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The Conversation

Claudio Silvestri

L’avvento dell’AI sta rivoluzionando il mondo del giornalismo, sollevando interrogativi su come questa tecnologia influenzerà la produzione e la qualità dei contenuti giornalistici. Con Claudio Silvestri, segretario generale aggiunto della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana), presidente della commissione Lavoro autonomo e commissario Unione nazionale cronisti italiani, abbiamo analizzato le sfide che i giornali tradizionali dovranno affrontare in questo passaggio epocale. Silvestri ha sottolineato l’importanza di regolamentare l’utilizzo di questa tecnologia per preservare la professionalità dei giornalisti e garantire la qualità dell’informazione 

INTERVISTA DI PAOLO CHIARIELLO 

C’è qualche studio che Fnsi e Odg hanno commissionato, o comunque c’è una qualche previsione degli organismi di categoria dei giornalisti sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa sul lavoro giornalistico nei prossimi anni? Quanta informazione sarà prodotta dai giornalisti/umani e quanto invece sarà frutto del lavoro di macchine? 

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale (1) è all’inizio ed è ancora difficile comprenderne la portata e l’impatto sulla nostra professione. Abbiamo avviato una serie di approfondimenti, ad aprile è in programma un confronto con i direttori dei maggiori giornali in Fnsi a Roma, il 26 marzo a Napoli abbiamo chiamato dei docenti per parlarne.(2)
Un fatto è certo, sul tema ci dovrà essere un confronto serrato con gli editori, la gestione di questa nuova tecnologia dovrà essere regolata in maniera precisa dal contratto di lavoro giornalistico, così come auspicato dalla nostra segretaria Alessandra Costante. Dobbiamo evitare che questo diventi uno strumento per ridurre i costi della realizzazione dei giornali a discapito del lavoro professionale e della qualità dell’informazione. Purtroppo gli editori hanno dimostrato di non volere investire in alcun modo sulla qualità dell’informazione, che è l’unica arma vera per vendere i giornali. Invece di raccogliere la sfida della rivoluzione digitale negli ultimi anni hanno pensato a cacciare giornalisti dalle redazioni. Hanno perso un treno importante, si rischia di replicare con l’intelligenza artificiale, tenteranno di sostituire i giornalisti con l’algoritmo peggiorando ancora il prodotto.

Come prevedete, se l’avete previsto, che l’AI influenzerà la produzione e la qualità dei contenuti giornalistici futuri?

In molti giornali online, dove le regole non esistono, dove non si applica il contratto di lavoro giornalistico, già si fa un uso indiscriminato dell’intelligenza artificiale. In questi casi la tecnologia sostituisce i professionisti, con rischi enormi. La conseguenza è quella di ritrovarsi contenuti non verificati, fake news, e, quindi, un prodotto di nessun valore giornalistico. Questo è esattamente quello che non deve succedere: che la tecnologia sostituisca gli uomini. Ho sentito spesso fare confronti con altri settori industriali, non è la stessa cosa, qui stiamo parlando di informazione, uno strumento fondamentale per il funzionamento delle democrazie, nessuna macchina potrà mai denunciare le connivenze tra la politica e il malaffare, per dirne una, nessuna macchina potrà mai trovare una notizia, al massimo potrà replicarla. Noi auspichiamo che siano i giornalisti a governare la tecnologia, che l’intelligenza artificiale non venga utilizzata nel modo peggiore possibile.

C’è chi dice che siamo in una fase storica in cui si fa giornalismo senza giornalisti. Nell’era dell’intelligenza artificiale, con molti contenuti confezionati dall’AI, quali sono le sfide che i giornali tradizionali devono affrontare?

Non siamo ancora in quella fase, ma rischiamo di finirci se non si prendono subito dei provvedimenti. L’intelligenza artificiale può alleggerire il lavoro superfluo che sono costretti a fare alcuni giornalisti in redazioni sempre più ridotte. Se devo pensare a un aspetto positivo, potrebbe essere quello di velocizzare il lavoro di ricerca sulla rete, quello compilativo. Ma l’unica sfida vera è quella della qualità, avere nelle redazioni pool di giornalisti che si occupino delle inchieste, della verifica delle notizie, cronisti che possano andare sui territori a raccontare quello che succede, che possano portare storie e tutto quello che può soddisfare il sacrosanto diritto dei cittadini ad essere informati correttamente.

Le chiedo di entrare ora nel contesto della concorrenza delle piattaforme social e di streaming ai giornali/media tradizionali. Come può un media tradizionale gestire una redazione, assumere giornalisti nel rispetto del Cnlg quando i concorrenti si servono di figure professionali che nulla hanno a che vedere con il giornalismo e possono essere inquadrate e (quando lo sono) con contratti atipici e retribuzioni spesso anche da fame? 

In Italia, e in Europa direi, abbiamo un problema enorme con le piattaforme social, produciamo per loro informazione di qualità gratuitamente e su quella informazione queste piattaforme guadagnano milioni di euro. Questo ha avuto un impatto devastante sul mondo dell’editoria, i giornali in edicola non si comprano più. Per dare un numero che renda l’idea, all’inizio degli anni Novanta un giornale come il Corriere (3), o come Repubblica, vendeva un milione di copie al giorno. Oggi un milione di copie è la somma di tutti i quotidiani italiani messi insieme. Del resto, perché mai dovrei comprare un giornale di carta se ogni giorno “scrollando” gratuitamente sul mio smartphone trovo tutto quello che voglio? Da questa concorrenza più che sleale i giornali tradizionali ne escono devastati.

La concorrenza delle community sulle piattaforme social ha contribuito alla crisi dell’editoria tradizionale? Che cosa si può fare per aiutare i tanti giornali in crisi che chiudono i battenti o sono costretti a licenziare o ridurre gli stipendi dei giornalisti?

Quello della community che distribuiscono copie pirata dei giornali è certamente uno degli aspetti di questa crisi. La mattina arrivano sul cellulare, gratis, le copie integrali di decine di quotidiani, un danno incredibile per le aziende editoriali. Per vincere la pirateria ci vorrebbe un impegno serio di contrasto, che per ora è molto blando. Per aiutare l’informazione in crisi c’è bisogno di una riforma complessiva del settore, che riguardi gli aiuti di Stato già previsti dall’ordinamento, ma anche le politiche attive del lavoro che, per ora, non esistono. È importante anche che si metta mano alle leggi di settore, che sono datate e non adeguate alle trasformazioni degli ultimi tempi. Ma è necessaria anche una riforma dell’Ordine professionale, la cui legge istitutiva risale al 1963, un’era geologica fa per il nostro settore. Non possiamo più aspettare. Badate, il rischio è la desertificazione: avere interi territori senza informazione. Pensate alle conseguenze devastanti nelle regioni del Sud, dove questa crisi è molto più evidente che altrove e dove ci sono territori completamente dominati dalla criminalità organizzata. In quelle zone c’è un bisogno vitale di informazione. (4)Un dato su tutti, in Campania ci sono cinque persone sotto scorta per aver raccontato gli affari loschi dei clan. Sono un quarto del totale dei giornalisti sotto protezione armata in Italia, e nella sola provincia di Napoli sono ben 17 i cronisti che hanno qualche forma di tutela da parte dello Stato.

Quali sono stati i principali cambiamenti nel modo di fare giornalismo sui social media, in particolare su Instagram e quali sono le strategie adottate dalle testate tradizionali sui social media per contrastare questo nuovo modo di raccontare la realtà?

Sui social tutti sono giornalisti, ognuno comunica, informa e disinforma su ogni cosa. È un flusso continuo dal quale è difficile distinguere il vero dal falso, il marketing dall’informazione. (5)L’unica strategia che i media classici hanno è quella di adeguare, certamente, il proprio linguaggio ai nuovi strumenti, ma di tenere ben presente la propria missione che è quella di verificare la notizia (fact checking oggi si dice) e di raccontare la verità. Questo i giornalisti lo sanno fare.

Parliamo di qualità dell’informazione, fake news, confusione tra informazione, comunicazione, marketing e pubblicità. Quali sono i rischi peggiori che corriamo?

Penso che la scuola debba educare anche a questo nell’era dei social, bisogna insegnare ai nostri ragazzi che mondo hanno di fronte anche sullo schermo di un telefono. Non sono solo i giornali che si devono adeguare, c’è un intero contesto che è rimasto troppo indietro, che dorme, che non è preparato. Quando eravamo ragazzi noi ci insegnavano a leggere il giornale in classe, oggi devono insegnare a leggere le notizie in rete. A rischio – con l’assuefazione all’idiozia – la tenuta democratica dei Paesi.

Qual è il ruolo dei giovani nell’ambito del giornalismo sui social media e come stanno influenzando il modo in cui viene veicolata l’informazione? 

I giovani sono una risorsa perché sono padroni dello strumento e del suo linguaggio. I nuovi giornalisti possono darci una lezione importante.

Qual è il ruolo dei singoli giornalisti nell’ambito dei social media e come utilizzano queste piattaforme per il loro lavoro?

I giornalisti che utilizzano i social (6) non devono mai dimenticare il ruolo che ricoprono, devono sempre restare al servizio della notizia, devono preservare la loro autorevolezza anche nella comunicazione di contenuti futili. Chi non riesce a fare questo, non può fare il giornalista o non può avere un profilo social.

 

TRA LE RIGHE

(1) L’uso dell’AI: l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è ancora all’inizio ed è difficile comprenderne la portata e l’impatto sulla professione giornalistica.

(2) Confronto: Ad aprile è in programma un confronto con i direttori dei principali giornali in Fnsi a Roma sui rischi dell’uso dell’intelligenza artificiale.

(3) Sempre meno copie: all’inizio degli anni Novanta il Corriere e Repubblica vendevano un milione di copie al giorno, mentre oggi un milione di copie è la somma di tutti i quotidiani italiani.

(4) Bisogno di informazione: in Campania ci sono cinque giornalisti sotto scorta per aver raccontato gli affari loschi dei clan, rappresentando un quarto del totale dei giornalisti sotto protezione armata in Italia.

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