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A colazione con…Dominga Cotarella: Lo Stato aiuti donne e imprese

Signora del vino e imprenditrice di successo: intervista all’amministratrice delegata di Famiglia Cotarella. “È ora che lo Stato faccia la sua parte nel mondo delle imprese, è ora che dia una mano alle donne che vogliono diventare madri a qualsiasi età”. Questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di giugno 2022

A destra Novak Djokovic, a sinistra Jannick Sinner. Quando incontro Dominga Cotarella sono in mezzo al numero 1 e 13 della classifica mondiale ATP e mi tremano le gambe.  Lo stand della famiglia umbra di Monterubiaglio si trova in mezzo ai campi in terra rossa del Foro Italico. È la settimana degli Internazionali di tennis, uno degli eventi sportivi più attesi dell’anno. Nel tempio romano dello sport si aggirano centinaia di turisti e appassionati di tennis in canotta e shorts: scattano foto, girano video, postano e twittano costantemente. Dominga no però, Dominga ha da fare.

A pochi metri da Djokovic e dalla storia del tennis moderno, la direttrice marketing e commerciale di Famiglia Cotarella è impegnata a costruire la sua di storia. Tailleur beige, occhiali da sole, orecchini appariscenti, scarpe da tennis. Quando arrivo Dominga è al telefono, mi sorride, indica le poltrone libere e chiede un minuto di pazienza. Non faccio fatica: il salotto di Dominga è praticamente a bordo campo, tra me e le leggende del tennis solo un vassoio di croissants e del Sorè rosato del 2020 in un “Seau a glace” a marchio Cotarella. “Gioco a tennis anche io, sai?”, Dominga mi da subito del tu, il telefono ancora in mano, il sorriso largo, i capelli d’oro sulle spalle. “Anche i miei figli giocano. Se sapessero che sono a pochi metri da Djokovic e Sinner non me lo perdonerebbero”.

Tennisti anche loro?

Si. Riccardo ha 16 anni, Giovanni 12. Cerco di seguirli in tutto, ma non ci riesco sempre. D’altronde sono io a occuparmi di loro.

Aspetta, fammi capire bene: Dominga Cotarella, executive di Famiglia Cotarella, signora del vino, imprenditrice di successo, autorevole e indipendente non condivide la gestione dei figli con suo marito?

Ai figli penso essenzialmente io, come a mille altre cose. Sono onesta, nella mia famiglia è sempre stato così: mio padre ha sempre e solo lavorato, mia madre badava a me. Attenzione, sono grata a mio padre per quello che sono e che ho ottenuto, mi ha consentito di vivere nel benessere. Ma è un fatto che non si sia mai interessato d’altro, per esempio dei miei voti a scuola, non ha mai parlato con un professore. A quello ci pensava mamma, era il ruolo della donna a casa mia. Ha lasciato il lavoro per dedicarsi a me. Se faccio un paragone tra me e lei è ovvio che lo scarto esiste, perché io non ho rinunciato alle ambizioni. Ma ci sono cose che per me non cambiano: è la mamma, cioè io, a occuparsi dei figli. E non voglio rinunciarci. (Gli occhi di Dominga si fanno lucidi).

Essere figlia di Riccardo Cotarella è un privilegio o un limite?

Devo essere onesta, essere figlia di Riccardo e nipote di Renzo Cotarella è stata sempre un’arma doppio taglio. Mi ha permesso di fare strada più rapidamente, sia sulla carta che nella pratica, ma agli occhi della gente meno. Ho studiato Scienze agrarie perché volevo essere credibile, avevo questa esigenza. Sapevo che prima o poi qualcuno mi avrebbe messo in difficolta, avrebbe dubitato del mio merito. “È figlia di Riccardo, per questo sta dove sta. Di vino non sa nulla”, questa era la cosa che non volevo sentirmi dire. E allora ho studiato Agraria per rispondere prima con il cuore e poi, soprattutto, con la chimica. Volevo essere e sembrare competente, non solo ‘figlia di’. Sappiamo tutti che per noi il mondo del lavoro è un pochino più complesso…

Per noi chi? Per noi donne o per noi ‘figlie di’?

Sicuramente per noi donne in generale, ma nel mio caso la discriminazione maggiore è sempre stata legata all’eredità. Avrei avuto lo stesso tipo di problema se mi fossi chiamata Domingo, per esempio. Non rinnego le mie origini, ne sono orgogliosa, ma mi preme provare praticamente le mie capacità. Il mio passato mi ha permesso di essere chi sono oggi, ma domani dipende da me.

Quindi essere donna nel mondo del lavoro è un problema o no?

Certo che lo è. Se sei donna è tutto più complicato. E ti dirò di più: una donna che proprio bruttina non è fa il doppio della fatica, dobbiamo essere onesti. Poi se la donna è anche bionda non ne parliamo…

No, parliamone per favore.

Il biondo è generalmente associato ad una certa tipologia di persona. Possiamo anche far finta che non è vero, ma sarebbe disonesto. Io sono una che lotta per le sue ambizioni, che si impegna giorno e notte, che lavora a ritmi straordinari. Tuttavia, certi stereotipi superano i fatti. Non dimenticherò mai quello che mi disse una dona una volta.  “Ti immaginavo diversa”, disse. E io pensavo si riferisse alle differenze fisiche o caratteriali tra me e mio padre. Invece no. “Vieni da un mondo privilegiato, hai sempre avuto tutto e poi sei bionda.” E poi sono bionda, capisci? Bionda nel senso di superficiale, frivola, leggera. Capisci che, oltre al lavoro che faccio, mi tocca pure occuparmi di queste cose? Ti faccio un altro esempio. [Intanto Sinner è uscito dal campo e firma autografi. Djokovic palleggia ancora a favore di obiettivo, il Foro è in visibilio. Dominga non si scompone] Nel mondo del lavoro capita di andare a cena con persone diverse, spesso mi  ritrovo con un uomo solo a parlare di affari. Sono la responsabile commerciale dell’azienda Famiglia Cotarella, eppure in certi momenti mi capita di sentirmi sbagliata. E non perché lo sia, ma perché certi sguardi me lo fanno credere. Come se fosse una cosa strana, non regolare. Mio padre a cena con un manager fa una cosa legittima, regolare; una manager a cena con un uomo è sospetta, non va bene. È una sensazione che avverto solo in Italia, negli Usa mai. L’Italia è un Paese intriso di banale provincialismo.

A proposito di provincialismo. Tu sei molto amica della stilista Elisabetta Franchi, al centro di polemiche feroci per le sue dichiarazioni su donne e lavoro. Da che parte stai?

Sono molto amica di Elisabetta. Ha detto frasi forti. L’ho detto anche a lei. Ma ci tengo a fare una precisazione.

Ecco il ‘ma’, la stai giustificando, insomma.

Il ‘ma’ si riferisce al contesto in cui Elisabetta, io e tante altre donne lavoriamo. È ora che lo Stato faccia la sua parte nel mondo delle imprese, è ora che dia una mano alle donne che vogliono diventare madri a qualsiasi età. L’azienda non può decidere quando una dipendente può fare figli, non scherziamo. Ma lo Stato non può fare differenze tra chi lavora nel pubblico e chi nel privato. Non siamo tutte donne con gli stessi diritti? Non possiamo tutte diventare madri? E allora giudichiamo e condanniamo le parole di Elisabetta, ma poi giudichiamo anche lo Stato e le tutele che non garantisce.

Proviamo ad essere pratiche: tu in azienda assumi solo donne sotto gli “anta”, per citare la Franchi?

L’età media nella mia azienda è 28 anni e le donne del mio staff sono la maggioranza. Ti basta? Di certo posso dirti che non rischio di fare l’errore opposto, cioè quello di assumere donne pur di assumere donne. Quando mi dicono che io “sono per le donne” non mi piace: io sono per le competenze. Non ho mai ragionato in base al genere, solo per competenza. Poi fuori dalla mia azienda succede anche altro, basta saperlo e provare ad andare nella direzione opposta.

La tua direzione qual è? Famiglia Cotarella non è l’unico impegno che hai.

C’è l’Accademia Intrecci, figlia di un’esigenza concreta: il mondo della ristorazione e della gastronomia ha bisogno di figure professionali specifiche. Il percorso che ci ha fatti arrivare a Intrecci è stato difficile, ho avuto spesso paura di non farcela: io non sono una professionista di sala, vivo la ristorazione da consumatrice, vado in un ristorante e so come voglio essere accolta e ospitata. Il progetto nasce per questo: volevamo imparare ad offrire un servizio completo, eccellente e insegnarlo agli altri. Io e le mie sorelle ci siamo impegnate molto.

Quelle che Dominga chiama sorelle sono in realtà le sue cugine: Marta Cotarella, direttrice di Intrecci e sua sorella Enrica, direttrice marketing di Famiglia Cotarella. Intrecci è la prima scuola in Europa esclusivamente dedicata all’arte dell’accoglienza ristorativa.

L’Accademia è un progetto visionario, che punta a offrire prodotto e servizio di qualità. Il percorso dura 12 mesi, dei quali 6 nel campus: gli allievi vivono insieme, condividono successi, informazioni e fallimenti. Hanno a disposizione un coach, due tutor (uno di madrelingua inglese e uno di madrelingua francese), studiano materie classiche e materie innovative come teatro. L’obiettivo è quello di lasciare il segno. Fai attenzione, non è presunzione, è ambizione. Voglio lasciare un segno che coinvolga i giovani e voglio che non sia un segno puramente enogastronomico…

Che vuol dire?

Mi spiego meglio: in Accademia e in fondazione aiutiamo molti ragazzi con disturbi del comportamento alimentare. L’abuso di alcol è un problema diffudo tra i giovani. Raccontare il vino e il lavoro in vigna consente loro di avvicinarsi a questo ingrediente e rispettarlo. In Accademia facciamo educazione alimentare per affrontare, e talvolta prevenire, i problemi di anoressia e bulimia di molti ragazzi, proviamo a restituire equilibrio alle cose e alle persone”. Scattiamo due foto informali. Sullo sfondo sempre Djokovic, Dominga in primo piano. Squilla il telefono, “Scusa è mio figlio” dice. “Resta pure quanto vuoi a goderti lo spettacolo”. Lei no, però. Dominga ha da fare.

Questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di giugno 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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