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Fare business in Corea, pragmatismo e aggressività

Ricordo ancora il mio primo business meeting in Corea del Sud nel 2013, alla scoperta di un paese di cui conoscevo a malapena la localizzazione geografica ma che era gia’ affermato come uno dei piu’ importanti mercati asiatici per i principali marchi del Lusso.

Arrivato nel quartier generale di una grande multinazionale della cosmetica, che in Asia è una religione di cui la Corea è indiscussa profeta, dopo i convenevoli di rito, al Team Marketing locale spetta la presentazione della loro Azienda.

Momento solenne: spengono le luci, parte un video che mostra la terra ripresa dallo spazio, in sottofondo musica wagneriana. Il Direttore Marketing inizia cosi: “Buongiorno, questi siamo noi e siamo qui per conquistare il mondo”.

Inizialmente ho pensato che lui scherzasse o che io avessi capito male, poi mi sono reso conto che era serissimo e che aveva non solo una visione, ma anche l’attitudine giusta per provare a realizzarla.

Per onestà intellettuale devo dire che tutti gli incontri di business che ho avuto a Seoul negli anni successivi si sono sviluppati con modalità più convenzionali, però la vocazione percepita nel primo meeting è spesso riemersa in forme diverse e modalità a volte più sottili.

Fare business in Corea significa infatti affrontare una miscela di pragmatismo e aggressività, un mix tra America e Cina, tra economia liberista e piani governativi quinquennali, e un approccio senza fronzoli ma invece esigente che rimanda alla storia del paese e lo rende un caso unico e molto interessante.

In poche decine di anni, grazie a politiche economiche orientate a sostenere l’export e l’innovazione non solo tecnologica, la Corea del Sud ha realizzato un’impressionante trasformazione economica.

Quella che negli anni ’60 era un’economia agricola con un GDP tra i più bassi al mondo è diventata oggi la decima economia mondiale, il paese con la più alta capacità innovativa, secondo il Bloomberg Innovation Index. È anche il modello riconosciuto cui guardano i paesi in via di sviluppo, anche per la capacità dimostrata nel bilanciare velocissimo sviluppo economico con efficace distribuzione del reddito e superamento della povertà.

 

Last but not least, accanto all’hard power evidente nei numeri del Pil, dell’export e nella tecnologia, la Corea ha saputo sviluppare anche un proprio soft power, essenziale a livello di strategia Paese, che l’ha resa riconosciuto punto di riferimento sul piano culturale e ispirazionale in Asia e Medio Oriente. E ora si sta imponendo sempre più anche tra i paesi del primo mondo.

In questa storia di sviluppo hard e soft, l’Entertainment Industry, l’Hallyuwood, ha giocato un ruolo essenziale, non inferiore a quello dei grandi Chaebol, i conglomerati industriali come Samsung, LG, Hyundai o Lotte.

Hallyu è la parola cinese che indica la K-Wave, l’onda coreana di pop culture già riconosciuta da Obama nel 2012 in occasione del suo terzo viaggio a Seoul, e affermatasi a livello globale con la sua proposta di TV drama, movies, online games, food e soprattutto pop music, l’industria multimiliardaria del K-Pop.

Tecnicamente parlando il K-Pop è uno stile flessibile ed eterogeneo, aperto al continuo cambiamento e alla contaminazione, che mescola elementi musicali e culturali coreani con quelli di altri paesi.

Un mix di techno, hip hop, rock, rap, reggae, ed elettronica in cui la musica stessa è parte di un cocktail più ricco, composto da video, coreografie, make-up, fashion, danza ed in cui naturalmente i social media giocano un ruolo chiave dato che l’audience di riferimento è composta dai Gen Z globali, indicativamente nati tra 1995 e 2010, i mativi digitali.

Non a caso, per la capacità che hanno di amplificare e rendere cool per le audience di giovani consumatori globali qualunque cosa tocchino, i più importanti artisti pop coreani sono da tempo ambassador dei grandi Luxury Brands, da Gucci a Chanel, da Prada a Celine.

Nel mondo del pop siamo abituati a considerare il modello angloamericano come quello di riferimento ma i numeri degli ultimi anni dicono anche qualcos’altro, ad esempio che, dopo il primo big boom globale del 2012 con Gangnam Style di Psy, la Corea si è consolidata nelle posizioni di vertice della musica internazionale tanto che oggi BTS e Blackpink sono le più importanti boy e girl band a livello mondiale, e che nomi come Stray Kids, Twice, ed Exo stanno aumentando rapidamente la loro notorietà in tutto il mondo.

Per dare un’idea, i BTS nel 2020 hanno generato vendite pari allo 0,3% del Pil coreano (decima economia del mondo), e dopo il secondo posto del 2018 hanno raggiunto il vertice delle Global Charts dell’Ifpi, International Federation of the Phonographic Industry, superando nomi come Taylor Swift, Billie Eilish e Drake.

 

BTS arrives at Incheon International Airport, in Incheon, South Korea, 17 November 2021, to head for Los Angeles. There, the group will attend the 2021 American Music Awards at the Microsoft Theater on 21 November 2021, and throw a series of live in-person concerts, titled ‘BTS Permission To Dance On Stage – LA’ at SoFi Stadium on 27 and 28 November, and 01 and 02 December. EPA/YONHAP SOUTH KOREA OUT

 

La band, che nel 2019 aveva già esaurito i 90mila biglietti del Wembley Stadium in 90 minuti, a giugno 2021 ha aggiunto un altro record al proprio palmares, raccogliendo oltre 756mila spettatori da oltre 100 paesi nel mondo per “Bang Bang Con: The Live”, il loro concerto online a pagamento.

Tutto questo non è casuale e viene da lontano, dato che, sotto la superficie luccicante che mostra al mondo i giovani, perfetti, e bellissimi “idols”, c’è una storia nazionale spesso drammatica e una lucida e precisa strategia paese che ha messo l’industria dell’intrattenimento al centro della politica del Governo.

Il processo inizia a fine anni ‘90 quando, a seguito della crisi finanziaria Asiatica che colpisce duramente anche la Corea a causa dell’eccessivo indebitamento con l’estero, il Governo decide di puntare sull’Industria Culturale e Creativa e sull’IT, individuandoli come key drivers dello sviluppo futuro, creando le condizioni economiche per agevolare la diffusione di Internet nel paese, l’innovazione e l’export nel settore dell’Entertainment.

L’obiettivo è inserirsi tra l’odiato Giappone, tradizionale leader culturale asiatico, e gli Usa, investendo sulla crescita di mercati secondari ma popolosi e di potenziale, come Indonesia, Iran, Filippine o Vietnam.

La strategia paese prepara consapevolmente il business del futuro attraverso la costruzione progressiva del proprio soft power nazionale in mercati tralasciati sia dall’industria americana dell’entertainment, per l’attuale basso potere di acquisto dei consumatori, che da quella giapponese per ragioni di snobismo culturale.

In altre parole, si prepara prima con le k-drama series e successivamente con il k-pop l’humus favorevole per le proprie esportazioni, costruendo un immaginario nuovo, eterogeneo ed inclusivo, con cui affermare una percezione positiva e attraente del brand Corea che, a fronte del progressivo sviluppo economico del paese “ispirato”, si tradurrà in crescenti consumi di prodotti coreani ed in flussi di turisti felici di andare a Seoul per visitare le location delle principali k-drama o per sottoporsi ad interventi di chirurgia estetica in linea coi dettami del culto della k-beauty.

I risultati di questa visione e dell’attitudine severa e rigorosa che è stata in grado di eseguirla è oggi sotto gli occhi di tutti: la Corea sta entrando davvero nel mercato americano dell’Entertainment dalla porta principale, con l’Oscar a Parasite, il clamoroso successo mondiale di Squid Game, i numeri dei BTS, e con le Agenzie coreane che stanno siglando accordi con i big player americani per lanciare in Usa nuovi idoli esportando il loro modello.

 

Cannes, France – July 06, 2021: Cannes Film Festival with Director Bong Joon-ho. Joon Ho.

 

Quando l’allievo supera il maestro, che esempio per i Paesi emergenti e che lezione potrebbe essere anche per chi, come l’Italia, è forte di un brand nazionale e di una tradizione culturale unica e consolidato da secoli, ma non riesce a tradurlo in una strategia strutturata organica ed efficace.

E ora domani?

Le grandi agenzie coreane stanno esplorando nuovi percorsi, testando un futuro ovviamente sempre più digitalizzato.

Nel 2020 è stata lanciata Aespa, Avatar x Experience, la prima band composta da quattro ragazze reali a ognuna delle quali è stato affiancato il rispettivo avatar virtuale, costruito sui dati personali di ognuna di loro.

“The beginning of the future of entertainment”, secondo l’Agenzia SM Entertainment, che esplora un nuovo concept in cui gli idoli umani coesistono con i loro simulacri virtuali, capaci di interagire con la base globale di fan in modo ancora più profondo e personalizzato grazie all’Intelligenza Artificiale ed ai big data.

Arrivati sul tetto del mondo, iniziano però i problemi politici. Il Ministero della Famiglia Turco sta valutando gli effetti del k-pop e del connesso uso dei social media sui ragazzi dopo che tre giovani fan sono fuggiti di casa per andare in Corea, fenomeno meno raro di quanto si pensi, dato che ha anche un nome, il koreaboo, una sorta di innamoramento superficiale e stereotipato per tutto ciò che viene da Seoul.

Più pesante l’intervento cinese che, in piena fase di crack-down in settori chiave come il tech e l’education, va a correggere anche la comunità dei fan per razionalizzare il loro comportamento in nome della stabilità ideologica.

Chiusi account e gruppi dedicati sulle principali piattaforme social, impossibile comprare più di un album a testa o raccogliere fondi per decorare autobus ed aerei con le immagini dell’idol o per comprare pagine di pubblicità su giornali e riviste: obiettivo è colpire il meccanismo emotivo di identificazione e la capacità di auto organizzazione digitale dei gruppi di fans prima che possa diventare un vero problema.

Il fallimento del comizio di Trump a Tulsa nel 2020, dovuto alle false prenotazioni di posti organizzata dai fan americani del k-pop, è infatti un segnale che ha mostrato risvolti inattesi della moda K.

Una nuova partita è quindi appena iniziata e si giocherà sul digitale, in un braccio di ferro tra esigenze di controllo ed integrazione politico sociale e costruzione di nuove modalità tecnologiche di relazione tra fan base e idoli.

Sembrano solo canzonette, ma la faccenda è più seria di quanto non sembri.

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