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Draghi è una risorsa sempre più ingombrante

Mario Draghi è senza dubbio una risorsa per questo Paese. Sicuramente la più importante se si si guarda agli ultimi vent’anni di storia. Nessuno come lui ha avuto la capacità di incidere in tutti i ruoli che ha assunto. Restando agli ultimi tre incarichi, da presidente del Consiglio, da presidente della Bce, da governatore della Banca d’Italia. I dieci mesi passati a Palazzo Chigi hanno aggiunto una dimensione politica, che in pochi gli riconoscevano, alle indiscutibili competenze tecniche e di leadership. Oggi Draghi è un riferimento che si fa fatica ad accostare all’immagine del “nonno al servizio delle istituzioni”.

Draghi è stato chiamato a ‘salvare’ un Paese che si era avvitato in una profonda crisi politica, economica e sociale, alimentata dalla pandemia Covid ma anche da un progressivo deterioramento della capacità dei partiti di rispondere alle esigenze di chi ambiscono a rappresentare. La legislatura si è trascinata attraverso i governi Conte 1 e Conte 2 con un filo conduttore che non si è mai spezzato, quello del compromesso tra forze lontane nel nome di una governabilità sorretta da interessi di parte. A farne le spese, come puntualmente succede quando manca una visione del futuro, è stata soprattutto l’economia, con il mercato del lavoro in perenne emergenza, le imprese in grave difficoltà e le prospettive per il futuro compromesse per molti.

Il governo Draghi, in dieci mesi, non ha fatto miracoli. Ma ha avuto il merito di rimettere al centro le cose da fare. Ha intrapreso un percorso fatto di decisioni che, compatibilmente con il precario equilibrio di una maggioranza tanto larga quanto conflittuale, hanno consentito di raggiungere i tre obiettivi che il premier ha rivendicato nella conferenza stampa di fine anno: una campagna vaccinale efficace, il rilancio della crescita economica, l’impostazione del Pnrr nella sua fase progettuale. Secondo Draghi, missione compiuta.

Ma qui iniziano i dubbi. La missione può dirsi frettolosamente compiuta perché Draghi possa proporsi, o essere proposto, per il prossimo incarico, quello di Capo dello Stato? Il lavoro fatto è realmente sufficiente a garantire che non si interrompa il circolo virtuoso che è stato innescato? Le risposte a queste domande sono inevitabilmente influenzate da un’altra domanda: meglio Draghi a Palazzo Chigi o meglio Draghi al Quirinale?

Questa sequenza di interrogativi porta ad allargare la riflessione. Draghi è la più importante risorsa di questo Paese ma sta diventando anche una risorsa ingombrante. Per diverse ragioni. Una l’ha indirettamente indicata lo stesso premier rispondendo alle domande dei giornalisti: “Il mio destino personale non conta assolutamente niente, non ho particolari aspirazioni di un tipo o di un altro”. Forse, in una sola frase ci sono due cose non vere. O, almeno, non vere fino in fondo. Primo, il destino personale di Draghi conta, e anche molto. Secondo, l’unico che può realmente sapere quali siano le sue aspirazioni è ovviamente lui, ma i comportamenti e la conferenza stampa di mercoledì lasciano capire che una preferenza ci sia e che il trasloco al Colle sia uno scenario quantomeno gradito.

C’è però un ulteriore elemento da tenere in considerazione. Per un Paese, e per il suo sistema politico, legare le proprie sorti alla collocazione e all’operato di una sola persona è per definizione pericoloso. Draghi sia ‘utilizzato’ come la migliore risorsa disponibile ma questo avvenga ritrovando rapidamente gli strumenti e la forza di una democrazia parlamentare. Con Draghi al Quirinale, o con Draghi ancora a Palazzo Chigi, è auspicabile che diventi meno ingombrante di quanto sia oggi. È possibile che questo avvenga solo se i partiti e il Parlamento troveranno la forza di riprendersi, attraverso decisioni coerenti e lungimiranti, il ruolo che la Costituzione gli attribuisce.

 

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