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Da Neil Young a Obama: gli scogli non fermano Spotify

Barack e Michelle Obama

Prima l’addio polemico alla piattaforma di Neil Young e di altri musicisti famosi, ora strade separate con Barack e Michelle Obama. Il 2022 di Spotify vive di colpi di scena, divenuti pure cortocircuiti mediatici, che hanno portato in dote danni all’immagine, anche se le ripercussioni sui conti sono state sinora solo parziali.

L’ex presidente degli Stati Uniti e l’ex first lady in sostanza non sono stati riconfermati dall’app di streaming musicale più famosa e cliccata al mondo. Da ottobre non saranno più prodotti contenuti condivisi. Una scelta non del tutto inattesa – da settimane sui media statunitensi filtrano diversi rumor sulla fine della produzione di contenuti degli Obama’s – con Spotify che non avrebbe offerto il rinnovo del contratto a Barack e Michelle perché i coniugi sarebbero apparsi poche volte sulla piattaforma.

Secondo fonti del New York Post, Spotify avrebbe voluto un contratto di esclusiva per le produzioni di Higher Ground, la società di proprietà dell’ex numero uno alla Casa Bianca. Invece la coppia più famosa degli Stati Uniti – come rivela anche Vanity Fair – avrebbe voluto continuare a proporre volti nuovi nei lavori prodotti. Inoltre, il legame con Spotify gli avrebbe precluso di arrivare a una platea più larga. Il precedente accordo tra le parti, firmato tre anni fa, ha portato 25 mln di dollari alla famiglia Obama.

Insomma, l’accordo non è stato soddisfacente per entrambe le parti. Eppure, il lancio della partnership con l’ex presidente era avvenuto con le marce alte, con contenuti esclusivi come The Michelle Obama Podcast e poi Renegades: Born in the Usa, la conversazione a base di musica e ricordi di Obama con Bruce Springsteen.

Spotify, investimento sui podcast e il caso Neil Young

Spotify lo scorso anno ha deciso di investire circa un miliardo di dollari sul formato podcast. Una strategia che ha portato all’acquisto per 235 milioni di dollari di Megaphone, società di produzione di podcast. I personaggi ingaggiati sono stati di spicco, generando ascolti, ma anche polemiche. Dal principe Harry e la moglie Meghan Markle a Kim Kardashian. E poi Joe Rogan, oltre agli Obama.

Proprio Rogan e il suo podcast, che ha ospitato più volte medici con posizioni dichiaratamente no Vax, ha prodotto il primo scossone dell’anno per Spotify. A gennaio infatti il cantautore canadese Neil Young ha lasciato la piattaforma, portando con sé l’intero catalogo, 40 anni di carriera, in segno di protesta per i contenuti del podcast di Rogan, sino a quel momento mai messi in discussione da Spotify. Dopo Young anche Joni Mitchell ha abbandonato Spotify e si è messa in moto una campagna mediatica sostenuta anche dai competitor dell’app di streaming. Da Tidal ad Amazon Music sono state prodotte playlist con le canzoni di Young per sfilare utenti al colosso svedese.

Spotify tra gennaio e febbraio avrebbe perso circa 1,5 milioni di abbonati e una quota va anche attribuita alla volontà della dirigenza di sospendere il servizio Premium in Russia, decisione arrivata pochi giorni dopo l’invasione voluta da Putin in Ucraina. Il contraccolpo del polverone intorno a Spotify si è notato anche in Borsa, dove l’effetto-Young ha contribuito alla perdita di valore delle azioni del 18% nelle ultime settimane di gennaio, con danno finanziario stimato intorno ai due miliardi di dollari.

I conti di Spotify e il segreto del successo in Italia

Insomma, nonostante i passi falsi poi le valutazioni si fanno con i bilanci. Secondo Yahoo Finance, i ricavi nel primo trimestre del 2021 – in attesa dei numeri ufficiali, attesi per fine aprile – dovrebbero attestarsi sui 2,9 miliardi di dollari, + 13,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sarebbero così ammortizzate le perdite registrate a Wall Street per la vicenda Neil Young.

Il successo di Spotify, insomma, non si può scalfire con facilità. Una conferma? Gli oltre 400 milioni gli utenti attivi nel 2021.

Un altro studio, realizzato da Midia Research, dati relativi al secondo trimestre dello scorso anno, attribuisce a Spotify il 31% del mercato dello streaming musicale, davanti ad Apple Music (15%) e Amazon Music (13%).

Per quanto riguarda l’Italia, il successo di Spotify non risente del calo di popolarità e dei casi mediatici: il recente report di Sensemakers-ComScore sull’entertainment online rivela che gli utenti che in media passano 27 minuti al giorno su Spotify, facilitati dalla fruizione dello streaming musicale in sottofondo durante le attività quotidiane.

“Con 12,4 milioni di visitatori a febbraio, pari al 30% della popolazione online italiana, Spotify è ormai una delle principali property digitali del nostro Paese e il primo player nell’intrattenimento musicale”, dichiara a Fortune Italia Fabrizio Angelini, Ceo di Sensemakers – Comscore Italia.

A impressionare sono soprattutto i tassi di crescita del tempo speso: quello totale è cresciuto del +84% e quello medio per visitatore del +74% rispetto al 2021, dimostrando l’elevata capacità di ingaggio dell’applicazione, che è tra le più utilizzate in background durante lo svolgimento di altre attività, soprattutto in mobilità. “La recente focalizzazione sui podcast appare come un’estensione naturale di un posizionamento da leader nell’intrattenimento musicale in grado di garantire la continuità della crescita in un settore in grande sviluppo”.

Il Web3, poi Soundon: le minacce per Spotify

Oltre al danno di immagine per la vicenda Young e la separazione con Obama, ci sono minacce al dominio musicale di Spotify che arrivano dal Web3 e le tecnologie legate alla blockchain, che potrebbero garantire maggiori introiti agli artisti, soprattutto a quelli senza un contratto con le major discografiche.

Se Spotify paga ancora 3 millesimi di dollaro a stream e solo lo 0,02% degli artisti incassa più di 50 mila dollari annui (l’azienda ha fatto sapere di aver pagato sette miliardi di dollari in royalties), la moda degli Nft pare fruttuosa: i non-fungible-token rendono unico un file audio, dando una certificazione di proprietà a chi lo acquista. Come con le opere d’arte. Ci sono stati già degli esempi: Grimes ha venduto una collezione di clip video musicali per sei milioni di dollari sul marketplace Nifty Gateway. Qualcosa di simile hanno fatto Calvin Harris, The Weeknd, Deadmau5, Steve Aoki.

I britannici Kings of Leon hanno associato al loro ultimo album tre Nft diversi: il primo dava diritto al vinile in edizione limitata, il secondo dava accesso alle prime file per i futuri concerti, il terzo a dei ‘collectibles’ esclusivi. E ci sono anche artisti, quelli meno noti, che decidono di incorporare nello smart contract che governa l’Nft anche dei diritti di proprietà.

Oltre alle potenzialità del Web3 e anche del metaverso, ci sono competitor che provano a crescere sui punti deboli di Spotify. Come SoundOn, piattaforma che mira a valorizzare gli artisti indipendenti, trampolino di lancio verso la gloria per musicisti senza contratto con le case discografiche. Il lancio del servizio, conseguenza dell’accordo siglato ad agosto 2020 tra TikTok e la società di distribuzione discografica di artisti indipendenti United Masters, permette agli utenti di TikTok di distribuire la propria musica direttamente su altre piattaforme di streaming musicale.

La novità sta tutta nella monetizzazione per gli artisti: SoundOn riconosce agli artisti il 100% delle royalties a tempo indeterminato, se quel brano viene utilizzato dai creatori di contenuti di TikTok. Se invece il contenuto musicale venisse scaricato su altre piattaforme, per l’artista c’è il 100% delle royalties nel primo anno di pubblicazione del contenuto. Nel secondo anno si scende al 90% delle royalties.

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