nella conference call con gli analisti presentando i risultati del terzo trimestre di Unicredit.

Per spiegare perché la banca senese non farà parte del futuro di Unicredit, Orcel parla di una “finestra” di opportunità. Che “per il momento” è chiusa. Uno dei vantaggi della possibile integrazione fra Unicredit e alcune attività di Mps “era che la finestra fosse aperta in quel momento e che si potesse siglare rapidamente un accordo nell’interesse reciproco. Nella nostra agenda abbiamo un certo numero di iniziative in corso e, se avessimo potuto siglare un accordo rapidamente, avremmo potuto attuare quelle iniziative sul gruppo nato dall’integrazione. Ora quella finestra si è chiusa, per il momento è chiusa”, dice Orcel, in conference call con gli analisti.

“Dobbiamo essere focalizzati al 100% sulle nostre iniziative. La tempistica è tutto e abbiamo riportato completamente il nostro focus sulla strategia stand-alone”, ha aggiunto.

“Le trattative sono state lunghe e dettagliate, ma nonostante gli sforzi di entrambe le parti, non siamo riusciti a raggiungere un accordo che rispondesse a tutti i parametri indicati nel memorandum of understanding. Di conseguenza le trattative sono state interrotte e continuiamo sul nostro focus di liberare il significativo valore interno della banca”, ha continuato Orcel.

Le fusioni e acquisizioni ”non sono un obiettivo in sé, ma possono essere un acceleratore e un fattore di miglioramento dei nostri obiettivi strategici, ma alle giuste condizioni, che aumentino il valore. Siamo fiduciosi nelle nostre capacità di realizzare” gli obiettivi, ”ma manteniamo il nostro approccio”. Unicredit, ha continuato Orcel, “ha una quota di mercato dell’11% in Italia, la banca dimostra che in Italia facciamo profitti e che possiamo crescere con profitto. Abbiamo bisogno di fusioni e acquisizioni per generare altro valore? No. L’M&A, alle giuste condizioni, può rafforzare il nostro gruppo e creare valore aggiuntivo? Sì, ma se i termini e le condizioni sono giuste, altrimenti si distruggere valore. E noi questo non lo faremo”.

Tra le possibilità escluse dall’ad c’è anche quella di eventuali fusioni con compagnie assicurative. Fra banche e assicurazioni si possono creare ”forti partnership di lungo termine, con benefici reciproci”, ma ”personalmente non credo alle fusioni” fra istituti di credito e assicurazioni, ha detto Orcel spiegando che ”la base clienti e il modello di business sono molto diversi”.

I conti Unicredit

L’ad ha anche annunciato che il nuovo piano strategico di UniCredit sarà presentato il 9 dicembre. Intanto, la banca ha aggiornato la guidance FY21 sui ricavi totali a circa 17,5 miliardi con i costi in linea con la guidance precedente, confermata a 9,9 miliardi. La guidance del costo del rischio sottostante FY21 è ulteriormente migliorata a circa 30 punti base. Per il FY21 la guidance per l’utile netto sottostante è stata aumentata oltre a 3,7 miliardi.

Per quanto riguarda i conti, nel terzo trimestre 2021 l’utile netto sottostante di Unicredit ha raggiunto 1,1 miliardi di euro in rialzo dello 0,5 per cento trimestre su trimestre, e 3,1 miliardi nei primi nove mesi.

I ricavi sono aumentati dell’1,9% rispetto ai primi nove mesi del 2020, a quota 4,4 miliardi, con le commissioni a 1,6 miliardi (+12,5%) e il margine di interesse a 2,27 miliardi (-1,4%). I costi operativi si sono attestati a 2,4 miliardi, con un incremento dell’1,7% su base annua. La banca ha registrato un Cet1 capital ratio fully loaded del 15,5%.

Le esposizioni deteriorate lorde ammontano a 20,7 miliardi, in flessione dell’8,9% su base annua, generando un rapporto tra crediti deteriorati lordi e totale crediti lordi del 4,5%, mentre il rapporto tra crediti deteriorati netti e totale crediti netti si è attestato al 2%. Il rapporto di copertura si è attestato al 57,1%. Le sofferenze lorde di gruppo sono di 6,7 miliardi, in calo del 33,2% e le inadempienze probabili lorde di 13,1 miliardi, in aumento del 10,8%.

Le preoccupazioni della Fabi

La chiusura di Orcel sul dossier Monte dei Paschi di Siena, “ci preoccupa perché, al momento, non ci sono alternative per rilevare il gruppo Mps, l’unica sarebbe il fondo Apollo, che è un fondo speculativo e che non avrebbe un atteggiamento morbido per quanto riguarda i dipendenti. L’Unione europea concederà la proroga allo Stato italiano, per restare ancora nell’azionariato di Montepaschi, se a chiederla sarà il premier Mario Draghi. In ogni caso, per restare di proprietà del Tesoro servono soldi, almeno 3 miliardi di euro entro l’anno”. Lo ha detto il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, durante la trasmissione Coffee Break su La7.

“In tema di aiuti di Stato alle banche – ricorda – l’Italia è l’ultima in Europa con soli 14 miliardi di euro spesi per i salvataggi: il nostro Paese ha speso l’1,5% del pil contro il 5,9% della Germania, il 4,4% della Spagna e una media europea del 4,6%”. “Se fallisce una banca le ripercussioni pesantissime colpiscono i dipendenti e la stessa clientela oltre alle economie dei territori: più di 4 milioni di clienti, oltre 80 miliardi di prestiti a famiglie e imprese, oltre 21.000 dipendenti. Se dovesse fallire un gruppo come Mps ne risentirebbe l’intero settore bancario italiano ed europeo” ha aggiunto Sileoni.

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