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The Conversation

Francesca di Carrobio

Francesca di Carrobio

Amministratore delegato di Hermès Italia dal 2005, lavora in azienda dal 1987, anno di apertura della filiale italiana. Francesca di Carrobio racconta a Fortune Italia i suoi 35 anni di carriera e come immagina il futuro della moda.

INTERVISTA DI ANTONIO SANTAMATO

Parliamo di dati. Come vanno le vendite di Hermès nel mondo?

Stiamo vivendo una crescita importante sostenuta dalla pelletteria, soprattutto in America e in Europa. Abbiamo messo a segno nel periodo fino a fine marzo un fatturato di oltre 2,76 miliardi di euro, con un incremento del 33% annuo. L’Europa (+44%) ha ottenuto una crescita importante, in particolare in Germania, Italia e Spagna. L’anno scorso, inoltre, abbiamo chiuso a quasi 9 miliardi di euro (1). Sono numeri importanti: un’azienda come Hermès investe sullo stile, su stabilimenti propri in cui produrre e sui migliori artigiani e vogliamo continuare a farlo. Attualmente la nostra produzione avviene per il 78% in Francia (2). Le vendite sono state particolarmente dinamiche nelle boutique dirette del gruppo (+28%) in tutte le aree geografiche e la rete distributiva ha continuato a svilupparsi con aperture ed estensioni di negozi, ma anche con il rafforzamento dell’online in tutto il mondo (3).

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, Hermès è stato il primo gruppo del lusso ad annunciare la chiusura dei suoi negozi in Russia. Che impatto avrà sui vostri conti?

Il mercato russo non era così importante per noi. Abbiamo una florida clientela russa, ma in giro per il mondo e in percentuale non è così elevata. Sono pochi che comprano tanto, per cui non è impattante per i nostri conti. Avevamo terminato i lavori per un’apertura a San Pietroburgo, avremmo aperto a giorni ma abbiamo bloccato tutto. Il problema per noi è più che altro quello di aver “perso” un team in cui abbiamo creduto e investito: in ogni caso stiamo continuando a pagare gli stipendi a circa 70 dipendenti russi. Più complicato, invece, sarebbe bloccare il commercio in Cina, che cresce in modo vertiginoso e che per noi rappresenta un mercato importante: chiaramente le varie chiusure e i lockdown del momento hanno un contraccolpo su di noi (4).

Il settore del lusso, e in particolare quello della moda, è stato tra i più duramente colpiti dagli effetti del Covid. Calo repentino delle vendite, chiusura di fabbriche e negozi, diminuzione del turismo. Che cosa ha significato per voi e qual è il futuro del settore della moda, partendo dal new normal?

È stata dura, soprattutto perché in un primo momento non sapevamo cosa fare. Il nostro è un settore prevalentemente “in presenza” e per la prima volta abbiamo iniziato ad occupare le persone a distanza, a fare training per l’e-commerce. Anche qui ci sono stati problemi perché gli stock del magazzino erano a Parigi e anche la capitale francese era in lockdown, quindi c’è stato un momento in cui non arrivava la merce. Esistono lavori che non si possono fare da casa: gli artigiani, che producono tutti i nostri prodotti, hanno dovuto fermarsi rallentando la catena produttiva. Nonostante le difficoltà, abbiamo mantenuto gli stipendi di tutti (5), in tutti i Paesi e, soprattutto, non abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazione, per non pesare sull’economia di alcuni Stati e non abusare di aiuti che invece sarebbero stati molto importanti per aziende meno solide. Io penso che ci sia bisogno di distinzioni: ogni brand ha la sua storia e nei momenti di difficoltà le aziende e il pubblico reagiscono in modo diverso. Noi facciamo parte delle aziende fortunate. Il covid ha accelerato un percorso che era già in atto e per noi questa è stata una cosa positiva perché ci siamo reinventati: oggi un nostro venditore deve necessariamente saper vendere anche a distanza. Hermès è un prodotto che rassicura e non potendo più viaggiare o andare a cena fuori, una delle consolazioni dei nostri clienti – facendo parte di un target alto – era di comprare un bell’oggetto. Abbiamo così ritrovato e raddoppiato anche la clientela locale, abituata a viaggiare e fare spese altrove. Inoltre, l’attesa ha fatto partorire nuove idee, ha creato senso di unione in azienda. Le conclusioni per me sono estremamente positive e la mia preoccupazione ora è quella di conservare queste nuove abitudini. Una conclusione a cui siamo giunti è che nel futuro della moda bisognerà far convivere sempre di più online e offline; i negozi fisici continueranno ad esistere, perché è lì che si crea l’esperienza. Il nostro tempo libero ha un valore e ognuno deve scegliere cosa fare: decidere di andare in un negozio Hermès deve essere un momento di gioia, deve valere la pena vivere un’esperienza e noi dobbiamo offrire questo momento, riuscire a lasciar fuori tutti i problemi, accogliere il cliente e farlo sognare.

Cosa significa per Hermès essere sostenibili?

Non siamo mai stati abituati a parlare di sostenibilità. Non perché non ci interessi, ma perché lo siamo da sempre, è nel nostro DNA. In Hermès ci sono dei valori molto chiari. Prima di tutto: un oggetto è per la vita. Noi produciamo capi con l’idea di tramandarli di generazione in generazione; il prodotto è spesso firmato da un unico artigiano, per cui diventa esclusivo. Tutto è sostenibile in Hermès: a partire dai negozi in cui tutte le pitture sono testate e non ci sono particelle inquinanti. “La Maroquinerie de Guyenne”, il primo sito di produzione di Hermès nel dipartimento francese della Gironda, è stato progettato dall’architetto di Bayonne Patrick Arotcharen, il cui lavoro è profondamente influenzato dal rapporto tra natura, clima e architettura. Si tratta di un edificio in legno e cemento lungo 140 metri che risponde ai criteri di sviluppo sostenibile della casa esprimendo il suo impegno a “fare cose belle in luoghi belli”. Gli otto atelier che ospitano gli artigiani sono tutti bagnati dalla luce naturale del nord, che è la più favorevole all’esecuzione precisa dei gesti artigianali. Riabilitando un sito di stoccaggio di 5,6 ettari, Hermès contribuisce allo sviluppo della regione e promuove la biodiversità. Più di cento alberi sono stati piantati, contribuendo a rinverdire completamente il sito per creare un giardino per i dipendenti. Per gestire il consumo di energia, il sito è dotato di 2.250 m2 di pannelli solari, che forniscono oltre il 40% dell’elettricità consumata, integrati da un’illuminazione interamente a LED. Il sito è anche dotato di un sistema di recupero dell’acqua piovana che viene utilizzata per i servizi igienici e per irrigare gli spazi verdi. Nel comune francese di Louviers, in Normandia, abbiamo riqualificato un’area industriale dismessa, attraverso la creazione di un laboratorio di pelletteria: un edificio a energia positiva – che produce più energia di quella che consuma. Questa costruzione in mattoni e legno progettata dall’architetto franco-libanese Lina Ghotmeh beneficerà di un triplo tetto a dente di sega che fornisce la luce naturale e uniforme, essenziale per il lavoro degli artigiani. Per preservare la biodiversità del sito, la maggior parte degli alberi saranno conservati per i giardini e altri saranno piantati. L’architetto paesaggista belga Erik Dhont ha contribuito al progetto con le sue tecniche di cattura e reindirizzamento dell’acqua. Inoltre, Hermès pensa sempre all’utilità: un oggetto si realizza solo se è utile. E questo perché ti accompagna per tutta la vita e prende valore con l’età. Se una borsa si graffia non è un problema perché quel graffio, quella macchia, quel segno è valore, rappresenterà la sua storia nel bene o nel male. Anche questa è sostenibilità.

Dal 19 al 29 maggio si è tenuta, presso le OGR di Torino, la mostra ‘Hermès in the Making’. Protagonisti gli artigiani: il pubblico ha potuto incontrarli e scoprire attraverso i loro abili gesti lo spirito creativo della maison. Che importanza ricoprono queste arti per voi?

Da quando la casa è stata fondata nel 1837, Hermès ha sempre cercato di preservare la dimensione artigianale della sua produzione, fonte di durata, creatività, agilità e innovazione. L’artigianato è il cuore pulsante dell’azienda, abbiamo un’attenzione molto grande per l’artigiano e curiamo la relazione con loro costantemente. Parte tutto dalla materia prima e quindi le idee dei nostri prodotti vengono anche dalla scoperta di come si lavorano. È come se hardware e software nascessero e si fondessero insieme. Forse è questo il segreto: il “creativo” crea insieme all’artigiano. E poi si lavora sempre in team, mai da soli. Nemmeno io posso. È un’azienda in cui si ragiona in modo collettivo, ed è difficile perché bisogna convincere la collettività che la tua idea è buona, e infine neanche rivendicarne la maternità perché la tua idea è l’idea collettiva. Quello che conta è che si faccia! “Hermès in the Making” nasce perché l’Italia ama l’artigianato, è nel nostro DNA e penso che il governo dovrebbe sostenerlo molto di più perché non possiamo perdere queste arti, sono preziosissime. L’obiettivo della mostra non è stato solo far vedere quello che sappiamo fare, ma dialogare: sono arrivati dalla Francia undici artigiani (di cui uno dalla Svizzera, per la parte di orologeria) e si è potuto parlare con loro per scoprire come lavorano.

Lei è un esempio di donna che è riuscita a scalare la vetta. Entrata in Hermès nel 1987 come responsabile ufficio stampa, nel 2005 è diventata amministratore delegato Italia (6). Da donna, ha incontrato difficoltà nel suo percorso?

Di fondo non amo dividere uomini e donne in modo assoluto sul lavoro, perché ritengo ci sia meritocrazia. Però è vero che una donna ha più difficoltà a fare carriera. Per più motivi: è innanzitutto un grande sacrificio gestire il proprio tempo. Non ci sono segreti! Lavorare significa fare sacrifici. Io ne ho fatti molti, ma è stato anche molto stimolante (7). Mi dispiace vedere che a volte le donne non fanno sistema tra di loro: quando si chiede ad una donna da chi si farebbe sostituire, difficilmente risponde “un’altra donna”. Gli uomini si aiutano di più. Io faccio sistema con le donne e trovo che sia veramente bello sostenersi a vicenda, però è abbastanza raro che accada. Più che parlare del ruolo della donna parlerei di quello dell’uomo: esistono molti uomini che non vogliono che la donna faccia carriera, perché così loro hanno il controllo su di loro e sui loro soldi. Bisogna invertire questa rotta.

Quali sono le esperienze più importanti che l’hanno portata ad essere la persona che è oggi?

Aver conosciuto e aver iniziato a lavorare con l’ex presidente di Hermès, Jean-Louis Dumas, mi ha sicuramente “costruito”. In quel momento ero una ragazza e non mi rendevo conto della fortuna che avevo: con lui abbiamo fatto un sacco di cose meravigliose per questa azienda, era un uomo giocoso, di grande ispirazione, con un’autoironia pazzesca e che amava sorprendere. Suonava la batteria, era un’entusiasta della vita, un creativo, e aveva capito che bisognava capitalizzare sulla società, ma non scrivendo in modo cubitale il nome del brand. Un aneddoto: durante una riunione un manager gli portò una sfilza di pubblicità di altre maison con loghi giganteschi sui capi e sulle borse, reclamando di andare nella stessa direzione. Lui – non lo dimenticherò mai – prese quei fogli, li strappò davanti a tutti e disse: “Non me ne importa nulla!”. Era desideroso di far sognare: le persone dovevano capire immediatamente che si trattasse di un capo Hermès non dal brand, ma dall’immagine dei prodotti, dalla loro forma, dalla combinazione dei colori. Ancora oggi il logo Hermès sui capi è impercettibile.

Lei è particolarmente sensibile al tema della formazione dei giovani, vista anche la sua partecipazione come docente e membro del comitato scientifico della Scuola Politica “Vivere nella Comunità”. Cosa bisognerebbe fare per rafforzare le competenze dei nostri giovani?

La formazione è fondamentale, la cultura è fondamentale. L’obiettivo della Scuola Politica è quello di formare la prossima classe politica, non quella dei partiti, ma la futura classe dirigente. Si parla di finanza, sostenibilità, aziende. Credo sia fondamentale, oltre allo studio, un confronto costante e diretto con i settori di riferimento del mondo del lavoro. Voglio dare un consiglio a tutti i giovani: è molto importante incontrare persone con valori simili ai propri e quindi cercatele; altrettanto importante è lavorare in un’azienda che sia coerente con i propri valori. Sono ancora in questa azienda, dopo 35 anni, perché i suoi valori corrispondono ai miei.

Alcune maison hanno affermato di avere già pronti dei piani per portare il proprio universo anche all’interno del metaverso. Qual è la vostra posizione a tal proposito e cosa pensa di questa rivoluzione?

Non abbiamo un piano! O meglio: non l’abbiamo ancora! Noi siamo innanzitutto l’oggetto, dunque come si può essere oggetto vero, nel metaverso? Diciamo che c’è una dissonanza: Hermès e il metaverso sono due mondi opposti. Questa è un’azienda molto umanocentrica: abbiamo parlato degli artigiani, dei venditori, dei creativi, degli oggetti. Stiamo notando che tanti giovani si stanno avvicinando al marchio e questo ci fa molto piacere; il metaverso può essere un modo per fare da traino. In qualche modo ci avvicineremo anche a questo mondo: dobbiamo però trovare il nostro modo per farlo, con originalità. La parte digitale di Hermès è nata nel 2000 ed è stato il figlio di Jean-Louis Dumas, il nostro direttore artistico Pierre-Alexis Dumas, a chiedere al padre che il marchio sbarcasse online. Il padre però era contrario a raccontare i valori del marchio online, lo reputava noioso, e così propose di farlo attraverso l’e-commerce. È stata una visione, perché siamo stati i primi ad avere un nostro sito interno di e-commerce senza utilizzare piattaforme terze. Troveremo la nostra via anche per il metaverso, non si può non esserci. Bisogna solo trovare il modo originale per farlo!

È partito da Padova lo scorso gennaio il “Grand Tour degli Affreschi” di Hermès Italia, progetto di restauro che vedrà coinvolte numerose città sul territorio nazionale. Che rapporto c’è tra moda e arte, secondo lei?

C’è uno stretto rapporto di connessione. Moda è cultura. Moda è anche arte, se fatta bene. Questo è un progetto che ci sta molto a cuore: ogni anno una somma di budget viene destinata a progetti di questo tipo ed è denaro gestito da ogni singolo Paese, quindi si può decidere  a cosa destinarli. Stiamo restaurando gli affreschi delle città in cui siamo presenti: devono essere però visibili al pubblico, quindi mai al chiuso o in una chiesa. Devono essere di tutti! In passato l’affresco era un modo per parlare al popolo. È questo il nesso che ci piace: lo storytelling, che ritroviamo anche nei nostri foulard ad esempio, perché raccontano sempre una storia. Questo progetto durerà cinque anni e stiamo anche pensando di offrire delle borse di studio per insegnare il restauro.

Se dovesse usare una parola per descrivere il valore più grande della vostra maison, quale userebbe?

Cultura. È un’azienda colta: non si smette mai di imparare, ma per lavorarci devi essere anche molto umile. Ne aggiungo però un altro: colorato. In Hermès il colore è sempre predominante. Si riconosce un nostro prodotto anche solo dalla combinazione dei colori, perché esiste un azzardo. Studiato e ricercato. Hermès non è solo una casa di moda; è uno stile di vita.

TRA LE RIGHE

(1) I numeri in Oriente. L’Asia (+20%), a esclusione del Giappone, ha beneficiato all’inizio dell’anno di un ottimo capodanno cinese e di un’attività sostenuta, soprattutto in Thailandia, Singapore e Australia.


(2) Gli impianti in Italia. In Italia Hermès ha un sito di produzione per le calzature a Busto Garolfo (Milano) e una conceria a Cuneo.


(3) La divisione seta e prodotti tessili ha registrato una buona performance (+27%); la profumeria e il beauty (+18%) sono trainati dalle proposte olfattive della maison, mentre gli orologi hanno ottenuto un +62%. Le altre linee di business di Hermès hanno riportato un aumento del 37% grazie all’homeware e alla gioielleria. A fine marzo 2022, le fluttuazioni valutarie hanno rappresentato un impatto positivo di 116 milioni di euro sul fatturato. Nel corso del primo trimestre, inoltre, Hermès international ha riscattato 51.890 azioni per 61 milioni di euro.

RICAVI 2020


(4) Da metà marzo, la Greater China è stata penalizzata da nuove restrizioni sanitarie e da alcune chiusure di negozi, in particolare a Shanghai e Shenyang. Gli store Pacific Place a Hong Kong e One Central a Macao hanno riaperto rispettivamente a gennaio e febbraio dopo la ristrutturazione e un nuovo negozio è stato inaugurato a Zhengzhou alla fine di marzo, diventando la prima boutique Hermès nella provincia cinese di Henan. Il Giappone ha proseguito la sua crescita sostenuta del 17%, che si è basata sulla fedeltà dei clienti locali e sul successo delle collezioni, mentre le Americhe (+44%) hanno registrato un’accelerazione particolarmente forte a fine marzo grazie a un buono slancio negli Stati Uniti.


(5) Il Gruppo impiega 17.595 persone, di cui 10.969 in Francia (dati fine 2021). Il settore produttivo ha visto la crescita maggiore della sua forza lavoro con 467 nuovi posti di lavoro, seguito dal settore Retail, con 430 nuovi posti di lavoro. Negli ultimi cinque anni, la forza lavoro è aumentata di 4.761 persone. Le persone in azienda sono ripartite in questo modo.

RIPARTIZIONI DEI DIPENDENTI
PER AREA GEOGRAFICA


(6) Ad aprile 2010 di Carrobio ha ricevuto la nomina anche di Responsabile di Direttore Generale delle filiali di Grecia e Turchia.


(7) Cresciuta tra Belgio e Svizzera, di Carrobio ha intrapreso la sua carriera professionale negli anni ’80, prima con il marketing lavorando presso la D&D Cosmetique, poi nella comunicazione di Hermès.

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