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Ue contro tabacco riscaldato aromatizzato, per Novelli (FI) serve pragmatismo

tabacco riscaldato
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La Commissione europea ha recentemente presentato una proposta che mira a eliminare i prodotti da tabacco riscaldato aromatizzati. Obiettivo, ridurre l’uso di tabacco nella popolazione entro il 2040. La proposta naturalmente non avrà un iter breve, perché dovrà essere esaminata dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ma se dovesse superare indenne i vari passaggi, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro otto mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

La misura nasce in risposta all’aumento dei volumi di prodotti del tabacco riscaldato venduti in tutta l’Ue negli ultimi anni, e trae la sua base legale dalla direttiva 2014/40/UE che aveva imposto il divieto utilizzare additivi che conferissero al tabacco aromi caratterizzanti (in quel caso l’obbligo era limitato alle sole sigarette e al tabacco sfuso). In presenza di un cambiamento della situazione la Commissione sarebbe potuta intervenire con ulteriori misure.

Quella dell’Ue non è l’unica azione nel settore. L’Inghilterra, ad esempio, ha presentato diverse proposte tra cui l’innalzamento progressivo dell’età minima per il consumo dei prodotti da tabacco; negli Stati Uniti, invece, si vuole ridurre il tetto massimo di nicotina e altre sostanze nocive all’interno dei prodotti. Fortune Italia ne ha parlato con Roberto Novelli, deputato di Forza Italia, imprenditore e componente della XII Commissione Affari sociali della Camera.

La Commissione Europea dice no al tabacco aromatizzato riscaldato con una proposta che punta a contrastare il consumo tra i più giovani, riducendo il numero di fumatori e dando vita alla cosiddetta Tobacco Free Generation. Novelli, lei cosa ne pensa?

La priorità assoluta di ogni Governo è, e deve sempre essere, la tutela della salute dei cittadini in ogni campo. Tuttavia bisogna ricordarci che ciò deve essere perseguito con un approccio scientifico e pragmatico.

Nel caso specifico della decisione della Commissione europea di vietare il tabacco aromatizzato riscaldato in risposta a un incremento delle vendite degli ultimi due anni, non credo che ciò possa rientrare appieno nella fattispecie, per due ordini di motivi: il primo è che una simile politica non garantisce in maniera assoluta il raggiungimento del risultato di ridurre il numero di fumatori: è più probabile, invece, che sposti solo il consumo su un altro settore di mercato.

E qui veniamo al secondo motivo. Credo, infatti, sarebbe più importante capire attraverso evidenze scientifiche se i prodotti sviluppati in questi anni in alternativa alle sigarette classiche, come per l’appunto il tabacco aromatizzato riscaldato, possano determinare una riduzione delle patologie da fumo, rappresentando quindi un’alternativa all’uso di tabacco a combustione di cui si conoscono, ormai da tempo, tutti gli effetti dannosi e per i quali si condividono unanimemente le preoccupazioni.

In virtù degli ultimi dati sul valore del commercio illecito di tabacco, che lo attestano intorno ai 400 milioni di euro, volevo chiederle: quali potrebbero essere le ricadute in termini di investimenti e posti di lavoro (presenti e futuri) di queste decisioni? Vi è il rischio che possa proliferare il mercato parallelo di contrabbando?

Ritengo che il legislatore, nella sua attività, debba agire con senso di responsabilità e conoscenza degli effetti reale dei propri interventi.

Se noi, oggi, volessimo fare della demagogia, potremmo dire che si deve vietare, indifferentemente, qualunque prodotto che possa avere effetti negativi sulla salute delle persone, ma cadremmo appunto nel campo della demagogia.

Nella realtà non si può prescindere dalla valutazione di ogni singolo aspetto della questione e dalla componente economica, nella sua accezione più ampia, che comprende quindi livelli di occupazione, attrattività di investimenti, effetti sociali e di welfare.

Cambiare in corsa le regole di un mercato esistente senza preparare una attenta, strutturata e trasparente campagna informativa – che agisca anche a livello culturale sul consumatore, così da guidarlo nella transizione – crea degli shock, che possono sfociare nella crescita di mercati paralleli illegali. Stiamo sempre parlando di un comportamento fondato sull’abitudine e sulla reiterazione, un vizio.

Il percorso più efficace per ridurre il rischio causato dall’utilizzo di prodotti dannosi, in questo caso quelli da fumo, deve essere di tipo informativo, fondato su dati di natura scientifica, cosicché i cittadini possano compiere delle scelte consapevoli. Naturalmente, questo vale per il tabacco, per l’alcol, paradossalmente anche per i medicinali, cioè per tutti quei prodotti il cui abuso crea effetti negativi sulla salute delle persone.

In questo caso, invece, sembra che si voglia intervenire su un settore sulla base di affermazioni di principio, perché ribadisco che il fumo è dannoso senza ombra di dubbio. Ma questa misura non ci assicura la riduzione o l’annullamento della diffusione del fumo tra i giovani e gli adulti.

Si toglierà dal mercato un prodotto e i fumatori torneranno alle sigarette tradizionali, o altro. Non capisco, quindi, perché si debba intervenire in maniera così tranchant su una filiera e un intero comparto economico che rappresenta famiglie, lavoratori, aziende che fatturano.

L’Italia è il primo produttore europeo di tabacco, con un quarto della produzione complessiva e valore di circa 20 miliardi di euro. Qual è il reale confine tra tutela del diritto alla salute e scontro di interessi commerciali tra Paesi?

Credo sia naturale in un contesto federale che questi interventi politici ricadano del confronto, talvolta scontro, tra economie di Paesi diversi che cercano di agevolare il proprio tessuto economico. E per tale ragione ritengo che noi dobbiamo agire di conseguenza, tutelando il nostro comparto economico.

Evitare qualsiasi tipo di demonizzazione. È questa, a mio parere, la linea da adottare nei confronti di ogni tipo di settore economico. La distinzione è sempre tra uso, abuso e vizio.

A tal proposito, la proposte arriva mentre in Europa sempre più Paesi si muovono in direzione di una maggiore legalizzazione o apertura al consumo di cannabis. La Germania, ad esempio, sta elaborando un progetto di riforma che la renderebbero il principale player di mercato. Questo non può sembrare un controsenso?

Questo tipo di politica è effettivamente un controsenso. Posto che su questo argomento subentra anche una posizione di tipo idelogico-politico da parte mia, che mi vede contrario alla liberalizzazione della cannabis, in quanto ha chiaramente effetti sulla salute e sulla capacità delle persone, come dimostrato da ricerche scientifiche.

È, tuttavia, evidente che tale politica è sottesa a tutelare o favorire interessi commerciali ed economici, e qui torniamo alla mia risposta precedente perché, la sostanziale differenza tra i due prodotti, che lei ha portato come esempio, è che oggi il mercato del tabacco esiste, si è evoluto e adeguato ai vari cambiamenti anche legislativi, ha creato una filiera fiorente, alimenta un indotto importante e ha programmi di investimento già in atto. Una realtà che sarà danneggiata da questo intervento.

L’altro, invece è in fase di definizione. Rappresenta una nuova proposta, un prodotto che potenzialmente si inserirà proprio nello spazio lasciato vacante dal tabacco. Quello che serve, è onestà intellettuale da parte dei decisori pubblici, soprattutto a livello europeo, che dovrebbero sempre scindere gli interessi prettamente economici e di sistema dei singoli Paesi dall’interesse verso la tutela della salute dei cittadini.

Concludendo, secondo lei come si muoverà l’Italia?

Il mio auspicio è che l’Italia prenda una posizione fondata su valutazioni pragmatiche, che tengano conto sia delle effettive ed evidenti ripercussioni sulla salute dei cittadini, sia delle ricadute sulla filiera economica.

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