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D’Angelis: Italia fragile, si investe poco e male per difendere la sua bellezza

Erasmo D'Angelis Fortune Italia

Erasmo D’Angelis è un giornalista con la capacità di passare dal giornalismo alla gestione di aziende a importanti responsabilità di governo. Ha lavorato in RAI , poi per Il Manifesto. Tra il 2015 e il 2016 è stato direttore dell’Unità. Si è sempre occupato di ambiente, ha raccontato la bellezza e la fragilità del territorio del Belpaese. È stato un dirigente e attivista di Legambiente. Ha rivestito ruoli importanti nelle istituzioni elettive. In Consiglio Regionale della Toscana ha svolto due mandati, dal 2000 al 2009. Poi ha ricoperto l’incarico di Presidente di Publiacqua, la più grande società pubblica della Toscana, che gestisce il servizio idrico integrato nella Toscana centrale.

Nel Governo di Enrico Letta, nel 2013, è stato sottosegretario di Stato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Le sue competenze in materia di difesa dell’ambiente e del territorio, negli anni del Governo di Matteo Renzi, di cui D’Angelis è amico, l’hanno portato a capo della Unità di Missione di Palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico, Italia sicura. E poi all’Autorità di Bacino dell’Italia centrale come Segretario Generale. Insomma D’Angelis è uno che di ambiente, energia, effetti dei cambiamenti climatici su un territorio tanto bello quanto fragile come l’Italia se ne occupa professionalmente da trent’anni, non da quando sono diventati argomenti di estrema attualità. Ha pubblicato su queste materie molti libri e guide. Tra gli ultimi saggi Un Paese nel fango (2015) e Gli Angeli del fango (2016), “Storia d’Italia e delle catastrofi dalle emergenze a Italiasicura” (2021), Acque d’Italia (2022). L’abbiamo intervistato per capire assieme lui perché l’Italia investe poco e male nella difesa del territorio, contro il rischio sismico e vulcanico, per mitigare gli effetti degli eventi climatici estremi che portano alluvioni e disastri ambientali con centinaia di morti e decine di miliardi di euro di danni. Assieme a lui vogliamo capire se c’è qualcosa di interessante nei programmi degli schieramenti politici in campo. “Quello che emerge è che gli effetti dei cambiamenti climatici o della siccità più dura del secolo non riescono a ‘sfondare’, a diventare una priorità per la politica italiana. Purtroppo persiste questo gap incomprensibile, in controtendenza con quel che accade in altri Paesi” spiega D’Angelis.

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S’è mai chiesto perché?

Sì, sempre! È davvero incomprensibile questa indifferenza di fronte a morti, a tanti danni con intere filiere economiche che rischiamo di perdere senza adeguate difese e azioni intorno alle grandi questioni climatiche, dell’acqua, del dissesto idrogeologico. Tanti eventi diventano emergenze drammatiche perché abbiamo costruito moltissimo in 7 decenni e dal 2.3% dell’edificato sull’intero territorio nazionale in 2000 anni di storia fino al 1950 siamo passati all’8,5% di oggi, triplicando gli edifici in aree sismiche, franose e alluvionali e con molti abusi sanati con 3 condoni edilizi, altro caso unico nella Ue. E abbiamo un deficit di edilizia antisismica paurosa, di infrastrutture idriche e di interventi in opere strutturali e non strutturali di adattamento e difese. Tutto questo incide molto sul nostro benessere, sulla qualità della vita degli italiani e assistiamo a tanti disastri che potremmo evitare investendo di più e meglio in prevenzione. E invece la politica è silente. Questioni cruciali come una strategia di difesa del territorio e di buona gestione delle acque non diventano parte integrante dei programmi elettorali.

Abbiamo avuto una primavera/estate siccitosa. Rischiamo un inverno piovoso che invece di risolvere la questione siccità rischia di diventare una sommatoria di disastri ambientali da Nord a Sud del Paese.
Il dissesto atmosferico in Italia trova un alleato formidabile nel dissesto del territorio che è un po’ dovuto a questo meraviglioso spettacolo naturale che è la nostra penisola, dove la natura ha veramente esagerato in geologia, orografia e morfologia. Purtroppo abbiamo perso la percezione di essere un Paese show room di rischi naturali, una penisola molto montuosa e collinare con circa 625.000 frane censite e le 2.400 più pericolose monitorate dalla Protezione Civile, e abbiamo noi i due terzi delle 750.000 frane dell’intero continente europeo, e alle spalle 11.000 alluvioni dell’ultimo secolo. Sembra invece che l’Italia sia fuori dai rischi. La nostra fragilità dipende dall’essere l’ultima terra emersa dal mare, un Paese geologicamente giovanissimo con terreni sabbiosi, argillosi, poco rocciosi e quindi incoerenti. Avere queste lunghe catene montuose, di una bellezza incredibile, significa anche avere una esposizione agli eventi climatici impressionante. A questo aggiunga che abbiamo più piogge di tutti gli altri paesi europei, siamo tra i paesi più piovosi del mondo con ben 305 miliardi di metri cubi di acqua piovana all’anno, ed è quindi evidente la naturale esposizione ai rischi anche su aree urbanizzate con circa 8 milioni di italiani.

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Scusi D’Angelis se insisto. Se l’assetto idrogeologico del nostro territorio ci espone al rischio di perdite di vite umane e danni per diversi miliardi di euro ogni anno, perché nei programmi politici non fanno breccia queste emergenze?

La sua domanda è pertinente, ed è paradossale visto che frane e alluvioni incombono su aree territoriali anche urbanizzate presenti nel 94% dei Comuni italiani, ma la risposta è un po’ complessa. Il nostro è un paese molto “ignorante” in materia, nel senso che ha scarsa coscienza dei rischi e ancora minore conoscenza dei fenomeni naturali. Tanto per fare un esempio, siamo l’unico Paese che ha anche vulcani attivi, una sismicità molto seria, con un terremoto distruttivo in media ogni 5 anni, molti fiumi con rischi di piene disastrose, un aumento di nubifragi, cicloni, alluvioni lampo devastanti. Ebbene, di fronte a tutto questo a scuola o nei luoghi di lavoro non si insegna l’educazione al rischio. Siamo un paese fatalista medioevale che davanti al rischio invoca il santo protettore o tocca ferro, e non la buona politica che fa prevenzione. E così, il sisma, i vulcani, le alluvioni, le frane, le mareggiate sono tragedie che ci buttiamo alle spalle senza manco parlarne.

E questo atteggiamento lo vogliamo chiamare fatalismo, ignoranza o incoscienza?

Tutte e tre le definizioni vanno bene. Facciamo finta di essere stati colti di sorpresa ad ogni alluvione. Come se fosse la prima volta. Stessa cosa dicasi per i terremoti. Oppure fingiamo di non capire che una eruzione vulcanica nel nostro Paese non solo è possibile ma è certa. Un vulcano attivo purtroppo per noi (Vesuvio, Etna, Campi Flegrei) prima o poi erutterà. La questione non è ‘se’, ma ‘quando’ erutterà. Invece di prepararci a fronteggiare una emergenza che capiterà domani, tra un anno o tra un secolo o mille anni, ci prepariamo a scaricare tutte le responsabilità e a prendercela con chi il terremoto o l’eruzione non l’aveva previsto. Abbiamo un approccio unico al mondo. Tutto ciò fa sì che queste tematiche la politica tenda a rimuoverle, a non occuparsene. E sa perchè?

Francamente non riesco a capirlo.

Perché questi problemi suscitano grandi emozioni quando ci colpiscono, poi diventano grandi rimozioni delle cause. E per la vulgata politica porta sfiga parlarne, e i politici non amano richiamare le tragedie, e non ne parlano. A tutto questo aggiunga poi la durata dei nostri Governi incompatibile con la necessità di una programmazione di difesa del territorio che richiede tempi lunghi e di andare oltre i mandati elettorali. Dal dopoguerra ad oggi abbiamo avuto 68 governi durati in media un anno e mezzo. Il tema della pianificazione della prevenzione di questi rischi è incompatibile con questa patologica instabilità.

Eppure negli ultimi 15 anni abbiamo avuto terremoti in Emilia, l’Aquila, Centro italia, Ischia. E ne aspettiamo altri disastrosi, purtroppo. La domanda è: perchè non mettiamo in sicurezza le case nelle aree sismiche?

Il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici e il Consiglio nazionale degli ingegneri sostengono che con 100 miliardi di investimenti, in 15/20 anni, potremmo mettere in sicurezza quei quasi 5 milioni di edifici su 14 milioni complessivi che abbiamo in Italia non a norma antisismica. Parliamo di edifici a rischio crolli in zone sismiche. Se facessimo questo investimento, in caso di sisma potrebbe aprirsi qualche lesione ma non avremmo l’ecatombe di morti che registriamo ad ogni scossa di terremoto. Cento miliardi, però, è da sempre una cifra di fronte alla quale la politica si ferma. La classica domanda che si fanno è: ma dove li prendiamo questi soldi? Invece si trovano e vanno investiti. Sono investimenti che creano lavoro e non spese, evitano centinaia di morti e devastazioni per decine di miliardi di euro. Ma lo sa quanto ci stanno costando le ricostruzioni dei soli ultimi terremoti in Italia – L’Aquila 2009, l’Emilia 2012 e il Centro Italia 2016-17 – con la tragedia delle centinaia di morti?

Me lo dica lei.

Per l’Aquila 2009 siamo a 17,4 miliardi. Per il terremoto del 2012 in Emilia abbiamo speso circa 13 miliardi di euro. Infine c’è il sisma in centro Italia del 2016/2017, qui le cifre fornite dal commissario straordinario Giovanni Legnini stimano circa 26 miliardi di euro di spesa. È oltre la metà di quei 100 miliardi che occorrerebbero per adeguare alle norme antisismiche gli edifici che crollano anche con una scossa di magnitudo non forte. Una follia!

A proposito, la struttura di missione Italiasicura, dedicata da due governi – Renzi e Gentiloni – dal 2014 al 2018 a gestire la prevenzione dal dissesto idrogeologico, le infrastrutture idriche e l’edilizia scolastica che fine ha fatto? Di che cosa si occupa?

Il governo Conte l’ha chiusa, ma senza proporre alternative. Così hanno lasciato tante risorse ritagliate (8.3 miliardi) ancora non spese, e oggi inseriti nel PNRR. Avevamo un piano nazionale di 10.500 opere realizzato con tutte le Regioni, e avevamo investito i primi 1,5 miliardi in cantieri, e oggi c’è un vuoto terribile di operatività e una pazzesca sottovalutazione.

Torniamo sempre alla stessa domanda: perché non investono in sicurezza oggi per evitare tragedie domani?

Perché, come le dicevo, siamo un paese che preferisce ignorare i rischi. Siamo un paese che non ha quello sguardo lungo che la prevenzione necessariamente richiede e che non riesce a fare programmazione. Così pure sul dissesto idrogeologico è la stessa storia.

Certo non siamo un popolo particolarmente intelligente a sentire queste sue analisi, peraltro rigorose, basate su fonti e su numeri.

Se fossimo intelligenti faremmo tanta prevenzione, invece inseguiamo tante emergenze perdendo la memoria degli eventi e delle cause. Abbiamo quella “malattia” che Renzo Piano definiva da “fatalismo medievale”. È un’inclinazione a promettere e poi a non fare nulla dopo un evento, e ad avere la presunzione di potercela sempre cavare. E poi a pregare e a sperare che vada tutto bene. Certo, se fossimo intelligenti chiameremmo per l’edilizia un progettista bravo, un architetto, un muratore che sa come mettere al sicuro le nostre case. Invece, e lo dico con molto rispetto per la religiosità popolare, preferiamo ancora e solo invocare un santo martire, e noi italiani non a caso abbiamo schiere di santi protettori da ogni evento: da quello che ci protegge dalla pioggia a quello che ci tiene al riparo dal terremoto o che ferma la lava dei vulcani.

Solo a Napoli abbiamo San Gennaro e altri 51 santi protettori…

Eh, ma anche i napoletani fanno miracoli da mane a sera! Scherzi a parte, la bellissima Napoli non sarebbe così bella se non fosse anche così fragile. In quella location meravigliosa la natura s’è davvero sbizzarrita a creare un golfo mozzafiato, isole incantevoli, ma anche il Vesuvio, i Campi Flegrei, i terremoti, le Costiere…e c’è Pompei a due passi, la città che fu sepolta dalla lava. Napoli è stata plasmata insomma per costringere da sempre i suoi abitanti a un corpo a corpo con varie tipologie di rischi naturali. E in tempi di emergenza climatica, con eventi estremi da non sottovalutare, è una delle città che ha estremo e immediato bisogno di tutele e difese.

Anche sui temi dell’energia il nostro Paese non ha mai avuto uno sguardo lungo, vista anche l’impreparazione dimostrata in questo momento storico particolare. Abbiamo prezzi dell’energia saliti alle stelle in conseguenza di una guerra voluta da russi e che si combatte in Ucraina.

Su questo versante scontiamo un ritardo enorme. Noi siamo il paese del sole, del vento, della geotermia, siamo naturalmente il paese più vocato alle energie rinnovabili. Lei pensi che abbiamo inventato noi italiani l’idroelettrico con le prime turbine. Un secolo fa tutta l’energia italiana arrivava da fonti rinnovabili, dall’acqua con l’idroelettrico. L’Italia potrebbe essere protagonista e modello della transizione ecologica. Ci sono 80 miliardi di finanziamenti nel solo Pnrr, e sappiamo che cosa fare, abbiamo un know how impressionante e tutta l’evoluzione tecnologica a disposizione. E invece siamo sull’orlo di una crisi economica e sociale perché siamo alla canna del gas, non abbiamo energia pulita sufficiente per un ritardo incredibile e quella che dobbiamo importare ha costi non sostenibili.

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C’è chi avanza l’ipotesi di rilanciare il nucleare. Proprio su questo giornale, l’ha fatto Davide Tabarelli, il presidente di Nomisma Energia. Certo, nucleare di ultima generazione ma…

Seguo anche io queste discussioni, in attesa di capire se e quando avremo il nucleare di quarta generazione cosiddetto “pulito”. Forse tra 40 anni! Tanti politici invocano invece costruzioni di centrali nucleari o anche mini centrali nucleari, ne vogliono tante e subito. Ma sono gli stessi politici che non dicono dove e come costruirle, e che non si sono accorti che da 20 anni la politica non è capace di individuare un deposito sicuro, indispensabile e urgentissimo, delle nostre scorie nucleari ospedialiere e delle centrali chiuse. Ma di cosa parlano, e con quale credibilità?

Ci siamo impegnati, in cambio di finanziamenti importanti del PNRR, a produrre una quantità importante di energie rinnovabili…

Ci siamo impegnati ad avere entro il 2030 l’elettricità prodotta al 72% da energie rinnovabili. Dovremmo installare quasi 8000 MW all’anno da fonti rinnovabili. Oggi ne installiamo meno di 1000! La Germania, che non ha il nostro sole e il nostro idroelettrico, è passata dal 6% al 48% di fonti rinnovabili. Noi siamo inchiodati a percentuali minime. I tedeschi si sono impegnati a centrare l’80% di rinnovabili entro il 2030, più di noi.

Per colmare questo ritardo che cosa stiamo facendo in Italia?

Pochissimo al momento, aspettiamo le riforme e le procedure semplificate promesse. Dovremmo davvero recuperare quello sguardo lungo che non abbiamo, e capire che certi compiti dobbiamo portarli a termine per le prossime generazioni. Anche sulla transizione ecologica abbiamo un ritardo enorme da colmare. E bisogna, tutti, rimboccarsi le maniche!

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