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Forum Sostenibilità, l’inclusione passa anche per l’impresa

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Siamo in ritardo sull’Agenda 2030. Lo ha dimostrato la pandemia, quando il divario sociale, ambientale ed economico si è mostrato in tutta la sua ampiezza, peggiorando. Eppure, “People, planet, prosperity” sono le priorità in cui si riconosce la presidenza italiana del G20, saldando così la crescita e il cambiamento climatico alla lotta contro le disuguaglianze. E anche le aziende hanno un ruolo, in questo scenario. Ruolo essenziale, che parte dalle politiche di inclusione e dalla parità di genere, essenziali per inverare una reale e profonda trasformazione delle organizzazioni, dentro e fuori l’impresa. E infatti è uno dei tavoli di lavoro del Forum sulla Sostenibilità organizzato da Fortune Italia, moderato da Paolo Fratter di Sky Tg24. Il punto chiave, emerso dai lavori, è stato quello di creare una sinergia tra istituzioni e imprese.

Istituzioni e imprese devono collaborare

In capo alle istituzioni ci sono sfide importanti, che riguardano l’educazione e la valorizzazione della diversità delle risorse, soprattutto femminili. Gli attori istituzionali devono colmare le lacune e sradicare gli stereotipi che danneggiano l’accesso egualitario ai diversi percorsi di formazione, soprattutto per quanto riguarda le materie Stem. In questo senso è molto interessante la proposta di istituire un Osservatorio permanente in seno al Ministero delle Pari Opportunità, con il compito di mappare l’accesso alla leadership femminile. Ugualmente centrale, la richiesta della certificazione di genere come criterio di sostenibilità aggiuntivo rispetto ai canonici elementi che si prendono in considerazione quando si fa un bilancio di sostenibilità. E, infine, la previsione di un sistema di incentivi e premi per quelle imprese capaci di produrre valore sociale e culturale attraverso sistemi virtuosi.

Alle imprese, d’altro canto, si richiede un costante e più dinamico aggiornamento delle competenze, prestando maggiore attenzione al fabbisogno e alla certificazione delle stesse. E, anche, di sensibilizzarsi sul tema della parità genere non solo attraverso specifici percorsi di formazione ma anche con iniziative concrete, affinché diventino discorsi abituali e possano essere effettivamente assorbiti. In poche parole, rendere i change-maker attori consapevoli, fare in modo che siano effettivamente protagonisti, aumentando il valore del territorio su cui operano.

Donne e lavoro, se il Pnrr non basta

Su inclusione e sostenibilità, dunque, c’è molto da dire. Laura Sabbadini, Direttrice generale Istat e Chair W20, ha concentrato il cuore del suo intervento nella profonda disparità che intercorre tra uomini e donne quando di parla di lavoro. Situazione, dice, “già grave, aggravata dalla pandemia”. Attualmente, secondo gli ultimi dati Istat, 1 donna su 2 è fuori dal mercato del lavoro. Questo ha portato all’aumento della povertà di 1 mln di unità, dovuta al crollo dell’occupazione femminile, con un aumento collaterale della povertà delle famiglie e ad un incremento record della povertà minorile.

E questo fa di noi un “Paese arretrato”, afferma con durezza Sabbadini. La distanza tra noi e paesi come la Germania o il Regno Unito è effettivamente importante: mentre il tasso di occupazione femminile italiano non arriva al 50%, quelli tedesco e inglese superano il 70%.

Un Paese arretrato, è un paese che non cresce. Lo dice anche l’FMI: tenere congelate le risorse femminile vuol dire congelare metà delle risorse di un paese e non poter selezionare metà dei talenti disponibili. Stesso discorso vale per la sproporzione sulle materie Stem, che contano pochissime donne, a causa di pregiudizi sociali che le vogliono poco “vocate” alle scienze matematiche. Una gabbia che il Pnrr si è proposto di distruggere ma, secondo Sabbadini, non abbastanza. Ricorda infatti che gli investimenti sono vincolati alla transizione ecologica e digitale (precisamente il 57% dei fondi), entrambi settori che hanno una manodopera prevalentemente maschile. Sono centrali nell’ottica della ripresa, è vero, ma difficilmente riusciranno a sanare quella disparità di genere che ci sta costando caro a livello di crescita e sviluppo. “Doveva esserci un vincolo anche sulle donne” afferma, “dobbiamo colmare il gap”.

Inclusione: gli esempi virtuosi

Virtuoso in questo senso l’esempio di CoopCulture, rappresentata da Letizia Casuccio, direttrice generale. Il board di questa azienda, infatti, è interamente femminile. Ed è la realtà più grande occupata nel campo dei servizi alla cultura. Sono loro gli artefici del recupero del Palazzo Merulana – quello che dai romani veniva chiamato “il dente cariato” – e della sua restituzione ai cittadini del rione esquilino. E sempre da loro da loro viene la proposta di aggiungere la voce “parità di genere” alle voci dei bilanci di sostenibilità. Il principio alla base è molto semplice: “la trasformazione va indotta”.

Dello stesso avviso anche l’esperienza della Federazione Italiana Canoa Kaya, raccontata dal suo Presidente, Luciano Bonfiglio. Sebbene la “mission aziendale” della Federazione sia naturalmente quella di vincere le più prestigiose competizioni internazionali, l’obiettivo etico dello sport è un altro: creare modelli di comportamento che poggino su valori sostenibili. Stimolando quindi una cultura effettivamente diffusa, che radichi l’inclusione nella coscienza del singolo. E l’inclusione passa anche per la tutela del territorio. Nel caso della Federazione italiana questo si concretizza nella cura delle acque, grazie alle partnership con il WWF, con il Ministero dell’Ambiente, con il Touring Club. Ma in generale, inclusione e cura del territorio vanno sempre e comunque di pari passo, come ha del resto dimostrato l’esempio del comune di Civita di Bagnoregio.

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