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Intelligenza artificiale e disuguaglianze, il ruolo dello Stato

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Democratizzare gli algoritmi dell’intelligenza artificiale per indirizzarli alla giustizia sociale. La versione completa di questo articolo a firma di Fabrizio Barca è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2022

Trasformazione digitale, algoritmi di apprendimento automatico e altre forme di cosiddetta intelligenza artificiale hanno in sé la potenza per attivare un processo di diffusione e libero accesso alle conoscenze, promozione di modalità mutualistiche di organizzazione del lavoro e del consumo, miglioramento della giustizia sociale intesa, con la Costituzione, come la rimozione di “ostacoli al pieno sviluppo della persona umana e alla partecipazione”. Ma possono ottenere l’effetto opposto.

È quest’ultima la tendenza che sta prevalendo: concentrazione senza precedenti del controllo sulla conoscenza e riduzione della concorrenza; riproduzione di discriminazioni; amplificazione di pregiudizi; de-umanizzazione dei servizi; segmentazione del confronto pubblico in bolle autoreferenziali. Tutto ciò non era inevitabile e può e deve essere evitato.

La chiave sta nell’azione collettiva dello Stato democratico, come regolatore, produttore di servizi e re-distributore. La direzione prevalente del cambiamento è negativa perché non abbiamo usato queste leve per garantire l’accesso alla conoscenza come bene comune – nel 1994 l’Accordo TRIPs ha fatto il contrario – per assicurare ‘sovranità democratica collettiva’ sulle piattaforme digitali e sui dati, per promuovere una conoscenza critica di massa di opportunità e rischi della nuova frontiera, per ‘dialogare’ in modo appropriato con gli algoritmi. La biforcazione fra usi giusti e ingiusti in servizi essenziali affidati o regolati dallo Stato è eclatante e il rischio di imboccare la strada cattiva assai elevato.

Nella cura e assistenza universale delle persone, il ricorso all’AI può accrescere la collaborazione tra operatori nell’identificare il percorso curativo, e la capacità di identificare patologie e apprestare farmaci e terapie; ma può condurre al disegno di farmaci e terapie con costi inaccessibili ai sistemi sanitari nazionali, e ad annullare il riconoscimento delle specificità di ogni persona (per una rassegna di casi e analisi, cfr. S.Halpern, The Human Cost of AI, The New York Review of Books, Oct.21, 2021). Nel governo della mobilità e dell’organizzazione urbana, l’AI può dare alla cittadinanza il modo di far pesare le proprie preferenze e può accrescere la concorrenza nell’offerta dei servizi (si pensi all’esperimento di Barcellona); ma può viceversa condurre a soluzioni sorde alla voce della cittadinanza e presentate come ‘oggettivamente più efficienti’, con riduzione della concorrenza, via monopolio sui dati e aumento delle disuguaglianze (cfr. Artificial Intelligence and Urban Development, luglio 2021, ricerca per il Comitato Regi dell’Ue).

Nella sicurezza, il ricorso all’AI può assicurare maggiore efficacia, attraverso la concentrazione dell’intervento in aree a rischio e la tempestività nell’identificare i responsabili di azioni criminose; ma può accentuare le tensioni sociali, attraverso la concentrazione discriminatoria degli interventi, e favorire l’intimidazione e lo scoraggiamento di comportamenti conflittuali (come mostra l’esperienza USA: cfr. V. Eubanks, Automating Inequality, St. Martin’s Press, 2018). Sta inoltre all’attività regolatoria pubblica scongiurare gli effetti discriminatori o distorsivi che l’AI può produrre nelle applicazioni al credito, alle assicurazioni e alla comunicazione.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

*Fabrizio Barca è coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità

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