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Il cinema tra legge dei 90 giorni e ‘modello francese’

Il mondo del cinema si prepara alla legge dei 90 giorni, ovvero al ripristino del decreto Bonisoli. Il convegno dell’Anica ‘La fabbrica delle immagini non si ferma’ ha riunito, nei giorni scorsi, gli stati generali del settore al Teatro Argentina di Roma, con il ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha annunciato in modo perentorio una finestra di salvaguardia a favore delle sale cinematografiche: “Ho già firmato il decreto che prevede la permanenza per 90 giorni di un film italiano nelle sale prima di andare sulle piattaforme”. Un decreto che diventerà presto legge e che torna a valere per i film italiani che hanno avuto contributi pubblici dopo la pausa per pandemia, durante la quale la finestra si era ridotta a 30 giorni, per ovviare alla chiusura delle sale e alle varie restrizioni per facilitarne la circolazione. La novità, sempre dalle parole del ministro, riguarderebbe però i film non italiani, ovvero la parte forte del mercato, oltre il 70% della quota di titoli che escono nelle nostre sale incassando (negli anni in cui non è previsto il film del fenomeno Checco Zalone) la quasi totalità del box-office.

Il punto cruciale però, per tentare di arginare l’emorragia di spettatori, è quella di allargare la norma a tutti i film. “Stiamo lavorando per immaginare una norma che estenda la finestra anche a tutti i tipi di film, italiani e non italiani, anche quelli che non beneficiano di alcun finanziamento”.

Il convegno ha messo in risalto però soprattutto gli investimenti a beneficio del ramo produttivo, dagli sgravi fiscali e Tax credit ai 300 milioni di euro destinati a CineCittà previsti dal Pnrr per fare del cinema e dell’audiovisivo un ramo trainante del Paese estendendo a più strutture i teatri di posa richiamando produzioni internazionali per garantire spazi e mano d’opera a prezzi competitivi. Sala e distribuzioni rimangono ancora ai margini di un sistema che sembra procedere a due velocità: produzione e sala, con quest’ultima in forte sofferenza e rincuorata solo in parte dai sussidi ricevuti fino ad ora.

Vanno registrati infatti pareri contrastanti e scettici dai rappresentanti degli esercenti cinematografici. Manuele Ilari presidente Ueci, dichiara: “Fare un decreto di 90 giorni come finestre di sfruttamento, oltretutto peggiorativo del decreto Bonisoli, nuoce gravemente sul nostro settore rischiando il fallimento di numerose sale cinematografiche. Per questo chiediamo un intervento immediato, in attesa di una legge primaria modello francese, con una finestra di sfruttamento superiore ai 12 mesi. Ricordiamo che in Francia grazie alla loro virtuosa normativa il mercato cinematografico è tornato ai livelli prepandemici – sottolinea Ilari – mentre in Italia il mercato non da segni di ripresa perdendo ancora oltre il 70% di affluenza. Siamo in Europa e non dobbiamo dichiararci europei solo quando è conveniente».

Domenico Dinoia, presidente di categoria della Fice (cinema d’essai) lascia trasparire più di qualche dubbio. “Non sarà facile mettere d’accordo piattaforme e major, ci sono contratti già stipulati per i prossimi anni. Questo provvedimento, che ancora non ho visto firmato nero su bianco, arriva tardi e a giochi quasi fatti. L’incidenza dello streaming nelle abitudini delle persone ha dilagato in questi due anni, andava regolamentato subito. Il rischio è che i buoi siano ormai usciti dalla stalla». Per Domenico Dinoia, anche esercente del cinema Palestrina di Milano e organizzatore delle giornate professionali di Mantova, ci sono altri due aspetti sui quali riflettere: “Gran parte dei produttori sono in accordi con le piattaforme. Se beneficiano di quei soldi, perché dovrebbero anche essere finanziati dallo Stato?”. Sulla lunghezza della finestra temporale, anche Dinoia cita il ‘modello francese’ che prevede un anno di distanza tra l’uscita in sala e l’approdo sulle piattaforme. “Non tutti i film devono passare per forza dalla sala, ci mancherebbe, anzi una scrematura è necessaria. Però il film in sala va protetto e valorizzato. Mi accontenterei di sei mesi, il pubblico deve percepire questo aspetto di esclusiva”.

Mario Lorini, presidente Anec (in rappresentanza della quasi totalità degli schermi) punta sulla conferma di misure restrittive per lo spettatore nonostante la fine dello stato di emergenza che ha portato a misure meno rigide in tutti i settori. “A fronte di un percorso di ripartenza molto faticoso, penalizzato in questi due anni da chiusure repentine e da misure sempre molto stringenti e penalizzanti, e malgrado aver costantemente dimostrato come i cinema siano luoghi sicuri nel completo rispetto delle regole in vigore, con un mercato che stenta ancora a riprendere il suo corso, con molti schermi a rischio chiusura, le misure approvate in Cdm non prevedono per le sale nessun alleggerimento fino al 30 aprile”, commenta il presidente degli esercenti.

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