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De Giovanni: “La politica investa sulla cultura e isoli l’odio”

Maurizio De Giovanni Fortune Italia

Maurizio De Giovanni *, avrà letto i programmi degli schieramenti politici che si presentano al cospetto degli elettori. Lei è uno scrittore, sceneggiatore, drammaturgo. Ha letto anche qualcosa di interessante che riguarda la cultura?

Dal punto di vista della cultura abbiamo un problema evidente: la mancanza di investimenti strutturali. La politica viaggia sui sondaggi e i sondaggi hanno un’ottica di periodo breve. Non c’è più una politica che faccia investimenti di lungo termine, che implicano la sottrazione di risorse nel breve periodo, quindi la perdita di consenso. La perdita di consenso è drammatica, per cui la politica rinuncia agli investimenti di lungo periodo. Man mano che si va nel lungo periodo, si diventa fumosi, indistinti, perché la politica non può non tener conto degli investimenti di breve termine. La cultura – di per sé uno di quei comparti che ha bisogno di investimenti strutturali – è clamorosamente sconfitta. Siamo ancora alla cultura della sagra, dell’evento spot, del grande incontro di immediata percezione e beneficio. Non c’è più l’investimento strutturale.

Da qui anche la battuta che spesso sentiamo nel mondo politico, che ‘con la cultura non si mangia’…

E invece si dovrebbe mangiare solo di cultura. Un luogo come la Campania, che ha fallito nell’industria pesante, nella manifattura, nella logistica, non ha che nella cultura la propria ipotesi industriale. La cultura dovrebbe quindi essere il primo oggetto di programma, il primo obiettivo e invece non è così. Questo è gravissimo, tant’è vero che la piccola imprenditoria, l’unica che funziona ancora nelle nostre Regioni, si butta sull’accoglienza di natura culturale, solo che lo fa senza programmazione. Lo fa in maniera non organica e quindi perdente.

Se lei potesse chiedere qualcosa al Governo politico che nascerà dopo le elezioni, cosa chiederebbe in termini di investimenti nella cultura?

Questa città ha un dato che fa venire i brividi: il 38% di dispersione scolastica. La più grande città del Meridione del Paese, la terza città d’Italia, che ha un’area metropolitana di 3 milioni e mezzo di abitanti, che ha la più alta densità di popolazione d’Europa, ha il 38% di dispersione scolastica. Questo significa nella migliore delle ipotesi lavoro nero, nell’ipotesi media delinquenza ordinaria, nella peggiore delle ipotesi la criminalità organizzata. Non può esserci nulla che possa ambire a risolvere le problematiche numerose di questa città che non metta mano innanzitutto a questo dato. Se non si levano questi 4 ragazzi su 10 dalla strada, non c’è nessuna ipotesi di salvezza. E siccome se non si salvano tutti, non si salva nessuno, non c’è futuro. L’unica cosa che io porrei all’attenzione di un eventuale Governo è questo stato di emergenza assoluto.

scuola

Pandemia e guerra hanno ulteriormente acuito i nostri problemi di finanza pubblica. Il rischio è che questi problemi economici diventino anche problemi sociali. In alcune città importanti, come Napoli, Roma, Milano, in cui ci sono delle periferie degradate, potrebbero verificarsi anche problemi di tenuta della società. Condivide questo ragionamento? Si può fare qualcosa per impedire che ciò accada?

Si deve avviare una seria politica del lavoro, che qui non c’è. È inutile che io intervenga sul sintomo, se non curo la malattia. Il sintomo si riproporrà. Ben venga un intervento straordinario per le bollette, ben venga il Reddito di Cittadinanza. Io ero contrario, perché senza una modalità di accesso regolamentato al mondo del lavoro e al collocamento è un mero obolo. Però bisogna ammettere che con la pandemia, se non avessimo avuto il RdC avremmo avuto un serio problema di tenuta sociale. Se non si mette mano alla struttura, noi continueremo a curare i sintomi. È come pensare di militarizzare le piazze di spaccio. Certo, si può fare, ma si otterrà soltanto lo spostamento dello spaccio in un altro luogo. Se non si mette mano al problema alla base, che è quello di un’economia che non regge, perché non c’è continuità tra mondo della scuola e mondo del lavoro, perché non c’è una seria protezione nel mondo del lavoro, perché non c’è una competitività internazionale, e quindi le imprese sono costrette a chiudere, se non ci sono interventi strutturali, affianco agli interventi sui sintomi, noi non cureremo mai la malattia. E quindi siamo destinati alla fine.

Una parte della politica soffre di una malattia: eccesso di promesse e difficoltà poi a tradurre in pratica quando si va al Governo quelle promesse. Se lei dovesse suggerire alla politica qualcosa, cosa suggerirebbe?

Di isolare l’odio. L’odio è diventato un’opinione legittima, una cosa che prima non esisteva. Se uno guarda su Youtube qualche vecchia tribuna politica, erano avversari fierissimi, ma non c’era mai odio. C’era serenità nel dibattito, calma, addirittura rispetto reciproco. Adesso noi abbiamo nell’odio l’opinione pubblica più accreditata. Abbiamo bisogno di odiare, è come se fosse necessario. Come se l’attacco personale, non alle idee, ma alle persone, sia la parte primaria. Questo è inaccettabile, quindi io proporrei immediatamente una sterilizzazione del dibattito, sulle idee, smettendo di parlare delle persone, smettendo gli attacchi vili, smettendo i riferimenti personali, alle vite private, ai richiami a passati, al pregresso, come se non fosse possibile cambiare le proprie idee. Io proporrei questo, innanzitutto. Una variazione del dibattito, discutere solo delle idee e dei fatti e non più delle persone, dei preconcetti, uscire dai cliché. Per esempio il continuare a parlare dell’immigrazione come se fosse un problema primario; non è così. È dimostrato dalle statistiche sui reati, è dimostrato dagli impieghi, dall’accesso al mondo del lavoro. Gli immigrati per oltre il 90% fanno lavori che gli italiani non farebbero.

Perché davanti a questi numeri oggettivi che lei cita, c’è ancora una buona parte del nostro Paese che ragiona sull’immigrazione come se fosse uno dei più grossi problemi da risolvere?

Perché si fa appello all’odio. Il nemico come morfologicamente riconoscibile, come immediatamente individuabile, è troppo facile. Quindi fare riferimento alla cultura della superficialità, a tutti quelli che hanno paura del diverso, è troppo facile. Diventa irrinunciabile.

Mi dica un’altra cosa che non le piace della campagna elettorale così come la stanno conducendo oggi gli schieramenti politici.

L’appello a votare contro, è una perversione. Io devo votare per. Devo votare a favore, devo votare qualcuno che mi rappresenti, non qualcuno che sia contro quello da cui non voglio essere rappresentato. È una stortura, non è una differenza da poco, è una differenza grave. Votare contro è un errore. Nel mondo dell’astensionismo, di questa terribile malattia della vita democratica di questo Paese, io preferirei non votare, se non avessi qualcuno per cui votare. Non mi va di votare contro. Io credo che il turarsi il naso appartenga ad un’altra epoca, che non è più accettabile.

Se dovesse dare una sola istruzione per l’uso di questa campagna elettorale, rivolgendosi ad un elettore, quale sarebbe?

A me piacerebbe così tanto se uno non pensasse solo a sé nel dare il voto. Se uno non pensasse solo alla propria convenienza, alla propria condizione, ma guardasse con uno sguardo più ampio la condizione in questo momento di questo Paese. Non viviamo in torri, non viviamo su isole, noi viviamo tutti insieme. Il disagio, il dolore di grandi strati sociali incide su tutti, non solo su di loro.

***

* Maurizio De Giovanni, 64 anni, vive e lavora a Napoli come scrittore, drammaturgo, sceneggiatore. I suoi primi successi sono legati a romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Ha scritto per Einaudi Stile Libero, Rizzoli, Solferino, Mondadori. Con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo, diventato una serie Tv per Rai 1 di successo. I libri di Maurizio de Giovanni, tradotti in tutto il mondo, sono spesso diventati fiction di successo Rai. Serie tv  ambientate a Napoli che mostrano una città capitale culturale del mediterraneo. Si va da Villa Pignatelli riportata ai fasti degli anni Trenta ne Il commissario Ricciardi alla famosa via Partenope e a Borgo Marinari, set di Mina Settembre. Fino all’iconica piazza del Plebiscito e alla stazione della metropolitana di via Toledo dove sono ambientate le scene de I Bastardi di Pizzofalcone.

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