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The Conversation

Luca Casadei

 

Luca Casadei è co-founder Defhouse, talent scout, fondatore di Web Stars Channel

INTERVISTA DI ANTONIO SANTAMATO

 

Luca Casadei, tu sei il co-founder di Defhouse, la collab house di Milano in cui vivono insieme 8 content creator. Ci spieghi che cos’è?

Defhouse è innanzitutto un editoriale che vive sui social [1]. Nasce durante la pandemia: mentre eravamo costretti a stare chiusi tra le mura di casa abbiamo deciso di creare un posto autonomo. Il 2020 era un momento importantissimo per TikTok che stava raggiungendo un successo importante passando da musical.ly all’attuale piattaforma. Io facevo il manager della televisione e gli ultimi 10 anni del periodo in cui lavoravo erano il  momento dei reality, di personaggi che diventavano famosi in pochissimo tempo ed erano catapultati nel sistema senza un minimo di preparazione. Erano persone diseducate rispetto alla disciplina del mondo del lavoro ed è stato molto complicato lavorare su personaggi che duravano uno, due anni o poco più. Un mondo pieno di arroganza in cui questi ragazzi pretendevano alcuni diritti senza aver meritato un posizionamento in quel mondo. In TikTok ho ritrovato la stessa situazione e ho capito che si poteva creare un’Academy, un luogo in cui mettere insieme otto ragazzi che sapessero vedere questo limite e fossero volenterosi di lavorare su se stessi. I ragazzi di Defhouse non sono stati scelti per il loro numero di follower, ma per le persone che sono, per la loro attitudine a migliorarsi. La giornata è scandita da percorsi disciplinari dedicati, corsi di dizione, public speaking, recitazione, ballo, produzione, tutto quello che può servire per imparare un lavoro in futuro.

Da quante persone è svolto questo lavoro di education?

Attualmente nel backstage di Defhouse lavorano 11 persone e stiamo crescendo. C’è chi lavora da un punto di vista editoriale rispetto ai contenuti e poi l’organizzazione, perché i ragazzi vengono stimolati in continuazione anche con alcune sessioni esterne alla casa. Infine esiste un team creativo che cura l’integrazione brand per non snaturare da un lato il linguaggio dei ragazzi e dall’altro per far sì che i brand abbiano il giusto risalto nella propria community.

Quanti follower hanno in totale questi ragazzi?

Sono molto felice che tu abbia fatto questa domanda a me e mi piacerebbe non la facessi a loro quando li incontrerai, perché gli abbiamo sempre insegnato a non vivere di questo perché non è la risposta al loro sacrificio. Ad oggi, dalle poche migliaia di follower dell’inizio, abbiamo raggiunto circa 50 milioni di fan, con una sovrapposizione perché è facile che chi segue un ragazzo segua poi anche gli altri sette. Parliamo a tutto il target Gen Z italiano e attualmente sempre più ad una community internazionale.

Quali sono i numeri di Defhouse invece? E questa volta non mi riferisco ai follower…

È stato molto complicato all’inizio, ho fatto molta fatica a far capire che eravamo un media. Poi ho capito che quando portavo il cliente in casa e gli facevo vivere l’esperienza dal vivo, era tutto più semplice. Questi ragazzi sono così educati, amabili, gentili che il cliente capisce immediatamente cosa c’è dietro Defhouse [2], si innamora della sua mission e decide di lavorare con noi. Non esiste azienda che non abbia comprato dopo essere venuto qui. Siamo andati in break even e negli ultimi 3-4 mesi stiamo fatturando circa 300 mila euro al mese [3].

 

La spontaneità dei video su TikTok fa rima con una tabella di marcia economica non indifferente: accordi commerciali, partnership, un business model di tutto rispetto. Qual è il vostro?

Gli accordi commerciali sono il nostro core bussiness inteso come branded content. Bisogna distinguere due parole: influencer e content creator [4]. Per me un influencer è l’evoluzione della telepromozione: vendo qualcosa ma senza vera cognizione di causa. Non è quello che facciamo noi! Il content creator è una persona che crea un contenuto e sa quello che sta promuovendo. Per farlo non bastano i 5 minuti dello swipe up, è un lavoro di lunga durata. Normalmente portiamo i ragazzi direttamente in azienda per chiudere l’accordo e concordiamo tutti insieme la creatività, in modo tale da creare un matchmaking perfetto. Il miglior modo per far sì che uno non venda è chiedergli di vendere, perché nessun creator è in grado di farlo [5].

Perché il linguaggio della Generazione Z è così dirompente? Cosa rende i contenuti così fruibili?

La spontaneità. Chi guarda può fare le stesse cose di chi crea i contenuti: creatore e fruitore parlano la stessa lingua. A differenza di tv e cinema dove è tutto scripted, patinato e programmato qui gli unici filtri sono quelli di Instagram. È per questo che quando uno di loro guadagna dei soldi, comincia a costruire un team e inizia a programmare, a velare questa verità e questa spontaneità, muore tutto. In questo mondo la spontaneità, l’amatorialità è tutto!

TRA LE RIGHE

(1) Defhouse è una cosiddetta collab house. Si tratta di case collaborative, le cosiddette ‘case dei contenuti’, in cui i content creator vivono insieme e creano video per le piattaforme di social media. Anche in Italia, a Milano, da ormai 2 anni, 8 ragazzi condividono gli spazi nella Defhouse: 500 metri quadri di casa, perfettamente instagrammabile, una vera e propria Academy con 4 camere da letto, sale comuni, una spa e una stanza polifunzionale di produzione. Pensata per riunire, ma soprattutto formare content creators, la casa è in grado di offrire tutto ciò di cui un giovane creator può avere bisogno. Tutto qui è studiato per ‘ispirare i talenti’ dei ragazzi.


(2) Per ristrutturare la casa sono stati investiti circa 980 mila euro


(3) La previsione è di chiudere l’anno a 3 milioni e mezzo di euro di fatturato


(4) A livello mondiale si contano oltre 50 milioni di creator attivi, di cui almeno 2 definibili come professionisti


(5) Secondo Statista il mercato mondiale della creator economy oggi si attesta a 14 miliardi di dollari

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