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Quando digitale e transizione climatica collaborano

La Cop26 di Glasgow è conclusa. Hanno vinto i lobbisti? I protettori di Gaia? I venditori di carbone? Le attiviste ambientali con i capelli biondi? Difficile a dirsi. A Glasgow ognuno aveva le sue ragioni, ma su un tema tutti i partecipanti hanno trovato un consenso (dichiarato o per tacito assenso): servono più dati (miliardi di zetabyte). Dati da analizzare per comprendere come muta il clima, come adattarsi e/o contrastare questo cambiamento. A corollario di questo tema si aggiungano la presa di coscienza di ogni cittadino di essere parte del cambiamento. Concludiamo con una crescente urbanizzazione e l’opportunità, offerta dal mondo digitale, di essere parte della soluzione, se opportunamente valorizzato da ogni cittadino.

Se scrivo che il mondo digitale può essere parte della soluzione non è un modo di dire. Solo nell’Unione Europea, quest’anno, oltre il 10% dei fondi investiti in startup saranno focalizzati sul tema climatico ambientale (climatech e cleantech).

Rapida urbanizzazione e cittadini proattivi e digitali spingono con forza verso il rapido sviluppo di una cittadinanza, che vuol rendersi partecipe del cambiamento climatico (in senso positivo).

Unendo le dinamiche delle smart city, la necessità di avere dati climatici e la cittadinanza attiva, otteniamo la “City Climate Intelligence (di seguito CCI)” o “City Weather Intelligence”. È un approccio di studio e interazione urbana che raccoglie intorno a sé le tecnologie digitali quali sensoristica di nuova generazione, 5G, le reti domestiche wifi e cloud computing.

“Le città già oggi catalizzano il 50% della popolazione mondiale”, spiega Anna Gervasoni, Professore alla Liuc e presidente del comitato scientifico del Centro di Eccellenza sulla finanza sostenibile per le infrastrutture e le smart cities, creato da Unece e l’Università Liuc. “La città è un laboratorio per il 50% degli esseri umani: è catalizzatore di tutto quello che sono impianti, immobili, animali domestici etc… è un laboratorio incredibile ed è dalla città che si parte per la transizione ecologica. Non puoi pensare di fare transizione ecologica senza coinvolgere le città. Nelle città noi abbiamo 4 macro aree: mobilità, energia, aree verdi e salute.”

Queste 4 macro aree devono essere ulteriormente dettagliate, per comprendere le sfide, ma anche le opportunità, che essere offrono. Continua Gervasoni: “la mobilità è il primo elemento vitale di ogni aggregato urbano. È vitale una rivisitazione in chiave sostenibile della mobilità, specialmente per i grandi attrattori: porti, aeroporti, stazioni ferroviarie. Tutti questi hub sono generatori di mobilità e da essi si deve partire per definire uno standard condiviso per la mobilità urbana. L’energia è la seconda sfida: pensiamo alla climatizzazione immobiliare per estate ed inverno. Una climatizzazione domestica stabile è un fattore di forte domanda energetica e conseguente inquinamento per produrre elettricità. Se riuscissimo a stabilizzare il clima domestico intorno ai 21° gradi darebbe un grande contributo alla sostenibilità delle città. Il terzo tema sono le aree verdi: sono un vantaggio per l’aria delle città, come purificatori, e aggiungono un apporto benefico all’equilibrio psicofisico. Ultimo, ma non meno importante la salute. Riuscire a misurare i fattori che affezionano l’acqua, l’aria, l’inquinamento acustico etc.. è una sfida importante. Tutto questo deve diventare un bacino di dati di rilevazioni. Da un’attenta analisi dei comportamenti, consumi, movimento dei singoli individui puoi costruire dati grezzi da valorizzare grazie al cloud computing. Pensiamo ai vantaggi per le assicurazioni che devono definire premi personalizzati, oppure, ampliando il raggio, consideriamo la pianificazione che può effettuare l’intero sistema sanitario nazionale, con una bastante quantità e qualità di dati”.

Il tema della personalizzazione dei servizi legati al singolo cittadino, facendo leva sui dati raccolti, è familiare anche a Stefano De Capitani, presidente di Municipia, Gruppo Engineering. “Ci troviamo davanti a un nuovo concetto di urbanizzazione mondiale. Queste nuove città devono essere sì tecnologiche, ma costruite intorno alle persone, con servizi in grado di rispondere alle loro esigenze, personalizzati per così dire, e allo stesso tempo rispettare l’ambiente. Una città smart ha quindi anche degli effetti dirompenti dal punto di vista della privacy dei cittadini-utenti, con il rischio di un’eccessiva automazione. Quindi dobbiamo valorizzare questi dati e contemporaneamente agire tenendo conto della trasparenza e dell’etica, fondamentali per rendere davvero sostenibili i centri urbani. Noi del Gruppo Engineering non a caso parliamo di città aumentata, dove tutto è potenziato e alla portata delle persone, soprattutto il rispetto dei loro diritti”.

Il termine “città aumentate” sposta l’asse del pensiero ai cittadini che le vivono. È possibile, grazie alla leva digitale, potenziare la cittadinanza? Renderla attiva, capace di essere un elemento vitale del cambiamento? Oggi il mondo digitale permette ad ogni cittadino di poter essere parte di questa intelligence collettiva, grazie al mondo dei dati, raccolti dai cittadini stessi.

“La CCI, dispiegata in modo coerente su territorio, può offrire una visione estremamente dettagliata dell’area su cui insiste”, spiega Claudio Parrinello, Ceo di Planetwatch. “Le molteplici variabili ambientali di una metropoli sono una cornucopia di dati, per il mondo digitale, e chi sa utilizzarlo a beneficio della cittadinanza. Pensiamo alla qualità dell’aria in termini di particolato, umidità, temperatura, Co2 e altri gas clima alteranti. La necessità di avere dati in tempo reale dello scenario urbano s’incontra con il desiderio dei cittadini di essere parte attiva nel cambiamento del proprio bioma urbano”.

Sul tema integrazione digitale e città conviene anche De Capitani. “È un tassello cruciale. Gli effetti del cambiamento climatico sulle nostre città sono sotto gli occhi di tutti, pensiamo a cosa è successo in Sicilia nelle ultime settimane. Diamo seguito ai buoni propositi di Glasgow passando ai fatti, anche integrando le nuove tecnologie come Intelligenza Artificiale e IoT: dai sensori per i sistemi di smart parking a quelli per gli edifici, così da garantire sicurezza, efficientamento energetico e riduzione degli sprechi di acqua. E questi sono solo alcuni esempi. Chiaro poi che i dati da soli servono a poco. Per arrivare a una vera e propria data driven governance, in grado di gestire le emergenze ma soprattutto di prevenirle con una visione strategica, dobbiamo ragionare per ecosistemi digitali”.

L’evoluzione della CCI richiederà fondi, inutile negarlo. Ad oggi esistono numerose soluzioni per supportare gli investimenti in climatech tra cui la CCI. È importante tuttavia comprendere i principali vettori finanziari, per comprendere come potrà evolversi questa tecnologia e le sue ricadute sulla società. Prima di tutto parliamo dello scenario macro. Grazie al Pnrr arriveranno in Italia importanti flussi finanziari. Una parte di essi sarà specificamente dedicata al digitale e le infrastrutture che esso richiede per essere operativo (due variabili cardine del CCI).

“I grandi investimenti, come la fibra ottica in tutta Italia, possono essere portati a termini solo con capitali pubblici. Queste grandi infrastrutture divengono naturalmente le fondamenta su cui sviluppare numerose soluzioni di climatech. Pensate, per fare un paragone, al grande valore che portarono le ferrovie nel secolo passato, lungo queste vie di mobilità fiorirono insediamenti, vennero trasportate informazioni e si movimentarono energie per lanciare ogni nazione nell’epoca moderna. Le capacità di fare leva sul mondo digitale esistono. Pensiamo al mondo finanziario. Abbiamo due binari. Da un lato esiste il fintech che sta innovando tutto il settore. Penso a quello che sta facendo banca Illimity: mondo delle banche tradizionali che, per innovare, acquisiscono tecnologia da fuori. Ci sono due metodi: o si cooptano startup che hanno già fatto un percorso iniziale di scaleup oppure si incubano startup più piccole ma promettenti. Dietro questo mondo c’è il Venture Capital che continua a crescere. Il mondo dei millenials è fortemente orientato agli investimenti grazie alle tecnologie digitali. Ovviamente questo è un’opportunità per tutte le realtà che fanno leva su strumenti finanziari legati, per esempio, a soluzioni di Esg. Hai da mettere insieme in un grande modello flussi di capitali pubblici, e capitali privati delle aziende di engineering, che devono avere dei ritorni e grandi fondi infrastrutturali, che rappresentano wifi, con grandi investitori che devono investire. Parliamo di progetti dai 5 ai 20 anni. Per questo segmento di giovani investitori, tuttavia, è importante predisporre una forte struttura di educazione finanziaria”, conclude Gervasoni.

In merito a investimenti e partnership pubblico-privato anche De Capitani è ottimista. “Al di là dei facili entusiasmi per le nuove valute digitali e con la giusta attenzione alle bolle speculative, sono convinto che il partenariato pubblico-privato sia lo strumento più valido per dare vita a città tecnologiche, resilienti e sostenibili praticamente a costo zero per le amministrazioni locali. Pensiamo in grande, sfruttando al meglio anche i fondi del Pnrr che, ricordiamo, sono per due terzi a debito, quindi il ruolo dei privati sarà fondamentale nella partita. Come Municipia affianchiamo già i comuni di ogni dimensione con progetti di interesse per la collettività in questo particolare momento sociale ed economico. Così limitiamo l’impatto sulla spesa pubblica senza assunzioni di rischi finanziari per l’ente, riduciamo i tempi di realizzazione ed eleviamo gli standard qualitativi in tutte le fasi del processo grazie a un patrimonio di conoscenze, esperienze e soluzioni tecnologiche che altrimenti la PA non avrebbe e che noi come privati invece possiamo garantire”.

Il mondo urbano, con le sue dinamiche cittadine, può far tesoro di queste visioni e infrastrutture di grandi dimensioni, soprattutto se parliamo di CCI. “Il mondo dei sensori ad oggi è sempre stato caratterizzato da un infrastruttura complessa, costosa, e di conseguenza spesso appannaggio della pubblica amministrazione. Oggi, grazie a una nuova generazione di sensori intelligenti, agganciati alla rete wifi del cittadino, abbiamo un sistema di rilevazione più piccolo, capillare ed integrato nel tessuto sociale urbano. Il tutto a vantaggio delle forme di vita che insistono sul territorio (umani o meno) e delle risorse mobili e immobili, pubblici o privati, ivi presenti (case, magazzini, mezzi di trasporto, edifici pubblici che subiscono, pur se in forma differente, l’aggressione dell’inquinamento)”, spiega Parrinello.

Se si parla di cittadinanza attiva si può pensare a modelli economici che possano anche avvantaggiare il cittadino stesso. “Un modello di cittadinanza attiva dove il singolo viene retribuito per le sue azioni positive e climate friendly lo possiamo vedere già oggi con le soluzioni di pannelli solari e integrazione della produzione energetica nella rete.” Continua Parrinello. “Noi abbiamo sviluppato un modello simile, basato sulla retribuzione al cittadino che decide di integrarsi nella rete di rilevamento passivo. Un percorso che permette non solo di essere parte del cambiamento ma di giovarsi, sin dall’inizio, dell’attività di monitoraggio”, conclude Parrinello.

Il cambiamento climatico che siamo destinati a vivere richiederà a tutti noi di affrontare molteplici sfide. Sfide che dovranno essere intraprese con il supporto di tutti noi, attivi e attori di ogni singolo passaggio. Se fino ad oggi la cittadinanza è stata coinvolta solo dal puntoli vista sociale ed economico (ogni 5 anni anche in modo politico, via elezioni) oggi il CCI permette un ulteriore integrazione degli sforzi di ogni individuo di comprendere come cambierà il clima nel nostro pianeta a partire dalla propria casa, dalla propria città.

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